Gran Milano

La siccità c'è ma si può combattere, ecco cosa si può fare già ora

Fabio Massa

Alessandro Russo, presidente e amministratore delegato di Cap Holding, dice al Foglio: "Bisogna consumare meglio l’acqua, che vuol dire consumarla meno". La società che presiede, distribuisce, depura e produce acqua e energia in tutta la provincia milanese ed è tra le aziende più avanzate nel recupero e riciclo

Una terra d’acque, come la Lombardia, si trova di fronte a una delle crisi di siccità più spaventose di sempre. E dire che fino a trent’anni fa la falda milanese era talmente alta da risultare un problema per box e cantine. E’ da qui che bisogna partire per mutare l’approccio nei confronti dell’acqua di Milano e della Lombardia. Ed è un bene che qualcuno lo stia facendo, da molto prima di questa estate riarsa. “Se nel breve periodo l’unica soluzione è fare la danza della pioggia, oltre ad adottare il decalogo del risparmio idrico, nel lungo periodo possiamo  fare di più”, spiega al Foglio Alessandro Russo. E’ presidente e amministratore delegato di Cap Holding, la società che distribuisce, depura e produce acqua e energia in tutta la provincia milanese e – da due giorni – riconfermato all’unanimità alla presidenza regionale di Confservizi. Russo ha anche inaugurato, dieci giorni fa, la nuova sede di Cap Holding: un palazzo aperto al quartiere, senza recinzioni, che sorge proprio sopra uno specchio d’acqua.


“Il problema si divide in due aspetti – spiega RussoUna questione è l’acqua per l’irrigazione, che sta finendo. Questa arriva da fiumi o da laghi, che sono a livelli minimi in termini di portata. La motivazione è che non piove da molto e soprattutto non ha ghiacciato quest’inverno, ma il problema viene da lontano”. Secondo l’Osservatorio sugli utilizzi idrici del fiume Po stiamo vivendo la “peggior crisi da 70 anni a oggi”. Se i campi soffrono, per adesso i rubinetti della città metropolitana di Milano non rischiano niente. “I pozzi che estraggono l’acqua potabile attingono a falde profonde 100 metri. Le falde, a quella profondità, si ricaricano in modo diverso. La siccità ha comunque impatti, ma più limitati, almeno in pianura. Può succedere che il pozzo faccia più fatica a pescare, soprattutto negli impianti vetusti. Il problema sorge invece nel comasco, nella bergamasca, nel varesotto, dove in molti casi l’acqua potabile viene pescata dalle sorgenti. Queste sorgenti dipendono dai ghiacciai e dalle precipitazioni: si torna al discorso che si faceva per l’acqua da irrigazione”. Soluzioni, sul breve periodo, non se ne vedono. “L’unico modo per far ricaricare i corsi d’acqua superficiali è la pioggia. E poi bisogna che piova in punti precisi. Se l’acqua cade su Milano non risolve il problema più grave, che sta a monte”. Infatti, per ovvie ragioni, la falda è più “carica” a valle, ovvero in pianura.


Se nel breve periodo la danza della pioggia pare il metodo migliore, sul lungo periodo “dobbiamo fare moltissimo. Prima di tutto bisogna consumare meglio l’acqua, che vuol dire consumarla meno. Il mondo dell’agricoltura dovrà cambiare. Oggi in molte zone si irriga a scorrimento, come tradizionalmente si fa in Lombardia: si apre la chiusa e si allaga il campo. Tuttavia questa è la tecnica più idrovora che esista. La più risparmiosa è quella israeliana, con l’irrigazione goccia a goccia. In mezzo però ci sono altre soluzioni, come la tecnica a spruzzo, che usa decisamente meno acqua del metodo a scorrimento”. 


Poi c’è il tema delle acque depurate, e in questo Cap è fra le aziende che hanno guardato avanti. In italia non esiste un sistema differenziato per le acque potabili e quelle industriali, come è stato fatto in altri paesi. Una diversità storica, che, spiega Russo, non è possibile recuperare. Ma “oggi i nostri depuratori reimmettono le acque nei fiumi. Dobbiamo dare sempre di più queste acque depurate, che non sono potabili ma che sono ricche di elementi nutrienti, all’agricoltura. Ma ci sono anche altri utilizzi. Un esempio? I camion che lavano le strade, che oggi usano acqua potabile, domani potrebbero usare acqua depurata: che non è bevibile, ma che non solo non è pericolosa per le colture, ma che è perfettamente autorizzata”. Attualmente Cap Holding ne produce circa il 15 per cento, “ma l’obiettivo è di arrivare in tempi rapidi al 50 per cento”. C’è anche dell’altro. “Occorre sfruttare la prima falda, ovvero le acque a 30-40 metri di profondità per irrigare parchi, campi da calcio, cimiteri”, spiega il presidente Russo.
 

E c’è da educare i cittadini. “Ci sono cose che si possono fare e che impattano pesantemente sulla situazione generale anche se paiono cose da poco: fare la doccia invece del bagno, installare il rompigetto per l’acqua del lavandino, recuperare l’acqua della pasta per le piante”. Ad oggi in Italia il consumo pro capite di acqua potabile è molto elevato, e si attesta, secondo l’Istat, a 215 litri per abitante al giorno, contro una media europea di 125 litri. Ma se i cittadini devono fare la loro parte, anche le aziende idriche sono in prima linea. “Mettere in sicurezza il sistema idrico e idraulico vuol dire fare tubi nuovi e impianti nuovi – spiega Russo – Strutture nuove vuole infatti dire minor dispersione, miglior tecnologia, e quindi miglior uso della risorsa che si sta esaurendo. Le aziende di grandi dimensioni, come Cap Holding, hanno la capacità di fare investimenti non solo perché hanno il know-how, ma anche perché possono fare leva su una grande forza finanziaria e industriale. Il problema è che ci sono aziende comunali, di piccola dimensione, che non hanno la capacità finanziaria di rinnovare la rete. E’ chiaro che bisogna andare verso aziende sempre più aggregate, se si vogliono fare investimenti. Questa situazione dimostra che la gestione municipale di un tempo è totalmente inutile perché serve a gestire l’ordinario e invece adesso serve uno scatto straordinario a livello di investimenti e tecnologia per preservare il nostro bene più prezioso”.

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