L’amministratore delegato di Poste Italiane Francesco Caio ha presentato un piano di ristrutturazione criticato da ogni parte. La consegna della posta è prevista per quattro giorni alla settimana

Le Poste in gioco

Stefano Cingolani
Raccomandate, pacchi ma soprattutto finanza. A fine ottobre in Borsa: una privatizzazione che nasce con molte incognite.

C’era un tempo in cui la postina della Val Gardena baciava solo con la luna piena. A lei dedicavano versi Garinei e Giovannini con musica di Gorni Kramer. Allora, chi controllava le poste controllava il potere, la sua microfisica, avrebbe detto Michel Foucault, che richiede il discorso e si diffonde in rete. La scelta del ministro diventava uno dei passaggi chiave di ogni governo, perché quella posizione era un architrave del sistema: infatti, aveva sotto di sé anche la Rai, il persuasore occulto. Finché è stata potente abbastanza, la Democrazia cristiana non ha mai mollato il dicastero delle Poste e delle telecomunicazioni.
Quel tempo è tramontato, quel ministero è stato chiuso, sulla Rai comandano il capo del governo e i partiti rappresentati in Parlamento, mentre i postini sono diventati assicuratori e bancari. L’azienda di stato ha cambiato natura; lettere, raccomandate e pacchi rappresentano una quota minoritaria dei ricavi: 20 miliardi su 28 totali provengono da attività squisitamente finanziarie. Una metamorfosi così radicale non si è verificata in nessun paese europeo e neppure negli Stati Uniti. Ovunque si sta cercando di reagire all’impatto di internet, un processo che i tecnici chiamano e.substitution, più semplicemente è il rimpiazzo della posta ordinaria a opera di quella elettronica, ma in genere si cerca di innestare le novità attorno al nocciolo duro del mestiere tradizionale. L’Italia è andata ben più avanti (o più indietro, a seconda dei punti di vista).

 

La postina della Val Gardena avrà anche una borsetta tutta nuova di zecca. L’ha mostrata in pubblico Luisa Todini, presidente di Poste italiane, insieme all’amministratore delegato Francesco Caio. In realtà non sarà in dotazione ai portalettere, ma fa parte della nuova campagna per rendere più glamour la quotazione in Borsa. Il 26 ottobre verrà ceduto il 40 per cento del capitale e il Tesoro spera di ricavare un bel gruzzolo, anche se la stima è ancora molto incerta: dipende se l’intera azienda verrà valutata 6 o 10 miliardi. Una differenza davvero troppo ampia; forse nemmeno super-consulenti come Lazard e Rothschild hanno capito bene che cosa viene offerto al pubblico. E’ davvero un buon affare? E per chi? All’azionista privato interessa solo la polpa bancario-assicurativa, mentre il resto dovrà essere sovvenzionato dallo stato, come sempre?

 

I miliardi raccolti sul mercato sono essenziali per chiudere la legge di bilancio del prossimo anno. Non solo: servono a dimostrare che si fa sul serio, rintuzzando le critiche di Bruxelles. Contro il progetto è sceso in campo Corrado Passera l’uomo che ha risanato le Poste alla fine degli anni Novanta. “Parla per ragioni politiche”, controbatte la Todini, ed è vero che l’ex manager e banchiere nutre l’ambizione di diventare il nuovo punto di riferimento per una destra moderna che guarda al centro. Tuttavia, usa argomenti di una certa efficacia. Eccoli parola per parola:

 

1. “Quotare le Poste significa privarsi di un’infrastruttura sociale e amministrativa che assicura il servizio universale, servizi di gestione del risparmio e assicurativi nonché pagamenti a cittadini e imprese. Inoltre, costituisce sportello della Pubblica amministrazione (e in tanti comuni l’unico). La liberalizzazione progressiva dei servizi postali porterà a privatizzare i pochi segmenti del mercato profittevoli e a scaricare su Poste i servizi in perdita”.

