Una villa nel quartiere Parioli di Roma

Sole che sorge sui Parioli

Michele Masneri
Un hotel di super lusso e nuovi arrivi (gran dame e principesse): così il quartiere romano recupera lo charme perduto. Memorie di fatti e fattacci tra attici e villoni. C'è tutto un filone di delitti nelle meglio case della zona. Il più araldico di sempre, nel 1970, quello Casati-Stampa.

Succede ai Parioli. Già quartiere per generoni affluenti, fascini discreti delle borghesie, poi sottoposto a damnatio memoriae, crollo dei prezzi, fuga dei cervelli; e popolazioni solo filippine, dicono i detrattori. Eppure, tanti movimenti sotterranei, e qualche avventura, non solo immobiliare. Sul fronte pinciano, verso villa Borghese, ecco palazzi di suprema eleganza londinese, di proprietà Brachetti-Peretti, ove alloggiano nuovi arrivi; Ginevra Elkann, passione cinematografica, in un attico che guarda i meglio pini di Roma (quando è a Roma), mentre più giù, l’appartamentone della marchesa Giovanna Sacchetti appena rilocata qui ai Parioli con un’operazione immobiliare che ha destato scalpori; ha venduto infatti il piano nobile di palazzo Sacchetti in via Giulia, cartolarizzando un mito; progettato dal Sangallo e affrescato da Pietro da Cortona. Lì furono girate molte scene della “Grande bellezza”di Paolo Sorrentino, quelle malinconiche in cui i finti “Colonna di Reggio” abitavano un sottoscala, salendo a rimirare i saloni inserendo una monetina nell’apposita gettoniera. La marchesa Sacchetti invece per niente spiantata ha venduto per 30 milioni al finanziere gentiluomo Robert de Balkany già marito di Gabriella di Savoia, che ha fatto appena in tempo a pagare, e a spirare (ma non a traslocare). Ma ai Parioli la marchesa si trova benissimo, coi padroni di casa squisiti Brachetti-Peretti (a Roma qualcuno sbaglia e li chiama “braghetti”, Laura Laurenzi scrisse un pezzo sul “Giardino dei finti contini”, circa un titolo comitale dubbio, però il loro villino non distante da qui è come si dice prestigioso, e con rara piscina). La marchesa è entusiasta, a parte i complicati pertugi del palazzo, per cui talvolta alcuni giovani ospiti Elkann si ritrovano in un burraco di matrone; ma sono cose che capitano, ai Parioli.

 

O almeno da questa parte, du côté del Pinciano, avamposto araldico del quartiere: qui per esempio vive e grandiosamente opera Carlino Perrone, conte di San Martino, gentiluomo torinese-romano già proprietario del Secolo XIX, già precedentemente fuso con la Stampa e oggi dunque azionista con il 5 per cento del colosso “Stampubblica”, un 5 per cento che vale come quarto di nobiltà; sangue blu di editore oltretutto puro, e antico: il papà era proprietario del Messaggero che dopo fu venduto a Franco Caltagirone; l’editore impuro abita invece qualche centinaio di metri più giù, in un villone enorme chiamato “I tre delfini”, con cancellate ittiche perché in precedenza dei Parodi appunto Delfino; villone si dice sempre tiepidino d’inverno per sensibilità a bollette troppo alte, nonostante la quota importante di famiglia nel gestore Acea. Da questa villa – duemila metri quadri, la più misterica di Roma, un tempo era un convento di suore, con celle e segrete, ceduta poi ai Parodi e poi ai Calta – uscì in sfortunate circostanze Luisa Farinon, moglie di Franco e sorella della più nota conduttrice Gabriella, già “viso d’angelo” televisivo; un filippino – chi altri, da queste parti – sbroccò, portandosi via la signora, che fu poi recuperata fortunosamente in Slovenia, e il filippino prontamente suicida.

