il caso
Italia di nuovo condannata dalla Cedu per i debiti dei comuni in dissesto
Per la Corte europea dei diritti umani, lo stato italiano deve assicurare il pagamento dei debiti maturati dagli enti locali finiti in dissesto. Ma le misure adottate dal governo per far fronte a questo obbligo non sono ancora sufficienti
Rischia di non essere limitata al 2026, ma di diventare una misura strutturale la creazione del “fondo sentenze”, prevista dalla manovra economica in corso di approvazione. Il governo ha deciso di destinare ben due miliardi dei diciotto complessivi per l’istituzione di un fondo con cui “fronteggiare gli effetti finanziari derivanti dalle sentenze, dei plessi giurisdizionali nazionali ed europei, nelle quali lo stato potrebbe risultare soccombente”. Il pensiero del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti va in primo luogo al contenzioso in corso con Tim sul canone del 1998. Lo stato, secondo una sentenza d’appello impugnata in Cassazione, deve rimborsare a Tim una cifra, compresi gli interessi, di circa un miliardo per l’esborso del canone non dovuto. Ma a preoccupare il governo sono anche e soprattutto le conseguenze delle sentenze con cui la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) da inizio anno sta condannando lo stato italiano ad assicurare il pagamento dei debiti maturati dagli enti locali finiti in dissesto.
Le sentenze della Cedu danno finalmente risposta alle tante imprese che vantano crediti nei confronti di comuni, regioni, enti locali o società partecipate ma che, nonostante questo, a causa del fallimento dei soggetti in questione, non ricevono mai indietro le risorse che gli spetterebbero. Per la Corte di Strasburgo, il mancato pagamento dei debiti da parte della Pubblica amministrazione vìola non solo il diritto di proprietà, ma, se già esiste una sentenza, anche il diritto al giusto processo. Di conseguenza, quando le varie articolazioni della Pubblica amministrazione non rispettano i loro obblighi (anche in caso di fallimento), la responsabilità ricade comunque sullo stato centrale.
Da gennaio lo studio legale italiano Ontier ha ottenuto una decina di sentenze favorevoli della Cedu nei confronti di banche e fornitori della Pa. Lo stato italiano è stato condannato ad assicurare, entro tre mesi, l’esecuzione dell’intero credito rimasto insoddisfatto a causa della situazione di dissesto dell’ente locale debitore. In un caso, come abbiamo raccontato su queste pagine lo scorso 30 settembre, di fronte all’inerzia dello stato il tribunale di Roma è persino arrivato a emettere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo nei confronti della presidenza del Consiglio. In quel caso si trattava del pagamento di un credito di ben 100 milioni di euro vantato da una banca (Banca Sistema) nei confronti del comune di Catania.
Per adempiere agli obblighi imposti dai giudici di Strasburgo e romani, il governo ha adottato un decreto legge (il n. 156 del 29 ottobre) che attribuisce al ministero dell’Interno la possibilità di erogare un contributo fino a 40 milioni di euro in favore dei “comuni capoluogo di città metropolitana” che sono destinatari di sentenze di condanna della Cedu “per inadempimento di obbligazioni di pagamento”. Lo sblocco delle risorse ha consentito al comune di Catania di adempiere al pagamento del debito di 103 milioni di euro in favore di Banca Sistema.
Il problema, però, è duplice. Da una parte, secondo i dati del Tesoro, risultano in dissesto ben 105 comuni, e non tutti rientrano nella categoria di “comuni capoluogo di città metropolitana”. Nei giorni scorsi l’Italia è stata di nuovo condannata dalla Cedu, ma i comuni al centro delle vicende non potranno beneficiare del contributo previsto dal decreto del 29 ottobre.
Dall’altra parte, restano esclusi dalla platea prevista dalla misura del governo anche i tantissimi consorzi ed enti a partecipazione statale che pure sono falliti con milioni di euro di debiti sul groppone. Bastano tre esempi su tutti: Ato3 e Messinambiente, le ex società di gestione dei rifiuti di Messina, fallite con un debito di circa 100 milioni; i tredici Consorzi di bonifica siciliani, gravati da un debito complessivo di 180 milioni; il Consorzio idrico terra di lavoro, che ha operato nella provincia di Caserta prima di fallire con circa 100 milioni di debiti. Avendo avuto una partecipazione pubblica, per la Cedu lo stato italiano è tenuto a garantire che anche questi soggetti onorino i propri debiti. Il governo, dunque, dovrà trovare una soluzione.
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