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procure e salotti

L'inchiesta di Milano su Mps-Mediobanca tra il solito "sistema" e ipotesi vaghe

Maurizio Crippa

Negli ultimi anni il metodo della procura milanese è stato quello di indagare fenomeni e di aprire inchieste (con indagati) su cui poi raccogliere prove. Il contrario di una indagine che parta da fatti accertati

Milano. Same player shoots again, come diceva il display dei vecchi flipper al bar. E l’extra ball della procura di Milano stavolta ha l’aria di poter girare molto veloce, fin su nei livelli alti. L’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone, il presidente di EssilorLuxottica e del gruppo Delfin Francesco Milleri e l’amministratore delegato di Mps Luigi Lovaglio sono indagati per aggiotaggio e ostacolo alle autorità di vigilanza nell’operazione che ha portato alla scalata di Mediobanca da parte della cordata guidata da Mps. Nello specifico, avrebbero agito “di concerto”, prima di renderla pubblica, nascondendola anche a Consob. Accuse ovviamente gravi che necessitano, ovviamente, di essere sostanziate, anche per prevenire l’effetto “indagine su un sistema” frequente nel nostro paese. Ma la materia d’attenzione, come si dice, c’è tutta e Milano ha rialzato un’altra volta le antenne in direzione di Via Freguglia.

 

Curioso notare che Via Freguglia, sede della procura di Milano, sia stata da alcuni di recente indicata come un nuovo porto delle nebbie: ognuno ha la propria indagine per cui fare il tifo, e il garantismo è spesso la prima vittima. Era da molto tempo che la procura non affrontava un’indagine così al centro del sistema bancario e finanziario, i cui contorni e possibili ricaschi politici sono evidenti. Dall’arrivo a Milano del procuratore Marcello Viola nel 2022 le inchieste benchmark che hanno connotato la procura, sorrette dall’attenzione mediatica, sono state quelle del tipo pop-populista: quelle sull’urbanistica spinte, dal malcontento sociale e dalle strumentalizzazioni politiche (ma pesantemente stroncate nella loro impostazione sistemica); le inchieste sui presunti caporalati di aziende come Tod’s o Armani; lo statuto della Fondazione Milano-Cortina o addirittura sulla proprietà del Milan. O quella sacrosanta sulle curve dei tifosi, non comunque centralissima in una città in cui la sicurezza latita (di ieri un forte allarme del questore Bruno Megale sulla “aggressività degli adolescenti”).


 

“Accendere un faro”, come dice la cattiva pubblicistica giudiziaria, su un’operazione di sistema come Mps-Mediobanca è diverso. E se già con inchieste più semplici è necessaria la prudenza e d’obbligo il garantismo, con un caso che coinvolge società quotate la necessità è maggiore: ieri Mps ha perso quasi il 5 per cento. Doverosamente ieri Montepaschi, quotata, ha comunicato che “in relazione alle indiscrezioni di stampa” ha “ricevuto la notifica da parte della procura della Repubblica di Milano di un decreto di perquisizione” e che le ipotesi di reato indicate nell’avviso di garanzia per Lovaglio “fanno riferimento all’ostacolo alle funzioni di vigilanza ed alla manipolazione di mercato”. Si tratterà ora di vedere quale tipo di carte d’appoggio alle accuse la procura abbia in mano. Negli ambienti di avvocatura milanese si fa notare che per reati del tipo di quelli ipotizzati occorrono “smoking gun ben caricate”, che al momento non sono note. Il rischio che come nel caso delle inchieste dell’urbanistica basate sul “sistema corruttivo” prevalga anche a livello mediatico il refrain della “vicenda che si inquadra” è presente.

 

Questa volta comunque l’inchiesta è affidata alle cure dell’aggiunto Roberto Pellicano, magistrato d’esperienza nel settore dei reati economici e con una storia professionale ben delineata. Dodici anni fa, un’èra geologica politica lontana, fu nel pool di Alfredo Robledo che mandò a processo Umberto Bossi e Cerchio magico per la mala gestione dei fondi della Lega. Poi nel 2017 si dimise con una lettera al vetriolo in cui in sostanza denunciava il venir meno di “un’idea di ‘diversità’ della magistratura” a causa dello scontro tra Edmondo Bruti Liberati e Robledo, di cui il procuratore aveva bocciato alcune iniziative. Ora è tornato da aggiunto e ha guidato tra l’altro la squadra che chiesto il fallimento di Group Holding, legato alla ministra Daniela Santanchè. Tutto d’un pezzo, ma non bastano le accuse generiche. Negli ultimi anni il metodo della procura milanese – dall’edilizia a Equalize – è stato quello di indagare fenomeni e di aprire inchieste (con indagati) su cui poi raccogliere prove. Il contrario di una indagine che parta da fatti accertati. E’ ovvio che ci sia attenzione da parte della città. Non è un mistero che, anche fuori dal salotto di Mediobanca, un certo mondo della borghesia finanziaria milanese (non così grande, a giudicare poi dai pochissimi che hanno difeso l’ex ad di Mediobanca, Alberrto Nagel) abbia accolto con ritrosia e mugugni (non più di mugugni, però) un’operazione in cui lo stato ha avuto un ruolo nella definizione degli assetti bancari di mercarto, con impatti sul “risiko” e proiezioni internazionali. Anche se la famosa borghesia milanese, lo ricordava al Foglio anche Ferruccio de Bortoli, si è dimostrata disinteressata su questa operazione di mercato – secondo molti osservatori la scalabilità di Mediobanca è invece un segno di apertura del mercato – così come per inchieste urbanistiche che hanno prodotto, a oggi, il solo risultato di bloccare il sistema economico. Non sarebbe una grande idea, oggi, se un’altra volta ancora la politica e il mondo economico si affidassero alla sola azione della magistratura in un’inchiesta dai confini complessi. In seguito ci sarà anche da chiedersi come un’inchiesta (ipotetici processi e ipotetiche conferme di reati) possa davvero impattare su un’operazione di acquisizione ormai conclusa e promossa a pieni voti dal mercato. Il prossimo colpo lo sparerà ancora la procura, ci si augura con mira accurata.

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"