Gran Milano

Il blocco dei licenziamenti non basta a fermare la crisi del lavoro

Giovanni Seu

Una crisi strutturale che costringe a ripensare il modello economico della città più sviluppata d’Italia

Che il nuovo governo Draghi proroghi il blocco dei licenziamenti fissato per il 31 marzo è un auspicio condiviso, seppure con diverse motivazioni, da tutto il mondo produttivo milanese. A patto che sia inserito in un piano articolato di sostegno a imprese e lavoratori perché la crisi in questo territorio morde più che altrove: “Già prima della diffusione del virus erano emersi problemi – spiega il segretario della Camera del Lavoro Massimo Bonini – nell’autunno del 2019 avevamo registrato un calo dei contratti a tempo determinato e un aumento di quelli a termine: con la pandemia la situazione è precipitata in modo particolare in quei settori del terziario legati al turismo, molto cresciuti dopo Expo, e in quelli in cui l’applicazione delle regole è problematica”.

 

Una crisi strutturale, insomma, che costringe a ripensare il modello economico della città più sviluppata d’Italia: “Calcoliamo che sul territorio del milanese 100 mila posti di lavoro sono bruciati – continua Bonini – prorogare il blocco dei licenziamenti e programmare ammortizzatori sociali è assolutamente necessario ma non basta, ci vogliono politiche attive per ricreare posti di lavoro. Il settore su cui puntare, che nell’ultimo anno ha manifestato una domanda spesso senza risposta, è il sociale: sanità, centri di ascolto, scuole per l’infanzia, manca quel settore cuscinetto essenziale per la tenuta sociale”.

   
In questo quadro drammatico emergono anche le leve su cui impostare la ripartenza dell’economia. Secondo un report della Cgil appena pubblicato nella Città Metropolitana di Milano le imprese attive sono passate da 306.552 del 2019 a 305.395 del 2020, il tasso di natalità da 6,52 per cento a 5,47, quello di mortalità da 4,88 a 4,28 e quello di crescita da 1,64 a 1,19. Osservando i singoli settori si nota come le attività professionali, scientifiche e tecniche assieme alla finanza e alle assicurazioni hanno registrato un notevole saldo attivo, risultati positivi hanno conseguito anche le costruzioni e le ICT mentre commercio, manifattura, alberghi e ristorazione hanno riportato pesantissimi segni negativi. “Il tessuto è sano, le imprese resistono, ci sono filoni che stanno reagendo bene ma manca quello sociale”, commenta Bonini.

  
Sul fronte imprenditoriale il tema della proroga del blocco dei licenziamenti fa poca presa. Come spiega Alessandro Spada, presidente Assolombarda “per uscire da questa crisi dovremo rispondere a un mercato che sta velocemente cambiando e che richiede flessibilità alle imprese per continuare a essere competitive e ai lavoratori per adattarsi ai nuovi scenari: saranno le competenze, nei prossimi anni, a fare la differenza. Per questo occorre mettere al centro la persona con la formazione, per sostenere il reddito e l’occupabilità dei lavoratori”. In questo contesto la proroga del blocco dei licenziamenti sarebbe un palliativo: “Non risolve il problema, lo sposta solo più in là, – aggiunge Spada – Ma sgomberiamo il campo: licenziare per un imprenditore è una sconfitta, la strada è investire sulle politiche attive del lavoro e su una riforma seria degli ammortizzatori sociali”.

 

Poco entusiasmo mostra anche Marco Dettori, presidente di Assimpredil Ance, che fa comunque una premessa: “Il settore delle costruzioni non ha avuto una contrazione, come dimostra la cassa edile noi continuiamo a lavorare. Non siamo interessati direttamente al discorso sul blocco dei licenziamenti ma comprendiamo i rischi che stanno correndo altri settori, significa che esiste un rischio generale per cui siamo preoccupati che possano mancare gli ammortizzatori sociali”. Secondo Dettori ci sarebbe adesso l’occasione per intervenire su alcuni deficit strutturali che compromettono l’attività economica: “Sta per nascere un governo tecnico che può avere mano libera rispetto a quelli che lo hanno preceduto e che deve gestire il Recovery fund: la priorità dev’essere data alla riforma della Pubblica amministrazione e della giustizia, occorre renderle più efficienti perché oggi si muovono con tempi incompatibili con quelli dell’impresa”.
  

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