 

2. “Lo Stato può perdere un formidabile strumento di finanziamento del suo debito e dei suoi investimenti. Poste raccoglie a vario titolo quasi cinquecento miliardi contribuendo in maniera diretta o indiretta a finanziare Cassa depositi e prestiti e Tesoro”.
3. “Sarebbe un enorme regalo ai sottoscrittori delle azioni e una netta svendita di patrimonio pubblico. Una forchetta di valutazione così ampia, nasconde aspetti non chiari. Sono cifre inadeguate rispetto al potenziale di Poste. Per non parlare dell’ingentissimo patrimonio immobiliare e tecnologico accumulato”. E’ vero o si tratta di propaganda strumentale?
Come antipasto, Caio ha presentato un piano di ristrutturazione criticato da ogni parte. Prevede la possibilità che la posta venga consegnata a giorni alterni nel 25 per cento del territorio nazionale, la chiusura e la riduzione degli orari di apertura di alcuni uffici postali e ritocchi sulle tariffe. Con in più l’arrivo del postino telematico. Si tratta di oltre 30.000 portalettere equipaggiati per fornire a domicilio un’ampia serie di servizi (corrispondenza, pacchi, e.commerce, raccomandate, il pagamento dei bollettini e la ricarica delle carte prepagate sia telefoniche che Postepay).

 

La cura dimagrante provoca la chiusura di 455 sportelli (su 13.200) e la riduzione degli orari di apertura in 609 uffici, l’aumento del francobollo a un euro per la posta ordinaria e a tre euro per quella prioritaria, la consegna per soli quattro giorni alla settimana. Tranquilli, dicono alle Poste, solo l’8 per cento dei pagamenti delle pensioni nelle zone interessate viene poi effettuato allo sportello: riguarda esattamente 3.800 pensionati quindi meno di dieci pensioni per ufficio postale chiuso. Circa il 70 per cento dei prelievi sul libretto di risparmio postale viene effettuato già oggi con Carta Libretto. Su oltre cinque milioni di pensioni pagate, a livello nazionale, due ogni tre vengono accreditate direttamente sul libretto ed il 28 per cento sul conto Bancoposta, secondo i dati forniti dal gruppo. Il servizio in Italia resta comunque più esteso e capillare rispetto agli altri paesi. Il numero di abitanti serviti da ogni ufficio postale è di 4.669 a fronte, per esempio, di 6.415 in Germania.

 

Anche i tedeschi ristrutturano (ora è in corso un duro braccio di ferro con i sindacati), però senza cambiare pelle perché sono convinti che internet non uccida la posta, ma la trasformi in una rete di distribuzione su vasta scala. Deutsche Post è diventata un colosso della logistica, quotato in Borsa nel 1996, con lo stato federale che mantiene il 30 per cento. Nel 2010 ha venduto la Postbank alla Deutsche Bank. Oggi impiega 520 mila dipendenti in 220 paesi grazie all’acquisizione dell’americana DHL che aveva cominciato a scalare nel 1998. I servizi non tradizionali rappresentano il 47 per cento del fatturato. Ancor meno per La Poste francese (il 24 per cento dei ricavi). Le poste svedesi hanno cercato di difendere la distribuzione, perché gran parte delle compravendite online vengono recapitate all’ufficio postale più vicino. Il governo di Londra, invece, vende tutto. Nel 2013 aveva messo sul mercato il 70 per cento della Royal Mail con esito deludente (ha incassato 180 milioni di sterline in meno rispetto ai due miliardi previsti). Quest’anno George Osborne, il Cancelliere dello Scacchiere, ha deciso di cedere anche il resto. “Perdiamo un patrimonio di 500 anni, è una disgrazia nazionale”, protestano le Trade Unions. La U.S. Mail è un’agenzia federale, ma molti chiedono di seguire l’esempio britannico.

