Khaled al Asaad, a sinistra, accompagna François Mitterrand durante una visita dell’allora presidente francese a Palmira

Il santo curatore

Giulio Meotti
In memoria di Asaad, un martire laico. L’archeologo trucidato dall’Isis a Palmira era un musulmano di madre cristiana, beveva vino, scriveva libri, passeggiava con Mitterrand. “Lo avevamo implorato di lasciare la città, ma lui diceva: sono di Palmira, resterò anche se hanno deciso di uccidermi”.

Sulla piazza principale di Palmira, in Siria, alcuni giorni fa è apparsa una pila di mobili e di libri. Erano di proprietà della famiglia di Khaled al Asaad, l’ex direttore di uno dei luoghi più belli del mondo greco-romano, la “porta del deserto” patrimonio dell’Unesco. Asaad è stato torturato e assassinato il 18 agosto scorso dagli islamisti dell’Isis. I beni confiscati erano gettati lì, alla rinfusa, in modo che tutti potessero utilizzarli. Poche ore dopo lo Stato islamico faceva saltare in aria il tempio di Baal Shamin nella città antica. Asaad aveva scelto di passare alla storia come l’ultimo custode di una città destinata al martirio, condannata dalla furia nichilista e iconoclasta degli islamisti.

 

L’Isis aveva appena diffuso la fotografia dell’archeologo, decapitato e appeso a testa in giù. Sul palo dove era stato appeso il suo corpo era stato attaccato un cartello con il nome della vittima e sotto la scritta: “Rappresentante della Siria nelle conferenze della blasfemia”. Colleghi siriani di Asaad, esiliati per lo più in Francia, Germania e Stati Uniti, riconobbero subito la figura emaciata dello storico, la testa del vecchio uomo di ottant’anni. “Gli hanno lasciato gli occhiali, che Khaled indossava per i danni provocati dai venti che soffiano sabbia”, ha detto Michel al Maqdisi, ex direttore degli scavi e delle ricerche archeologiche in Siria. Da Harvard al Museo del Louvre, tutti ora piangono “Mr. Palmira”, come era noto Asaad. Ma pochi ne hanno tracciato un profilo, che si rivela straordinario. In uno dei suoi messaggi su Facebook l’archeologo aveva scritto, postando una fotografia di Palmira al tramonto: “Buongiorno, meraviglia”.

 

In un articolo apparso su Newsweek questa settimana, Pierre Leriche, docente all’Ecole Normale Supérieure di Parigi, ha scritto: “Tra le cinque ragioni addotte dall’Isis per giustificare la sua esecuzione, al Asaad era accusato di essere un sostenitore del regime siriano. Come quasi tutti i dirigenti e dipendenti del settore dell’archeologia siriana, era desideroso di restare al suo posto. In tal modo, egli non si vedeva come al servizio del regime siriano, ma al servizio del suo paese. E in Siria, dove il patriottismo è perenne, essere al servizio dello stato non è un sentimento vuoto. Un amico ha detto: ‘Avevamo implorato Khaled di lasciare la città, ma ha sempre rifiutato, dicendo: io sono di Palmira, e resterò anche se hanno deciso di uccidermi’. Il suo coraggio gli è stato fatale. E’ morto da eroe e da martire”.

 

Khaled al Asaad era nato il 1° gennaio del 1934. La sue stessa vita era quanto di più odioso esista agli occhi degli islamisti. Il padre, infatti, era un armeno, mentre la madre una cristiana. Khaled era un sunnita laico. Direttore dal 1963 del museo e del sito archeologico di Palmira, e dal 2003, ritiratosi in pensione, esperto presso la Direzione generale delle Antichità in Siria, pochi giorni prima dell’arrivo dell’Isis a Palmira, con tutto lo staff del museo aveva aiutato a evacuare a Damasco circa 400 fra statue e busti antichi. Ma aveva rifiutato di lasciare la città con il convoglio. “Sono nato vicino al Tempio di Bel – il santuario principale dedicato al dio locale –. Ho passato tutta la mia vita qui, sarebbe ridicolo e vile lasciare la città in questo momento”, aveva lasciato scritto. “Non c’è cosa nella vita pari al mio amore per Palmira. Su questa terra ho vissuto, in questa culla ho dedicato tutti i miei sforzi per quarantacinque anni agli scavi, ai restauri, alla pubblicazione della sua storia”.

