Gran Milano

Con le elezioni una nuova dimensione estetica separa Milano da Roma

Michele Masneri

La città del collo basso punta sui 15 minuti, la città del collo alto ai 12 mesi. Antropologie di sindaci a confronto

In attesa del  ballottaggio, viene fuori il solito baratro antropologico tra Milano e Roma. Se c'era bisogno di un’ennesima dimostrazione dell’alterità tra le due città, se si pensava che il Covid le avesse uniformate appianandone le storiche differenze, la tornata di domenica scorsa conferma invece l’enorme disparità. Là Sala al primo turno, qui Michetti in testa, certo, ma non è tanto questo.

 

E certo si era partiti con presagi tremendi e quasi speculari: da una parte a Milano lo schianto del piccolo aereo da turismo, un piccolo 11 settembre. A Roma, invece, oltre i soliti roghi di autobus che non fanno notizia, ecco l’incendio al ponte dell’Industria, detto “ponte di ferro” perché industria e Roma nella stessa frase fanno ossimoro; ma subito a Milano Sala annuncia “una giunta entro dieci giorni”, mentre a Roma per riparare il ponte servirà “almeno un anno”. Per chi si stupisse, è ormai chiaro che il tempo, con l’èra Raggi, ha preso una piega biblica: neanche il nuovo Nobel per la fisica romano, Parisi, saprebbe spiegarla: un anno del resto è servito per riparare una scala mobile della metropolitana di piazza Repubblica dopo i saltelli dei tifosi russi; per un anno adesso verrà sospeso il tram numero 2 per manutenzione. Se Sala vuole la città dei quindici minuti, secondo le teorie dei più eminenti urbanisti contemporanei, Roma è già da tempo la città dei 12 mesi.

 

Ai romani però piace così, evidentemente. Nella città delle rovine, anche ciò che è nuovo e funzionante desta sospetto, è più apprezzato quando si trasforma in rudere e capriccio architettonico. E poi c’è il barocco: della realtà Roma offre sempre una versione esplosa, assurda, parallela. Così se a Milano è ripreso tutto, dunque anche la settimana della moda, la Raggi era quella che andava alle prime all’Opera vestita tutta infiocchettata in una simil toga avvocatizia, ricordo delle sue origini diciamo così forensi, da un suo stilista molto local, Camillo Bona, uno che in confronto Renato Balestra è Raf Simons. Ma Camillo Bona, atelier a porta Pinciana, era noto anche per organizzare in hotel romani sfilate alternative alle settimane della moda milanesi e parigine; e insomma siamo sempre nell’ambito degli alternative facts, e dunque tutto torna per una sindaca che magnifica ancor oggi una città perfettamente manutenuta e coi conti in ordine, da lasciare adesso al fortunato successore che a questo punto non si sa come impiegherà il suo tempo.

 

Ma più della politica conta ancora la dimensione estetica, e lì proprio siamo in due mondi diversi. A Milano entrano in consiglio comunale i candidati sostenuti dagli influencer, con le varie liste pro Sala: giovani, moderni, contemporanei, ce n’è uno che propone di mettere una sorta di personal trainer comunale nei parchi pubblici, e chi non lo vorrebbe, nella città dei giovani post Yuppies che arrivano da ogni dove. A Roma, città ormai di anziani stagionati nel traffico come in barrique, scende invece in campo il Bagaglino, ma non Pingitore (che avrebbe una sua nobiltà): no, Pippo Franco, invecchiato malissimo come in una puntata di "Boris" che non sarebbe passata al vaglio della produzione perché “troppo”, e non solo prende 49 preferenze, ma si scopre pure possessore di green pass forse falso (anche lì, giustizia a orologeria come con Salvini?).

 

Ma ancora, l’estetica: Milano è il trionfo dell'abito dai revers sottili, ma soprattutto delle camicie del colletto basso, di Sala ma anche di Maran. Roma è invece la città di Michetti e di Gualtieri, dei completoni da partecipazioni statali, Cenci se va bene:  e collettoni di camicia altissimi, con cravattone o senza (e poi c’è Calenda col suo button down montezemoliano, e infatti è terzista e vuol tirare dentro Sala in un’alleanza per il centro). Se va bene a me, buona camicia a tutti, direbbe Maurizio Costanzo, un tempo testimonial della ditta Dinoerre Collofit, e fino a oggi consigliere della Raggi, che lo vorrebbe direttore del Teatro di Roma come sua nomina ultima ed estrema.

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).