 

Superato il villone, ecco il palazzone del potere, casermone tipo Dakota Building e Rosemary’s Baby però molto manutenuto, questo di proprietà Ligresti e affittuari Alfano, Mauro Masi, Brunetta. Edifici Novecento con le loro facciate giallo-romano, giardini ben illuminati e timpani e lesene e statuotte di gesso, e fontane zampillanti. Anche qui, particella catastale con delitto: anche la moglie di Ligresti fu rapita: anche qui durò poco e andò malissimo agli utilizzatori finali: la signora Antonietta detta Bambi venne liberata dopo un mese, nel 1981, e due dei suoi tre sequestratori, appartenenti a cosche siciliane, subito sparati.
C’è chiaramente tutto un filone di efferatezze comme il faut, da queste parti. Ecco allora, nel villino Perrone di San Martino, con questo predicato sommamente piemontese (alla “Budino di Semolino”, per dirla con Arbasino), il teatro del delitto romano più araldico di sempre, quello Casati Stampa: lì, in via Puccini, il 30 agosto 1970 il marchese Camillo Casati Stampa di Soncino decide di sterminare la moglie Anna e il giovane Massimo Minorenti (e poi sé stesso) nel delitto più truculento e succulento degli anni Settanta, con vasta circolazione delle 1.500 fotografie zozze che il marchese ama scattare alla moglie, sui lidi più popolari tra sottoproletariato balneare, così come sull’isola privata di Zannone, oggi parco naturalistico, ove i marchesi naturalisticamente villeggiano. Il giovane Massimo Minorenti, studente di lungo corso iscritto a Scienze politiche, militante del Msi, aveva però violato le regole di casa, non limitandosi al gioco di ruolo ma innamorandosi, ricambiato, della marchesa, e tutto dunque era finito prevedibilmente malissimo.

 

Altre morti bling ring, ma colpose, sempre al cap 00198: dieci anni prima, a poche centinaia di metri, all’incrocio anche oggi fatale tra via Paisiello e viale Rossini, di fronte a villa Taverna, residenza degli ambasciatori americani, aveva fatto il botto Fred Buscaglione, con la sua Ford Thunderbird lilla, “criminalmente bella”, come amava sostenere, dopo una serata assai alcolica, e tornando verso l’hotel Rivoli (oggi Best Western) alle quattro del mattino, trovando un camion di porfidi sul suo cammino. I funerali si svolsero a Torino, mentre se fosse vissuto e avesse girato a destra, si sarebbe imbattuto nella chiesa di San Roberto Bellarmino, dove quasi un anno fa si tenne un funerale squisitamente pariolo. In quella specie di cattedrale colonial-cubista con interni indaco da moschea blu, opera di Clemente Busiri Vici, si celebrarono i funerali di Mario d’Urso, banchiere, senatore, amico di regine e principesse. “Napoletano, apparteneva a quella civiltà europea e cosmopolita che ben poco ha da spartire con le origini e le vicende dell’Italia unita e del regno sabaudo”, scrisse anni fa Cesare Garboli del padre del defunto, Sandro d’Urso, avvocato a Roma, imparentato con le migliori araldiche e trasferito naturalmente ai Parioli in una favoleggiata villa in via Bruxelles con un grande giardino, tanti Morandi e una bambinaia “Ina”. Si disse che, morendo di venerdì, non volesse rompere le scatole con un funerale nel weekend, ed è forse la ragione per cui anche l’anno scorso la cerimonia è stata ritardata fino a lunedì, per non interrompere soggiorni a Sabaudia o all’Argentario.

 

Se non avesse fatto il botto, Buscaglione sarebbe andato invece verso via Aldrovandi, nel residence famoso in cui visse e morì solitario e dignitoso Dino Risi, e poi giù, verso un funerale direttamente da “Fratelli d’Italia”, in “quella spaventosa chiesa Novecento di Sant’Eugenio”, e una “messa che alcuni prendono per un cocktail, con molti saluti, in sportivo beige, e tutti i ragguagli sulle crociere in Turchia imminenti”. Tra funerari veri e letterari, poco più su di Sant’Eugenio muore quest’anno il rito apotropaico dell’estate. Il Ninfeo di villa Giulia viene infatti liberato per la prima volta dalla finale del premio Strega, che per la prima volta sarà indoor e dunque non offrirà il solito spettacolo di tacchi anziani sprofondati nel pratino, assalti al buffet, umidità assassina su colature di rimmel. Addio dunque a questa villa suburbana costruita per Papa Paolo III, committente supercool che si era affidato alle tre archistar cinquecentesche Vignola+Ammannati+Vasari, come per una Fondazione Prada cinquecentesca.