 

Tutti coloro che sono andati a visitare quel luogo sublime – tra cui Pier Paolo Pasolini, che aveva parlato del “più bel sito antico del mondo” – avevano incontrato Asaad. L’ex ministro della Cultura francese Jack Lang, ora direttore dell’Istituto del mondo arabo, ricorda l’archeologo che spiegava le rovine al presidente François Mitterrand. “E’ stato l’epitome dello scienziato illuminato, dall’incredibile erudizione, interamente dedicato allo splendore di questi luoghi”, racconta Lang. Sono rimaste le fotografie (ne pubblichiamo una in questa pagina), in cui si vede l’allora presidente francese passeggiare con la moglie fra le rovine di Palmira, al fianco di Khaled al Asaad. Di quelle immagini, che incarnano davvero la fine di un mondo, non restano né il sovrintendente né le rovine archeologiche e millenarie alle sue spalle, entrambi cancellati dallo Stato islamico.

 

Asaad aveva frequentato il collegio a Damasco e per arrivarci da Palmira, collegata soltanto con strade rudimentali prima del 1960, chiedeva ogni giorno un passaggio ai camionisti. Fu allora che si interessò ai monumenti funerari disseminati nelle diverse necropoli. Asaad ha partecipato alla famosa missione americana a Qasr al Hayr al Sharqi, un castello dell’VIII secolo nel deserto siriano, sotto la direzione dell’archeologo Oleg Grabar. Dall’inizio della sua carriera fino al 2011, ha avuto una stretta collaborazione con la missione polacca, diretta prima da Kasimierz Michalowski e, dal 1969, da Michal Gawlikowski.

 

Le sue scoperte significative sono state, nel 2001, un cache di settecento monete d’argento e d’oro realizzate a partire dal VII secolo dai re persiani sasanidi Khorsu I e II, invasori della Siria, su cui voleva mettere le mani un altro invasore, il Califfo, e nel 2003 settanta metri quadrati di mosaico risalente al Terzo secolo, che mostra un uomo in lotta una bestia alata in mezzo a una panoplia decorativa di fichi, uva, cavalli e cervi.

 

Khaled al Asaad si era sposato con Hayyat, realizzando un matrimonio benedetto da undici figli: sei maschi e cinque femmine. Sua figlia Zenobia, che prende il nome dalla regina di Palmira, era custode della collezioni del museo; suo marito, Khalil Hariri, dopo aver preso un dottorato in Storia, è diventato il direttore del museo nel 2006.

 

Il franco-siriano Samir Abdulac, segretario generale per la Francia del Consiglio internazionale dei musei esSiti (Icomos), il cui padre, Selim, allora direttore delle Antichità della Siria, aveva assunto Asaad, rivede ancora la giovane recluta nel suo ufficio, lungo un corridoio buio, ingombro di libri e carte. “Tutto quello che è successo a Palmira in mezzo secolo – sottolinea – lo dobbiamo a lui”.

 

Al momento della sua nomina, nel 1963, nella sua casa, alle porte della città antica, Asaad ospitava la maggior parte dei giovani ricercatori provenienti da tutto il mondo che avevano viaggiato in Siria per vedere i resti di questo grande incrocio mercantile dell’antico oriente. La famiglia Asaad, notabili sunniti benestanti, aveva molte proprietà nella città vecchia, come l’Hotel Zenobia, le cui camere si affacciano sulle rovine. Ma è soprattutto la leggendaria biblioteca dell’archeologo, al primo piano della sua casa, che gli scienziati francesi, tedeschi, polacchi e italiani, volevano vedere, perché conteneva manoscritti eccezionali. Era impossibile resistere al fascino di questo scienziato che sembrava tradurre senza sforzo le iscrizioni sulle tombe in aramaico o greco antico, e che offriva ai visitatori i prodotti agricoli locali.

