Il dolore per le vittime dell’ultima strage islamista, quella che ha colpito gli studenti cristiani dell’Università di Garissa. Il terrorista era il figlio di una ricchissima famiglia keniota

Kamikaze da salotto

Giulio Meotti
Il terrorista che ha ucciso gli studenti cristiani di Garissa era il figlio di una ricchissima famiglia keniota. Lo Stato islamico è stato ribattezzato “l’organizzazione terroristica più ricca del mondo” (tre miliardi di dollari all’anno le sue entrate).

Il terrorista che ha ucciso gli studenti cristiani di Garissa era il figlio di una ricchissima famiglia keniota. Lo Stato islamico è stato ribattezzato “l’organizzazione terroristica più ricca del mondo” (tre miliardi di dollari all’anno le sue entrate). Di Osama bin Laden e della sua infanzia dorata sappiamo tutto. Quindici dei diciannove kamikaze dell’11 settembre provenivano da rinomate famiglie mediorientali. Mohammed Atta era il figlio di uno degli avvocati più ricchi del Cairo, mentre Ziad Jarrah, che schiantò il volo 93 in Pennsylvania, apparteneva a una delle famiglie più conosciute e benestanti del Libano. Nawaf al Hazmi, che schiantò contro il Pentagono l’aereo American Airlines 77, era un ragazzo ricco cresciuto alla Mecca. Nasra Hassan, che ha scritto per il New Yorker il miglior profilo dei kamikaze palestinesi, ha spiegato che “di 250 attentatori suicidi, nessuno era analfabeta, povero o depresso. Gran parte proveniva dalla classe media e c’erano persino due figli di milionari”. Aimal Kasi, che ha ucciso due agenti della Cia, aveva ereditato una fortuna alla morte del padre, un imprenditore pakistano. E che dire di Abdelkarim Mejjati, la “primula rossa” dietro alla strage di Atocha, nato e cresciuto nella capitale commerciale del Marocco, Casablanca, in Rue d’Oran, nell’esclusivo quartiere di Gauthier, da un padre ricchissimo commerciante e da una madre titolare di una catena di saloni di bellezza?

 

Come ha detto il principe Naif Abdel Aziz, ministro dell’Interno dell’Arabia Saudita: “A generare il terrorismo non è la disoccupazione né la voglia di riscatto sociale. Tra le persone arrestate ho conosciuto alti funzionari con ottimi salari e commercianti di rilievo”. Eppure, la doxa ripete che il terrorismo è figlio dell’ingiustizia, della povertà, della depressione economica, del malcontento sociale, della rabbia dei senza lavoro, della disperazione di un lumpenproletariat offeso dall’arroganza. Nulla di più falso. Tutti i capi del terrore internazionale, rosso o islamico, sono figli del privilegio e hanno condotto esistenze dorate.

 

“Il motivo per cui il World Trade Center è stato colpito è che ci sono un sacco di persone che vivono nella povertà assoluta là fuori e che non hanno alcuna speranza di una vita migliore”, disse il fondatore della Cnn Ted Turner durante una lezione presso la Brown University nel 2002. Molti altri luminari nei media, nel mondo accademico, e in politica condividono la sua opinione. Tra questi ci sono l’ex segretario di stato Colin Powell (“Poverty aids terrorism”), gli ex presidenti Bill Clinton e George W. Bush e l’ex primo ministro britannico Tony Blair. E tuttavia il terrorismo non fermenta fra i dannati della terra, ma fra i primi della classe. Lo studioso David Meir Levi osserva che “le zone più povere del mondo (le popolazioni indigene dell’America del sud, gli africani sub-sahariani, le minoranze povere dell’Asia orientale e le minoranze indigenti dell’India) non hanno prodotto terroristi, o quasi nessun terrorista”.

 

Tutti i sondaggi tra i palestinesi hanno mostrato un forte sostegno per il terrorismo contro obiettivi israeliani tra gli studenti universitari, le fasce agiate della popolazione e i professionisti. I disoccupati sono sempre i meno propensi a sostenere tali attacchi. Un altro studio dell’Università di Princeton ha dimostrato che più della metà degli attentatori suicidi palestinesi aveva frequentato la scuola superiore e proveniva da famiglia economicamente solide, mentre meno del quindici per cento della popolazione generale della stessa età aveva una formazione post liceale.

 

Le Brigate rosse sono state il gioco proibito e riservato di pochi, privilegiati e ricchi borghesi annoiati dal “sistema”. Ma già Bakunin, che inventò il terrore anarchico, era il figlio di un miliardario russo, un feudatario di terreni e signore di duecento servi della gleba. Per non parlare di Robespierre, il primo per cui nella storia si è usato il termine “terrorismo”, decapitatore ante litteram e figlio di una delle più ricche famiglie di notai di Francia.

