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Una ciclabile in un Bugno. A Milano l'è (quasi) tutto da rifare

Daniele Bonecchi

Più che alle elezioni, sicuramente Beppe Sala è interessato al percorso del Pnrr (in arrivo 82 milioni), senza perdere di vista il timing delle Olimpiadi 2026. L’unico argomento che può innervosire la sua corsa a Palazzo Marino (visto che innervosisce i milanesi) sono le piste ciclabili. Complice la pandemia, i milanesi hanno inforcato le due ruote pedalando compatti su e giù per piste e/o marciapiedi. Tutto bene, se in giunta non sedesse l’ayatollah della mobilità ciclabile: l’assessore Marco Granelli. E’ lui l’artefice della ragnatela di piste che ha strangolato la viabilità cittadina. Così Sala è costretto a subire anche il fuoco amico di Gianni Bugno (due volte campione mondiale di ciclismo su strada) che si candida coi Riformisti ma dice della ciclabile di corso Buenos Aires: “Hanno ridotto la sede stradale, tolto i parcheggi, il traffico e lo smog sono aumentati. Non si può andare in bici in un percorso a zig-zag, quella non è una pista. Era forse meglio prima, almeno le macchine dovevano stare attente. Ora si passa in mezzo alle auto parcheggiate. Se si fanno le piste, vanno fatte bene. Ripeto: la bicicletta va rispettata”.

 

“Gianni è un velocista, lo capisco, ma a Milano in bici viaggiano le mamme per portare i figli a scuola e gli impiegati che vanno in ufficio. Anche se bisognerà riflettere dove le piste devono convivere col carico-scarico delle merci”, replica un altro candidato riformista, Alfredo Zini, ciclista (la domenica a spasso col sindaco) e ristoratore. Ma i veri problemi li affronta chi di viabilità si intende. “Non è vero che l’unico problema è corso Buenos Aires e che il resto è cosa da poco – spiega con dovizia di particolari l’architetto Giorgio Goggi (candidato sindaco dei Socialisti di Milano e di Milano Liberale), già assessore ai Trasporti di Albertini – credo che tutti potrebbero essere d’accordo sull’estrema pericolosità dei tracciati. Piste ciclabili poste alla destra delle corsie dei taxi, incubo dei tassisti, che espongono i ciclisti all’apertura delle portiere (via Visconti di Modrone) non dovrebbero esistere; così come quelle tracciate nelle aree in cui avviene il carico e scarico merci (viale Monza).

 

E questi sono solo alcuni esempi, peraltro le statistiche sugli incidenti parlano chiaro. Ma il punto centrale sta nella generale configurazione di questo piano di piste ciclabili, che in verità non è un vero piano”. Goggi è puntiglioso come un professore (del Politecnico) e fa pesare i suoi trascorsi come consulente del ministro per le Aree urbane ai tempi di Carlo Tognoli: “Se ci ricordiamo della trattatistica sulle tecniche di moderazione del traffico, scopriamo che alle piste ciclabili viene assegnato uno spazio nelle strade di quartiere, ancora meglio se  Zone 30, e non sulle strade interquartiere e sulle strade foranee principali che danno accesso alla città dall’esterno”. Come hanno sostenuto sempre – con linguaggio assai più diretto – i commercianti del centro: “Le piste ciclabili sulle vie laterali!”.

 

Conclude Goggi: “Questa è la tecnica per tracciare le ciclabili in sicurezza, che possono dare accesso a tutta la città, ma utilizzando la rete locale. Quando si debbano utilizzare le strade principali le piste vanno protette o meglio poste in sede separata. Ora, è giusto e urgente sviluppare la mobilità ciclabile,  ma tracciata secondo le tecniche internazionali, e in totale sicurezza”.

 

Già la sicurezza, che si concilia poco con la tentazione del “doppio senso ciclabile”, non previsto dal nuovo codice della strada ma che rischia di essere autorizzato nelle strade a senso unico dal comune. In parole povere: bici contromano. Milano non è né Parigi né Amsterdam ma può allinearsi alle altre capitali europee anche sul fronte della ciclabilità. Con misura però. Perché assieme al milione e 400 mila milanesi ci sono, ogni giorno, 700 mila pendolariche entrano in città. Oggi, solo col bike sharing, ci sono 15.400 biciclette, alle quali si aggiungono quelle di proprietà.

 

 

Secondo Ancma (che associa le imprese del settore), dopo un paio d’anni molto difficili il mercato nazionale delle due ruote a pedale torna a sfondare il muro dei 2 milioni di pezzi venduti. E il 2021 farà il botto. Nel milanese circolano oltre il 20 per cento del totale delle bici vendute e cioè 400 mila, che si aggiungono a quelle in sharing. E se la gran parte delle bici ogni giorno converge verso il centro città, il rischio è che gli spazi vengano a mancare. “Occorre disegnare una rete di piste come Dio comanda – conclude Goggi – ora sono troppo pericolose”. Poi si apre il capitolo dei monopattini, sempre più utili ma invadenti, trasgressivi e pericolosi, con 700 incidenti in Lombardia negli ultimi sei mesi, dentro e fuori le piste ciclabili. Ma qui, non bastano le ordinanze dei sindaci, deve metterci una pezza il governo, col Codice della strada.