Magistrati prima di una cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario in Cassazione (foto Ansa)
botta e risposta
La riforma della giustizia non porta autoritarismo. Barbera risponde a Pomicino
Il vero nodo non è temere i pm, ma correggere un sistema bloccato da corporazioni e correnti. Per questo il ‘no’ condannerebbe l’Italia all’immobilismo
Caro Paolo, siamo stati insieme, per anni, parlamentari della Repubblica e ho letto con simpatia e rispetto il tuo dissenso.
Intanto, caro Paolo, non sono rimasto fermo, come tu dici, alla cultura della Corte costituzionale o quella di componente della commissione Affari costituzionali ma sono stato (lo ricordi?) anche presidente del Giurì d’onore da te richiesto (novembre 1991) contro accuse che ti venivano rivolte da altri parlamentari per presunti finanziamenti non dichiarati. E proprio in quella occasione, suscitando l’ira dei tuoi accusatori (seduta del 20 novembre 1991), tenemmo a sottolineare l’esigenza che fosse necessario non solo produrre delle prove ma discuterle in contraddittorio con te.
Ma siamo sicuri che tu stia manifestando una opinione dissenziente? Vediamo: tu dici “quello che oggi si richiede con urgenza è il recupero della politica”, non la riforma costituzionale! Appunto! E’ quello che in questa campagna referendaria si chiede all’elettore: evitare cioè di ripetere pigramente le posizioni degli attuali schieramenti partitici e guardare ai contenuti della riforma. Con un duplice obbiettivo: valorizzare una forma alta di democrazia diretta ed evitare che un obbiettivo politico da decenni perseguito sia reso vano dalle chiusure (lo dico con sofferenza!) corporative dell’Associazione magistrati. Se dovesse prevalere il “no” dovremmo per decenni rinunciare anche in altri settori a una politica istituzionale.
Citi poi una serie di episodi di “intollerabile giustizialismo “che hanno dolorosamente colpito anche te concludendo che “il vero degrado era della magistratura requirente e non della giudicante” come dimostrerebbero le tante assoluzioni (anche tue) e le carriere politiche assicurate a taluni pm (e “non ai magistrati giudicanti”). Ora, tu aggiungi, con la riforma “quella parte viene autonomizzata… e potranno intimidire anche i magistrati giudicanti”. E concludi: “Un sì al referendum farebbe cadere l’Italia in una deriva autoritaria… nella quale politica e magistratura giudicante sarebbero le vittime predilette” di quella inquirente.
Fermo restando che non condivido tanta sfiducia nei pubblici ministeri, benemeriti nella lotta alla mafia e al terrorismo, non vedo, caro Paolo, il pericolo: in ogni caso la parola ultima e decisiva, applicando finalmente i princìpi del processo accusatorio, spetterà come recita l’art.111 della Costituzione, “nel contradittorio delle parti a un giudice terzo e imparziale”. Gli uni e gli altri tutelati nella loro indipendenza dai rispettivi organi di garanzia, entrambi presieduti dal Capo dello Stato, così evitando che, nell’unico Csm, la carriera dei “giudicanti” sia condizionata dai voti dei “requirenti” (e viceversa ovviamente).
Aggiungi infine “il sorteggio non fa certo sparire le correnti che invece agiranno ancora più oscuramente nell’ombra attraverso l’Anm”. E’ vero: l’Associazione magistrati rimane in vita godendo delle garanzie che la Costituzione offre a tutte le realtà associative politiche e culturali ma non avranno la possibilità – e non è poco – di alimentare l’attuale correntocrazia nell’unico Csm.
Poiché si vota per correggere l’esistente, e non per evitare oscuri e possibili scenari, da qui il mio dubbio che in realtà la tua non sia una posizione dissidente ma quella di un (sia pur) scettico possibile sostenitore della riforma.
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