 

Come quel ricco imprenditore editoriale milanese, il “Giangi” dei salotti borghesi, rimasto ucciso sotto un traliccio mentre cercava di far detonare una bomba rivoluzionaria. Nella sua versione pop, il legame fra il terrore e la ricchezza ha avuto il volto di Patricia Hearst, la nipote del fondatore della maggiore catena di giornali degli Stati Uniti, rapita in una villetta a Berkeley, la cui ultima immagine ce la consegna seminuda e scalciante. Nota fra i suoi compagni di università solo come “Patty la bomboletta”, una diciannovenne carina e di rango sociale elevato, la Hearst rinnegò tutto per trasformarsi in una terrorista “symbionese” che predicava “la distruzione dello stato capitalista e dei suoi sistemi di valori”. E che dire di Fusako Shigenobu, la “Butterfly di ferro”, la terrorista a capo dell’Armata rossa giapponese? Proveniente da una famiglia benestante, il padre ufficiale dell’esercito imperiale giapponese, Fusako Shigenobu era una specialista di letteratura giapponese antica che aveva frequentato una delle migliori università private del paese, la Meiji a Tokyo, distinguendosi per la passione nutrita per i poemi classici. Fu lei a ordinare la strage all’aeroporto di Lod di Tel Aviv, uccidendo ventisei persone. Fu il primo atto di terrorismo contro gente inerme e non contro obiettivi precisi, specificatamente diretto a seminare il panico, a portare il terrore ovunque.
E’ un figlio del privilegio “Carlos lo Sciacallo”, il capo di un commando di cinque terroristi che prese in ostaggio tutta l’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio: settanta persone, tra cui undici ministri. Carlos era il figlio del più ricco avvocato del Venezuela, José Altagracia Ramirez, che lo aveva cresciuto nel culto di Bolivar e di Zapata. Carlos è nato a San Cristobal il 12 ottobre 1949, proprio quando il Venezuela stava scoprendo il petrolio: un momento magico che avrebbe inondato il paese di dollari. Sono gli anni di José Ramirez, che si mette in proprio e strappa le lucrose licenze per la costruzione del porto di Barcelona, la città-vetrina affacciata sulle Antille, e che verrà ribattezzato il “Paperone dei Caraibi”. E’ lo stesso Carlos che si convertirà all’islam: “La battaglia di bin Laden per liberare La Mecca e Medina è anche la mia. D’altronde i morti dell’11 settembre erano tutti soldati nemici: in uniforme al Pentagono e in cravatta a New York…”.

 

Anche Abimael Guzmán, fondatore e leader dei terroristi di Sendero Luminoso, è il figlio di un miliardario peruviano. Guzmán e i suoi seguaci, allievi e docenti della facoltà di Scienze sociali dell’Università di Ayacucho, dove egli insegnava Diritto e Pedagogia, hanno massacrato migliaia di poveri campesinos rei di aver accettato viveri dall’esercito e firmato esecuzioni sommarle di studiosi, sindaci, medici, presunti “collaborazionisti”. Il figlio del padrone, Abimael Guzmán, semina morte e sangue nei villaggi impervi delle Ande, nelle giungle orientali, nelle periferie di Lima.

 

[**Video_box_2**]Era ricca la famiglia di Pol Pot, che non a caso fece parte dei duecentocinquanta cambogiani che nella prima metà del Novecento avevano avuto la possibilità di studiare all’estero. In soli quattro anni il “Fratello numero 1” ha sterminato un milione e mezzo di concittadini. Un quarto dell’intera popolazione. Una “soluzione finale” capace di rigenerare la storia, una furibonda utopia del terrore che affonda le sue radici non nelle giungle asiatiche, ma nei miti della sinistra europea come “Umanesimo e terrore” di Maurice Merleau-Ponty, che Pol Pot lesse da bravo studente della Sorbona.

 

Mikel Albizu Iriarte uno dei capi dei terroristi dell’Eta, proviene da una facoltosa famiglia di San Sebastián. Centotrentotto i morti sotto la sua “gestione” dei terroristi baschi. Per non parlare di Sabri al Banna, che il mondo conosce con il nome de guerre di “Abu Nidal”, terrorista con novecento morti sulla coscienza, nato a Giaffa da un ricchissimo commerciante di frutta che diede al figlio, futura icona del proleterariato arabo in guerra con Israele e l’occidente, un’infanzia di lusso e di sperperi.

 

Anche i “tupamaros” tedeschi della Rote Armee Fraktion erano tutti ricchi borghesi. L’unico “proletario” del gruppo, un operaio comunista, lavorò come spia dei servizi segreti. Ulrike Meinhoff (che impressionò Joachim Fest per la “drastica sicurezza” e “l’uso bellicoso e vuoto di concetti”) era un’elegante e raffinata giornalista, moglie di un ricco editore, collaboratrice di riviste d’avanguardia, che coagulò una banda di terroristi figli dell’alta borghesia, in possesso di mezzi sufficienti, in grado di soddisfare il proprio fanatismo armato, le bombe e le auto veloci. Gente come Bernward Vesper, figlio di una ricca proprietaria terriera, una matrona possente, che lo crebbe nella tenuta “Gut Triangel”, un parco con villa presso Luneburgo, in Bassa Sassonia.

 

E’ così che si arriva al jihadista pasciuto e integrato che abita nei quartieri blasonati di Londra, il kamikaze made in Europe con diplomi alle scuole private e lauree prestigiose, straordinari conti in banca e che si impegna a tempo pieno per rovesciare la società occidentale che lo ha generato e a distruggere la cultura dalla quale è stato, suo malgrado, nutrito. Che uccidano, come Carlos, dirigenti dell’Opec, o giornalisti francesi e cristiani caldei, come gli islamisti, questi terroristi sono accomunati da un’idea di palingenesi totale, di volontà del nulla che si trasforma in volontà di liquidazione dell’esistente. E’ una gnosi propria soltanto delle classi abbienti e delle élite economiche. I poveri invece, come diceva Marx, non avrebbero che da perdere le loro catene. Il terrore è sempre un bene di lusso.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.