Letizia Moratti (Ansa)

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C'è un grosso problema per realizzare la riforma sanitaria di Letizia Moratti

Daniele Bonecchi

Le risorse sono stanziate, ma la ricerca di medici, infermieri e personale amministrativo presenta molte complicazioni. E poi ci sono questioni che vanno oltre la Lombardia, assumendo dimensioni nazionali. Così il progetto varato dalla giunta Fontana rischia di diventare una corsa a ostacoli

Rischia di essere una corsa a ostacoli la riforma sanitaria firmata Letizia Moratti, licenziata dalla giunta Fontana e dal Consiglio regionale la scorsa settimana. Soprattutto per ciò che riguarda la ricerca del personale: medici e infermieri. E la prova del nove (compreso il gradimento dei cittadini-pazienti) finirà nel bel mezzo della campagna elettorale per le regionali del 2023. Dal Pirellone fanno sapere i costi per il personale: 17 milioni e 800 mila euro nel 2022; 28 milioni e 700 mila euro nel 2023; 29 milioni e 700 mila euro nel 2024. Ai quali si aggiungono altri 5 milioni del Fondo regionale per la telemedicina. I soldi, insomma, sono stanziati. Ma la ricerca di medici, infermieri e personale amministrativo che dovrà essere impegnato presenta molte complicazioni.

 

Samuele Astuti, consigliere regionale Pd delegato a seguire la partita, sbotta: “La Regione ha detto che le nuove assunzioni avrebbero coperto il 30 per cento delle necessità e il resto sarebbe arrivato dalla ristrutturazione dei servizi. Pensano di riconvertire le strutture. Noi abbiamo chiesto a Regione Lombardia una stima precisa del fabbisogno di personale ma dalla giunta non è mai arrivata una risposta”. “A Milano, a tutt’oggi, mancano 250 medici di medicina generale, 900 in tutta la Lombardia e le scuole di specialità restano senza candidati” spiega al Foglio Danilo Mazzacane (medico oftalmologo), segretario lombardo della Cisl Medici. “Posso anche condividere la scelta delle Case e degli ospedali di comunità (positivo il radicamento territoriale) ma il problema è che le strutture si possono creare ma rischiano di restare vuote. Dove va a prenderlo il personale la Regione?”, prosegue il rappresentante sindacale. E poi c’è un vulnus difficile da affrontare: “I dati che abbiamo noi dimostrano che i medici non amano il sistema sanitario pubblico: crescono gli abbandoni e i giovani non ne vogliono sapere di andare a lavorare nel pubblico”, prosegue Mazzacane. “Il discorso retributivo è sicuramente importante, basta mettere a confronto lo stipendio di un medico ospedaliero neoassunto, che guadagna 2.500 euro netti al mese con quello (ad esempio) di un autotrasportatore (categoria molto richiesta) che ne porta a casa 3.000. È così che si genera lo scontento tra i giovani che hanno studiato, fatto sacrifici e non vedono riconosciuto il loro impegno”.

 

Ma la precondizione è stabilire il dialogo con le categorie: “Formigoni, alla fine degli anni ’90, quando aveva varato la sua riforma della sanità, era stato sicuramente più abile nel raccogliere i consensi di tutti. Oggi in Regione invece si sono mossi in maniera disordinata e alla fine la riforma appare di più come una scelta imposta piuttosto che condivisa”. Va ricordato che medici e infermieri delle strutture pubbliche (e alcune di quelle private) hanno fatto un lavoro straordinario per arginare la pandemia. Ora la Regione ha una strada sola: costruire un dialogo costruttivo con gli operatori, anche se i problemi non mancano: “I giovani laureati in medicina vogliono una migliore qualità della vita, più vicina ai parametri europei. E naturalmente retribuzioni adeguate, questo vale anche per gli infermieri. Anche se occorre tempo per formarli e la campagna acquisti fatta all’estero, presenta qualche problema, perché l’infermiere che non conosce bene la lingua italiana”. Dunque, per i medici, c’è il nodo salariale da risolvere: “Sicuramente vanno rivisti i contratti nazionali, però il medico di medicina generale, anche turnando, deve poter mantenere l’attività del suo ambulatorio”. Non sono state prese in esame nemmeno le esigenze dei medici donne: a Milano il 49 per cento, e tra gli under 40 sono il 60 per cento. 

 

Il problema, dunque, è molto più vasto di quello cui la sola riforma regionale può risolvere: è un problema nazionale, di lungo periodo, di sotto-programmazione nei corsi di laurea, nelle scuole infermieristiche e nei fondi per il personale sanitario. Senza questa benzina, nemmeno il motore sanitario lombardo può accelerare. C’è evidentemente da discutere con governo, e col ministro Speranza.
Non manca qualche paradosso. Anche i nostri vicini di casa della Confederazione elvetica hanno un “buco”, nelle strutture sanitarie, di 11 mila infermieri. Eppure gli ospedali svizzeri pagano uno stipendio base di 3.500 euro, attirando i frontalieri. Secondo il sindacato autonomo Nursing Up, molte cliniche del Ticino sono arrivate a mettere una “taglia” da 8 mila euro a favore di chi aiuta il reclutamento di nuovi infermieri. “Pecunia non olet”, meglio se franchi svizzeri.

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