il caso

“Testimoni vomitati dalle difese”. Le incredibili parole del giudice del processo al clan Moccia

Ermes Antonucci

La frase del giudice Donnarumma rappresenta solo la punta dell’iceberg di una vicenda in cui l’obiettivo della magistratura sembra essere diventato quello di arrivare il prima possibile alla condanna degli imputati

“Le liste dei testimoni che avete vomitato in questo processo”. E’ l’incredibile frase rivolta lo scorso 10 novembre dal giudice Raffaele Donnarumma ai difensori dei 43 imputati al centro del maxi processo in corso a Napoli sul clan camorristico Moccia. La frase ha scatenato l’immediata reazione degli avvocati difensori, che prima hanno chiesto in aula al giudice Donnarumma  se avessero sentito bene (“Sì, l’ho detto e me ne assumo la responsabilità”, la risposta del giudice, che è presidente del collegio), e poi hanno avanzato istanza di ricusazione nei suoi confronti per “l’inqualificabile mancanza di rispetto esternata nei confronti dei diritti difensivi”. La frase del giudice Donnarumma rappresenta solo la punta dell’iceberg di una vicenda in cui l’obiettivo del tribunale di Napoli sembra essere diventato semplicemente quello di arrivare quanto prima alla condanna degli imputati, sull’onda anche di una campagna mediatica che chiede a gran voce che il “bene” (le tesi della procura guidata da Nicola Gratteri) trionfi sul “male” (le persone accusate). 

 

Il processo ha guadagnato l’attenzione della stampa nazionale lo scorso fine luglio, quando dodici imputati sono stati scarcerati per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare (tre anni). Tra questi anche i fratelli Antonio, Angelo e Luigi Moccia, ritenuti ai vertici del clan di camorra di Afragola, anche se, pur essendo stati sottoposti a plurimi processi negli ultimi anni, non sono mai stati condannati per associazione mafiosa. Il rinvio a giudizio del 2022 e tre anni di udienze non sono infatti bastati per arrivare a una sentenza di primo grado, ma sono serviti soltanto per concludere l’esame dei testimoni dell’accusa. Peraltro, per circa un anno e mezzo l’esame ha avuto come oggetto un unico testimone: un colonnello dei Carabinieri. 

 

Insomma, in questi tre anni gli avvocati difensori non hanno quasi mai toccato palla, eppure la scarcerazione di diversi imputati, dovuta alla scadenza dei termini massimi di custodia cautelare, ha suscitato l’indignazione di diversi osservatori, tra cui Roberto Saviano, che sulle pagine del Corriere della Sera ha parlato di “scandalo ignorato” e ha invocato addirittura l’intervento del governo. All’ondata di indignazione si è unito anche il magistrato Catella Maresca, ex candidato sindaco di Napoli. L’apice è stato raggiunto lo scorso 7 ottobre, quando il procuratore Gratteri si è presentato in aula, rindossando dopo tanti anni la toga, per sostenere in prima persona i colleghi (Ivana Fulco e Ida Teresi) che rappresentano l’accusa. 

 

Pochi giorni prima, quasi per accogliere il richiamo della forca della piazza, il presidente del tribunale di Napoli, Gianpiero Scoppa, ha adottato un provvedimento eccezionale, esonerando i componenti del collegio giudicante (Donnarumma, Michele Ciambellini e Angelo Ambrosio) dalla trattazione di qualsiasi altro dibattimento, fissando quattro udienze a settimana (con conseguente taglio delle liste dei testimoni presentate dai difensori) e stabilendo che il processo “dovrà essere ineludibilmente definito entro il mese di novembre”. Ciò in violazione delle disposizioni tabellari che riguardano l’organizzazione del tribunale (definite dal Csm) e soprattutto del principio del giudice naturale precostituito per legge. Che in realtà è da tempo andato a farsi benedire, se si considera che dall’inizio del processo la composizione del collegio giudicante è cambiata già 14 volte. 

 

A motivare questa “corsa” alla condanna è anche la volontà del tribunale di evitare il quindicesimo cambiamento di collegio, visto che Ciambellini è nel frattempo stato nominato sostituto procuratore generale della Cassazione (sì, continuerà a fare il giudice nel processo ai Moccia, pur essendo diventato pm: l’ennesimo paradosso). 

 

Insomma, pur di concludere il prima possibile il dibattimento di fatto è stato istituito un processo “speciale”, che restringe al massimo i diritti di difesa degli imputati e che appare finalizzato soltanto all’emissione di una sentenza di condanna. D’altronde, il collegio giudicante ora “blindato” nella sua composizione è lo stesso che a inizio ottobre ha disposto per diversi imputati il divieto di dimora in Campania e nel Lazio, richiamando le parti dell’originaria ordinanza di arresto in cui Antonio, Angelo e Luigi Moccia sono definiti i tre membri di un “triumvirato di comando del clan”. “Una chiarissima manifestazione di convincimento circa la colpevolezza degli imputati”, denunciano i difensori, che hanno chiesto il trasferimento del processo da Napoli per il pregiudizio dei giudici e le pressioni mediatiche. 
 

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  • Ermes Antonucci
  • Classe 1991, abruzzese d’origine e romano d’adozione. E’ giornalista di cronaca giudiziaria e studioso della magistratura. Ha scritto "I dannati della gogna" (Liberilibri, 2021) e "La repubblica giudiziaria" (Marsilio, 2023). Su Twitter è @ErmesAntonucci. Per segnalazioni: [email protected]