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L'intervento
La riforma della giustizia farà male alla democrazia. Pomicino scrive a Barbera
"Si rafforzerà in maniera pesante proprio la parte che si voleva correggere: la parte inquirente della magistratura. Un sì al referendum farebbe cadere l’Italia in una deriva autoritaria", dice l'ex ministro
La nuova legge costituzionale sulla cosiddetta riforma della giustizia con la netta separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e magistrati requirenti ha aperto un crescente dibattito in vista del referendum confermativo, visto che la legge non è stata approvata dai due terzi del Parlamento. Nel dibattito sono subito scesi gli “esperti”, dividendosi tra il sì e il no al prossimo referendum. Con tutto il rispetto per gli esperti, quel che oggi si richiede con urgenza è il recupero della politica, quell’arte finissima capace di governare una società complessa ricomponendo diritti e doveri in un “unicum” apprezzato dalla stragrande maggioranza del paese, ma anche di interpretare il senso politico dei problemi. Agli esperti, poi, il compito di tradurre il pensiero politico in norme di legge.
Purtroppo, ad oggi, quel che manca è la competenza politica, cosa diversa da quella tecnica, come ben sa il nostro amico Augusto Barbera che, nel suo “colto” editoriale su queste colonne, sembra ricordarsi solo della sua esperienza alla Corte costituzionale, dimenticando la sua lunga permanenza alla Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati.
Ma andiamo con ordine, cominciando dal cogliere l’essenza politica della questione, che questa volta sta in alcuni dettagli che vanno in senso opposto alle finalità di questa riforma. Negli ultimi trent’anni l’intollerabile giustizialismo si è annidato nel settore dei magistrati requirenti creando stupore e allarme nella società. L’arrivo del cosiddetto “giusto processo” risanò un buco terribile nella legislazione, secondo cui i testimoni dell’accusa dichiaravano quel che volevano senza contraddittorio nelle calde mani dei pubblici ministeri, salvo poi avvalersi della facoltà di non rispondere nel corso del processo, per cui rimanevano agli atti le terribili e spesso false dichiarazioni accusatorie consegnate al caro pm che mandava subito a casa il suo prezioso testimone. È superfluo ricordare che, se il testimone non fosse stato “docile”, difficilmente sarebbe tornato a casa. Un ricordo personale.
Nei primi anni Novanta il pm Francesca Greco volle fare un confronto tra me e il mio amico Franco Ambrosio (ex Italgrani). Mi opposi subito spiegando che quando Ambrosio, poi tragicamente scomparso anni dopo, veniva arrestato, il suo avvocato gli diceva “di qualcosa su Pomicino e andiamo subito a casa”. Io farò il confronto, dissi, solo se voi date la vostra parola d’onore che non arrestate più Ambrosio. E così fu. Non arrestarono più Ambrosio e le accuse si dissolsero da sole. Ma c’è di più. Nei primi anni Novanta tre autorevoli pubblici ministeri, Giovanni Melillo, Paolo Mancuso e Franco Roberti, inviarono alla Camera dei deputati un avviso di garanzia per tre ex ministri democristiani, Antonio Gava, Enzo Scotti e il sottoscritto, perché sospettati di essere collusi con la camorra. Fummo tutti assolti con formula piena, ma quell’avviso fu sufficiente a far scattare la gogna. Perché di questo si è trattato nei primi anni di Tangentopoli. Si mandavano gli avvisi di garanzia “temerari” perché scattasse subito la gogna e si troncava la vita politica di tanti, di troppi, e tutti nei partiti di maggioranza. Ecco il motivo del giusto processo, all’interno del quale poi la magistratura giudicante ha fatto strage della stragrande maggioranza delle accuse così organizzate.
Questi esempi stanno a dimostrare che il vero degrado era della magistratura requirente e not della giudicante. Ora, con questa riforma non abbastanza meditata nei particolari, che cosa accade? Quella parte degradata, o per incapacità o per dolo di molti tra i requirenti, viene autonomizzata con un proprio Consiglio superiore, per cui, per dirla con la voce del popolo, se la cantano e se la suonano da soli. Anzi, potranno intimidire anche i magistrati giudicanti quando questi faranno decadere le accuse di un pm, ed hai voglia di sorteggiare i componenti dell’Alta corte disciplinare: pescherai sempre e solo un pm. Il sorteggio non fa certo sparire le correnti, che invece agiranno ancora più oscuramente nell’ombra e attraverso l’Anm, che diventerà più importante del Csm.
Insomma, alcuni contenuti di questa riforma sbagliata rafforzeranno in maniera pesante proprio la parte che si voleva correggere: la parte inquirente della magistratura, che ha più dato scandalo in questi ultimi trent’anni, avendo in premio quasi sempre promozioni e uffici di grande responsabilità e molto spesso un’elezione alla Camera o al Senato della Repubblica. In trent’anni molti pubblici ministeri, infatti, sono diventati parlamentari nazionali o europei, mentre nessun magistrato giudicante ha mai avuto un premio di tale portata. E perché mai il procuratore generale della Cassazione, che ha il potere disciplinare, improvvisamente, con questa riformicchia, dovrebbe essere fulminato sulla strada di Damasco e dare segno della sua presenza? E perché mai il ministro della Giustizia, restato in silenzio per tre decenni, dovrebbe risvegliarsi ed iniziare un’attività disciplinare rispetto alle temerarie accuse dei pm, dopo che la magistratura giudicante ne ha fatto strame? Come c’è l’obbligo dell’azione penale, dovrebbe esserci anche l’obbligo dell’azione disciplinare al termine di un processo in cui le accuse si sono dimostrate false e tendenziose, e quando il pm non ha cercato, come la legge impone, anche le prove dell’innocenza dell’indagato.
Potremmo continuare, ma è fin troppo chiaro che un sì al referendum farebbe cadere l’Italia in una deriva autoritaria nella quale politica e magistratura giudicante sarebbero le vittime predilette. A me è capitato di avere ben 42 procedimenti giudiziari, di cui 17 solo dalla procura di Napoli, e, tranne uno in cui ero reo confesso per aver ottenuto un contributo elettorale per l’intera mia componente nazionale della Dc, in tutti gli altri la magistratura giudicante non ha avuto difficoltà ad assolvermi con formula piena. Gli esempi riportati non mi hanno lasciato né rancori né risentimenti, ma certamente alla mia città è stato tolto, all’età di poco più di cinquant’anni, un suo deputato che ancora oggi, in tarda età, sa leggere e scrivere, caro presidente Barbera.