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Gran Milano

Bergen Belsen nei disegni di Congdon. Memoria al Binario 21  

Maurizio Crippa

La mostra organizzata dalla Fondazione Memoriale della Shoah si intitola In the death of one ed è composta da una serie di ritratti terribilmente drammatici dei prigionieri del campo di concentramento 

Ma poter capire / nei termini umani più semplici / che cosa sta succedendo allo spirito tedesco / in che modo il loro problema diventi il nostro… In Germania, e in Polonia, e in Italia, e in America / Perché neppure qui, il nostro benessere materiale / può garantire lo spirito o la sopravvivenza”. Prima di diventare uno degli artisti star della sua generazione e dell’Action Painting, prima di rinunciare a quello status di fama per tenersi quello appartato di artista, prima di seguire il suo percorso spirituale che lo porterà in Italia, a farsi monaco, e a passare il resto dei suoi anni nella Bassa alle porte di Milano, benedettino nel monastero di Gudo Gambaredo, William Congdon aveva vissuto l’esperienza della Guerra in Europa, ma non con gli occhi del soldato.

Nel 1942 Congdon si era messo a disposizione come autista di autoambulanza nell’American Field Service, una struttura umanitaria civile, nata a Parigi allo scoppio della Prima guerra mondiale ad opera di giovani studenti americani e inserita nel sistema militare: “Al posto dell’arte, ora è la filantropia che mi rende uguale agli altri”, scriverà. Al seguito delle truppe, nel 1945 entrerà nel campo di concentramento di Bergen Belsen. Da quelle esperienze aveva già tratto le sue riflessioni sulla guerra, sul nazismo, sul dissidio dell’anima tedesca (ma anche italiana) e
 sulla inadeguatezza anche di ogni risposta “materiale” – quella del benessere americano – a quel male morale.

 

Congdon ne ha lasciato testimonianza nelle lettere ai genitori,  in un opuscolo dattiloscritto che si intitola In the death of one e soprattutto in una serie di disegni, di ritratti dei prigionieri, terribilmente drammatici realizzati nei giorni di Bergen Belsen.
“In the death of one” è ora anche anche il titolo di una mostra organizzata dalla Fondazione Memoriale della Shoah al Binario 21 della Stazione Centrale – realizzata in collaborazione con la William G. Congdon Foundation, il Consolato degli Stati Uniti e la Fondazione Intercultura, l’ente che oggi prosegue, ma dedicandosi agli scambi culturali studenteschi, il lavoro della American Field Service. Al. Centro della mostra, la possibilità finalmente di mostrare e contestualizzare i disegni di Congdon dal campo di sterminio. A fare da guida c’è anche, “più che un vero e proprio catalogo”, un piccolo libro che racconta dal punto questa parte della vita di Congdon: si intitola “William Congdon nell’inferno di Bergen Belsen - In the Death of one” e l’autore è Stefano Bruno Galli, storico delle dottrine politiche all’Università Statale, ma oggi assessore alla Cultura e all’Autonomia della Regione.

 

Non è un testo estemporaneo: all’esperienza quegli anni di Congdon, Galli aveva infatti dedicato uno studio, il suo primo, nel 1996, “Da New York a Bergen Belsen”, in cui ricostruiva sul contesto sulla base anche dei suoi testi e lettere. Il libro ripubblica ora la sola terza parte di quel saggio, correlato dai disegni del giovane Congdon. “A colpirci è stata l’estrema delicatezza nel ritrarre persone che avevano subito l’indicibile e ne portavano ancora i segni, con un’elegante resistenza e dignità”, aveva detto presentando la mostra (fino al 30 gennaio)  Roberto Jarach, presidente del Memoriale della Shoah. In mostra, in un luogo già per sé significativo, dal Binario 21 partivano i treni della deportazione, ci sono questi drammatici disegni, molto più che semplici “schizzi” da bloc notes. Uno dei ritratti più sconvolgenti, e più noti, delle vittime del campo di sterminio, è quello intitolato “Morgen Tod”, “morta domani”, e che è in copertina del volume. Congdon stesso racconta di avere incontrato questa donna nel Campo 1, con accanto un uomo che aveva ormai desistito dall’inutile tentativo di darle del brodo. Chiese il permesso di ritrarla e si mise a disegnare. Quando la donna se ne accorse, “con le ultime forze, alzò la mano e tentò di ravviarsi i capelli”, scrive Galli. Congon aveva di sua mano annotato “Come tu cercavi la morte, ecco l’espressione di un volto che, sia pure non ancora morto, sapeva che lo sarebbe stato domani”.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"