 

L’Italia parte da una storia diversa. Benito Mussolini, genio nell’usare gli strumenti della società di massa, aveva capito il potenziale di quella distribuzione capillare. Nel 1924 il ministero delle Poste e dei telegrafi viene trasformato in ministero della Comunicazione, ingloba radio e telefoni (nel Dopoguerra la televisione). L’Azienda di stato per i servizi telefonici prima, l’Eiar poi, rappresentano i pilastri di un modello potenzialmente orwelliano. Il fascismo spende e spande per costruire palazzi in stile razionalista e per creare uno spirito di servizio giù giù per li rami. Nel Dopoguerra non cambia nulla. Le trasmissioni televisive avvengono con i ponti radio delle poste. Il presidente della Rai risponde direttamente al ministro e al segretario Dc. A lui faranno capo anche i servizi telefonici attraverso i quali passa il controllo della privacy, la sicurezza, i servizi segreti.

 

Intanto, affluiscono quattrini contanti sotto forma di libretti e buoni postali, garantiti dallo stato. Un’idea semplice e geniale per un paese ancora povero ma risparmioso, dove le banche sono percepite come nemiche. Con la garanzia di guadagni certi e di lungo periodo, il libretto diventa il vero salvagente della classe medio-piccola. Nasce allora la vocazione finanziaria delle Poste. Il risparmio confluisce poi nella Cassa depositi e prestiti attraverso la quale vengono finanziati gli enti locali. Una circolarità pressoché perfetta, un potere diffuso che dalla innocua cartolina arriva fino all’asilo nido.

 

L’azienda, dunque, è una gamba del ministero. I sindacati sono forti e protetti anche perché diventano strumento di consenso. La conflittualità endemica serve a scambiare posizioni, stipendi, carriere e voti. Le lettere in ritardo diventano oggetto delle barzellette in tutto il mondo. Solo una su cinque viene consegnata il giorno successivo, rispetto all’80 per cento in Germania. Il tempo medio s’aggira sui nove giorni alla fine degli anni Ottanta. La produttività per addetto si riduce di un quarto dal 1970 al 1985, anno in cui per coprire i costi del personale viene destinato oltre il 90 per cento delle entrate correnti. La postina, in val Gardena, s’è fatta la villa.

 

Nel 1993 le Poste diventano una società per azioni, anche se tutte le quote sono in mano al Tesoro. Cinque anni dopo il governo di Romano Prodi nomina amministratore delegato Corrado Passera il quale introduce una logica di impresa. Il costo è pesante in termini di occupazione: 22 mila posti di lavoro in meno. Ma i tempi di consegna migliorano in modo impressionante. Le poste italiane cominciano a funzionare, non sono più un caso irrecuperabile. Passera capisce che occorre diversificare l’offerta ed entra nei pacchi dove la concorrenza privata è fortissima. E’ il momento in cui si dice che l’e.commerce richiederà grandi investimenti nella logistica.

 

Massimo Sarmi, al comando dal 2002 al 2014, punta sull’innovazione tecnologica, sulla riorganizzazione degli sportelli, ma soprattutto ha spinto al massimo l’anima bancario-assicurativa. I bilanci tornano in attivo, nasce un servizio telefonico con Poste Mobile, si stringono i legami con la pubblica amministrazione (come con Posta certificata o Sportello amico per i certificati anagrafici). Ma Bancoposta, Postepay e Poste Vita sono senza dubbio i prodotti di maggior successo. La liberalizzazione cominciata in buona parte dei paesi dell’Unione europea nel 2011, inasprisce la concorrenza. E la ciambella di salvataggio è sempre più la bancassurance a patto che polizze e risparmi siano totalmente garantiti dallo stato, una clausola che spiazza le banche e le assicurazioni private, sul piede di guerra contro la “concorrenza sleale”.

