Un farmaco efficace

Enrico Bucci

Il Remdesivir incide in maniera significativa sulla mortalità dei pazienti Covid. Abbiamo le prove

Tutti hanno potuto leggere come il presidente Trump, che apparentemente avrebbe recuperato a tempo di record dal Covid-19, sia stato trattato con dosi molto alte di anticorpi monoclonali e di Remdesivir. Tuttavia, ciò che accade a un singolo paziente trattato – anche quando è il presidente degli Stati Uniti d’America – non ha nessun significato per stabilire l’efficacia di una terapia. Servono studi ampi e in doppio cieco; proprio come quello i cui risultati finali sono stati pubblicati il 12 ottobre scorso.

 

Si tratta dello studio clinico ACTT-1, che ha visto il trattamento di 541 pazienti con il Remdesivir e 521 con un placebo, con la sperimentazione condotta in cieco, randomizzata e su gruppi bilanciati di individui trattati e non trattati. I risultati definitivi di questo studio sono appena stati pubblicati sul New England Journal of Medicine. Fino a oggi, i dati preliminari avevano già dimostrato che nei pazienti trattati con Remdesivir si osservava una diminuzione del tempo di permanenza in ospedale. Questo dato, anche se è significativo nel senso che l’impatto sugli ospedali, specialmente durante un picco epidemico, è cruciale, non rendeva ancora giustizia delle potenzialità che il farmaco aveva già dimostrato in vitro.

 

La cosa molto, molto più interessante che arriva oggi a trovare conferma molto più solida è che i soggetti trattati con il Remdesivir mostrano anche una mortalità molto minore degli altri: al giorno 15 di trattamento, la mortalità dei trattati rispetto a quella dei controlli era rispettivamente del 6,7 per cento contro 11.9; al giorno 29, 11.4 per cento contro 15.2. Si tratta, come si vede, di differenze importanti, che a un mese dall’inizio del trattamento corrispondono a un quarto circa di morti in meno; inoltre, l’effetto è stato misurato su pazienti di diverso grado di severità, in diverse località in tutto il mondo.

 

Per la prima volta, quindi, disponiamo di evidenze che un secondo trattamento, dopo il desametasone, incide sulla mortalità dei pazienti di Covid-19 in maniera significativa a diversi stadi di severità; e questo, unito all’effetto del tocilizumab in pazienti con tempesta citochinica (quando l’anticorpo sia somministrato nella maniera opportuna e con la tempistica giusta), rappresenta la più concreta risposta giunta finora dalla ricerca scientifica posta di fronte alla pressante urgenza pandemica, risposta arrivata in tempo record rispetto agli standard.

 

A fronte di questi avanzamenti della farmacologia, e considerato che si aspettano ancora dati positivi dai più promettenti fra gli anticorpi monoclonali, appare possibile aspettare il tempo necessario per ottenere le risposte che servono anche dai candidati vaccini. AstraZeneca prima, e Johnson & Johnson adesso, hanno dovuto interrompere le sperimentazioni cliniche in corso non appena si è manifestato anche un singolo effetto avverso di seria entità; AstraZeneca ha ripreso la sperimentazione, e probabilmente così avverrà anche per Johnson & Johnson, ma l’importante è che, avendo tutto il tempo necessario per mettere a punto i vaccini, non si sia nel frattempo scoperti di fronte al virus.

 

In questo senso, le ottime notizie adesso giunte per il Remdesivir confortano e fanno sperare che, indipendentemente dallo sviluppo vaccinale, l’approccio farmacologico classico, le biotecnologie mediche e il riposizionamento di farmaci contro il virus costituiscano un mezzo di elezione per evitare di trovarsi nuovamente disarmati di fronte all’inevitabile ripresa dei contagi attualmente in corso.