 

“La prima volta che l’ho incontrato”, racconta al Monde la dirigente del Louvre Sophie Cluzan, “ero una ragazza. Khaled era musulmano, ma ricordo che beveva vino e manteneva un certo distacco nei confronti delle credenze religiose, un fatto raro in Siria”. Come quasi tutti gli amministratori del patrimonio siriano, per lavorare doveva collaborare con il regime di Hafez al Assad e poi di Bashar. “Tutti i membri del personale all’epoca erano membri del partito Baath”, riconosce Abdal-Razzaq Moaz, ex vice ministro responsabile del Patrimonio, ora professore presso l’Indiana University. “Ma Khaled al Asaad derideva la politica. E durante le riunioni del partito, beveva tè, indifferente”. Anche per questa sua appartenza al Baath, è stato torturato dai miliziani dell’Isis per quasi un mese, nonostante la sua età avanzata.

 

Asaad ha guidato il sito per quarant’anni, tra il 1963 e il 2003, un periodo che può essere chiamato “la rinascita di Palmira”. A lui si deve il restauro di numerosi monumenti dell’antica città, come il grande colonnato, il teatro romano, le mura e il castello islamico. Nel corso della sua carriera, ha anche scoperto tombe e cimiteri come Borefa e Bolha, la tomba di Taibbôl e il cimitero bizantino nel giardino del Museo di Palmira.

 

Il periodo che va dal dicembre 1996 al giugno 1997 fu una sorta di rivelazione continua per Asaad. Mesi di scavi frenetici che portarono alla luce resti di animali e del cranio di un bambino, strumenti di terracotta, gioielli e oggetti d’oro, teste di cavalieri di pietra, colonne e magazzini, frammenti di statue, teste di statue di sacerdotesse, la statua di una dea della vittoria situata sopra un arcata e manufatti funerari di cripte.

 

Ma il suo contributo all’archeologia di Palmira non era limitato a scoprirne le rovine, ne avrebbe anche rivelato lo splendore attraverso diverse pubblicazioni. E’ stato Asaad a creare tra gli altri, nel 1966, la prima guida turistica “Benvenuti a Palmira”, tradotta in diverse lingue. Nel 1978, in collaborazione con l’Università del Michigan, ha scritto un libro sul Castello d’oriente “Qasr al-Hayr al Sharqi”, costruito nel periodo omayyade. Con il suo collega siriano Adnan Bouni, ha scritto nel 1984 il famoso libro “Palmyra - Storia, monumenti e musei”, che è stato tradotto in dieci lingue. Numerose le onorificenze che ottenne sul piano internazionale: dall’Ordine al merito della Repubblica francese all’Ordine al merito della Repubblica di Polonia, all’Ordine al merito del presidente della Tunisia.

 

Uomo timido e dal meraviglioso talento narrativo, Asaad aveva davvero fatto conoscere al mondo la steppa desertica che si estende da Palmira all’Eufrate, in gran parte grazie a lui attraversata in tutte le direzioni da geomorfologi, storici, etnologi. Fino ad alcuni mesi fa, quando l’Isis stava conquistando i villaggi attorno, Asaad aveva assicurato amici e familiari, che lo volevano portare a Damasco, che lui avrebbe vissuto “ancora trent’anni”. Come se il grande curatore, l’ultimo, considerasse i barbari che lo avrebbero di lì a poco decapitato e mutilato come un nulla sulla scala dell’eternità in cui svettavano le sue magnifiche e perdute rovine. Era sua abitudine in presenza degli studenti citare Marx: “Chi non conosce la storia è condannato a riviverla”.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.