 


Il Ninfeo di Villa Giulia, location per il Premio Strega prima del trasferimento all'Auditorium


 

Lo Strega III dell’era renziana sarà invece all’Auditorium di Renzo Piano, tutto in interni, dunque bisognerà scavallare questi Parioli; e rimane però il rito della cinquina, il mese prossimo, tutti insieme nella casa Bellonci questa sì in pieni Parioli, via fratelli Ruspoli angolo via Lima, nel vasto e cupo attico recentemente dotato di neon e arie condizionate, ove ogni anno attendendo “la cinquina” si soffre tra tramezzini arricciati e bicchieri che fanno “gli occhi” su prime edizioni impareggiabili e incommensurabili tra autori frastornati (dal caldo).

 

Nella temperie dei Parioli letterari, chiusa anche la storica palazzina liberty in via Sicilia, già foresteria Mondadori, ceduta insieme alle ristrettezze e alle sinergie; soprattutto progettata dal papà di Moravia, l’architetto Carlo Pincherle, che di villini ai Parioli ne aveva costruiti tre, uno per vivere e due a pigione, eppure nonostante gli ottimi investimenti in epoche pre-Imu era sempre malmostoso, mentre la mamma De Marsanich licenziava cameriere con turnover esagerati, e compulsava letteratura “rosa” e film da telefoni bianchi (e da qui sarebbero poi forse nate tutte le atmosfere da marmi & pulsanti moraviane, tra Indifferenti in parquet scricchiolanti e ninnoli metaforici di qualcosa).

 

Però tutte le case by Pincherle, che non vendeva sogni ma solide realtà, dovrebbero essere oggi in fase di grande rivalutazione: a piazza Verdi, poco distante da casa Moravia, ecco l’operazione immobiliare più importante degli ultimi anni: l’edificio umbertino della Zecca si sta per trasformare in hotel pluristellato dei cinesi di Rosewood. Settantamila metri quadri di albergo, più trentamila di residence, ventottomila di appartamenti e uffici, tutto progettato milanesemente da Antonio Citterio, che porterà minimalismo nei barocchetti Parioli – e una piscina di cristallo a sfioro sul tetto, dove potranno prendere il sole le ragazze dei Parioli.

 

Quelle che si aggirano nelle loro biondezze in microcar tra rotatorie e gelati, magari anche quelle abbastanza proustiane che ritornano. Nel villino di famiglia in via Jacopo Peri, ecco sempre più frequentemente Paola, regina madre del Belgio e anche un po’ dei Parioli; torna sempre più spesso, non essendo più operativa nella sua regalità, nel villino paterno dunque Ruffo di Calabria, appena ristrutturato, e sorvegliato da telecamere. E non andrà più in giro in Vespa e mocassini come negli anni dorati pre matrimonio, anni beati senza castigo, sospirano antichi vicini di casa e di villino che se la ricordano pazzesca; prima di conoscere Alberto di Liegi all’incoronazione del Papa buono ed emigrare per sempre (sarà stata felice, almeno lei?). E se non c’è più Audrey Hepburn, indimenticata abitante di Monti Parioli, storica cliente del fioraio di San Valentino negli anni di matrimonio con Andrea Dotti, altre bellezze principesche oggi si aggirano: ecco Charlotte Casiraghi, figlia di Carolina di Monaco: si è recentemente trasferita in via Po, al limitare dei Parioli, per stare col fidanzato molto ducale Lamberto Sanfelice. Avrà contato la vicinanza con l’ambasciata della “Principauté de Monaco”, a poche centinaia di metri, oppure sarà l’aria unica e talvolta poetica dei Parioli, questo quartiere vagamente occidentale e britannico, un poco protetti dalla città equatoriale e caotica che pare lontana, lontana.

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