 

Le Poste italiane si sono lanciate persino nell’aeronautica con risultati deludenti. Possiedono anche una piccola compagnia, Mistral Air, fondata nel 1981 da Carlo Pedersoli alias Bud Spencer; ma è solo fonte di perdite. Peggio ancora è andato con Alitalia, un investimento di 75 milioni preso per ragioni squisitamente politiche, la cui svalutazione ha contribuito a far cadere gli utili da un miliardo nel 2013 a 212 milioni di euro. Il risultato operativo nel suo insieme si è dimezzato da 1.400 a 691 milioni, segno che l’azienda non marcia come dovrebbe.

 

[**Video_box_2**]I sindacati non hanno mostrato particolare affetto nei confronti di Caio soprattutto quando l’ad ha ammesso di guadagnare un milione e 200 mila euro l’anno, circa cento volte lo stipendio base di un dipendente. Anche in Parlamento molti hanno storto il naso. Lancia in resta è scesa la Federazione degli editori che non vuole perdere i suoi privilegi. Critica persino l’Agcom (l’autorità per le comunicazioni) che ha ridimensionato gli aumenti per la posta ordinaria (non oltre 0,95 euro) e ha limitato nel tempo e nello spazio i recapiti a giorni alterni, visto che l’Unione europea vuole che i postini passino almeno cinque volte la settimana.

 

L’Agcom, presieduta da Angelo Cardani, ridiscute anche il perimetro del servizio universale dal quale dovrebbero uscire la posta assicurata e i pacchi ordinari fino a 20 kg. Per gli invii multipli, non è opportuno fornire in regime sovvenzionato né la corrispondenza ordinaria né raccomandate o assicurate, e neppure gli atti giudiziari. In Italia, questi prodotti non pagano l’Iva se forniti da Poste Italiane. Invece, in Germania, Olanda, Austria, Belgio, Finlandia e Regno Unito, è stato posto fine all’esenzione fiscale per i prodotti di posta commerciale, perché perfettamente gestibili dal mercato. Solo la Francia mantiene un privilegio giustificato dal fatto che lì vige ancora un monopolio di fatto. Rivedere il servizio universale non solo favorisce la concorrenza, ma fa risparmiare l’erario (fino a 300 milioni l’anno secondo le stime della Confindustria). Finora sono stati erogati in media 360 milioni l’anno (scesi a 262 con l’ultima finanziaria), contrariamente a quanto accade in Europa dove solo in tre paesi il governo finanzia le perdite, senza mai superare in ogni caso gli 80 milioni di euro.

 

Caio è cresciuto sull’onda di una carriera tecnologica: tra i fondatori di Omnitel negli anni Novanta, è stato nominato da Enrico Letta commissario per l’agenda digitale. Il suo compito alle Poste è compiere un salto nell’era internet e la parziale privatizzazione dovrebbe essere d’aiuto. Ma prima sarebbe meglio chiarire ai risparmiatori che cosa vanno davvero a comprare. Se seguisse l’esempio tedesco, il governo dovrebbe vendere a una banca la raccolta di risparmio e a una compagnia il comparto assicurativo. Se adottasse il modello inglese dovrebbe privatizzare tutto.

 

Non sarebbe un attentato al servizio universale e il caso Royal Mail lo dimostra, infatti esiste una clausola specifica che “obbliga a distribuire le lettere ovunque una volta al giorno”. E internet nel Regno Unito è più diffusa che da noi. Del resto, la garanzia del servizio riguarda tutte le concessioni di beni pubblici ai privati. Perché non dovrebbe valere anche per le poste? Invece, per timore di sfidare i tabù e per incapacità di far rispettare una regola semplice e universale, si prepara una cessione parziale che nasce fin dall’inizio piena di equivoci. In ritardo tecnologico, con una logistica che fa acqua, l’Italia ha anche un servizio postale meno efficiente e rischia di sprecare una nuova chance se la quotazione diventa una operazione dettata solo dall’esigenza di far cassa. Chi vuol comprare un po’ di azioni non ha che da attendere il prospetto informativo. Sperando che non venga spedito per posta.

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