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verso il referendum sulla giustizia

Approssimazione e ostinazione: i vizi del metodo Gratteri

Luciano Capone

Un torto alla verità e uno alla logica. Così il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli manipola Giovanni Falcone sulla separazione delle carriere

La vicenda dell’uso strumentale delle parole, false o vere, di Giovanni Falcone a fini di campagna referendaria sta diventando grottesca. Non si capisce più se la corsa forsennata a qualche mozzicone di frase pronunciata dal magistrato ucciso dalla mafia debba servire a sostenere la battaglia politica contro la separazione delle carriere o, più modestamente, a evitare di chiedere scusa per una brutta – ma davvero brutta – figura. Come è noto Nicola Gratteri, procuratore di Napoli nonché frontman del No al referendum, è stato beccato a leggere in diretta televisiva un’intervista falsa, che circolava su internet e poi su alcuni giornali, in cui rozzamente Falcone si schierava contro la separazione delle carriere di giudici e pm. Quando è stato scoperto, Gratteri ha usato una giustificazione ulteriormente imbarazzante per un pubblico ministero: “Ho letto la finta intervista a Falcone da Floris perché me l’hanno mandata persone serie. Erano persone autorevoli dell’informazione, e io l’ho letta”.

 

Subito dopo, però, Gratteri ha cominciato una forsennata corsa a trovare pezze d’appoggio per poter sostenere, stavolta trovando frasi vere, che comunque Falcone era contro la separazione delle carriere. “Il senso delle mie parole è stato frainteso e strumentalizzato”, ha detto riferendosi all’intervista falsa che ha spacciato come vera. “Generalmente non mi piace tirare in ballo chi non c’è più, soprattutto se si tratta di uomini di grande spessore culturale e giuridico come Falcone e Borsellino – ha detto all’Ansa – l’ho fatto e, quindi, mi sembra doveroso chiarire ulteriormente per un’ultima volta”.

   

Così, dopo aver fatto un torto alla verità, Gratteri ne fa uno alla logica: siccome non gli pare corretto tirare in ballo i morti come Falcone, dato che l’ha fatto già una volta usando un’intervista inventata, lo fa di nuovo usando un intervento vero al fine di affermare che comunque aveva ragione lui, Gratteri, anche quando ha usato l’intervista falsa. 

 

Così il procuratore di Napoli cita un discorso di Falcone tenuto all’Istituto Gonzaga dei Gesuiti di Palermo l’8 maggio del 1992, pochi giorni prima di essere ucciso a Capaci, per sostenere che il magistrato ucciso dalla mafia si espresse contro la separazione delle carriere. “Spiegò – dice Gratteri – che indipendenza e autonomia, se per un verso devono essere strettamente legate all’efficienza della magistratura, dall’altro non significano affatto separatezza dalle altre funzioni dello stato. ‘Io credo che prima o poi si riconoscerà che non è possibile una meccanicistica separatezza’, spiegò Falcone, ‘perché ciò determina grossi problemi di funzionamento e di raccordo’”. Vedi che Falcone era contro la separazione delle carriere. “E’ chiaro – prosegue Gratteri – che il senso delle affermazioni attribuite a Giovanni Falcone e da me riprese, se anche non rilasciate a un quotidiano, unico dato errato, ma in altra occasione, sintetizzano e rappresentano il suo reale pensiero”. La tesi, tanto surreale quanto terrificante in bocca a un procuratore della Repubblica, in sostanza è questa: l’intervista falsa di Falcone non era autentica, ma era comunque veritiera.

 

L’argomento è abbastanza sconcertante sul piano del metodo. Ma il problema è che è anche falso. Come hanno scritto sul Dubbio Davide Varì e Damiano Aliprandi, quel mozzicone di frase di Falcone è preso fuori contesto e significa tutt’altro. In quel discorso della durata di quasi un’ora, peraltro reperibile su Radio radicale, Falcone parlava del nuovo processo penale dopo la riforma Vassalli e dello scontro tra politica e magistratura. Sulla separazione delle carriere, il magistrato fa solo un passaggio in riferimento al nuovo sistema accusatorio, peraltro non in direzione di ciò che sostiene Gratteri: “Il pubblico ministero è sì un organo giudiziario ma – dice Falcone –, non essendo titolare della potestà di giudicare, neppure può dirsi giudice in senso tecnico. Quali che possano essere nel concreto le soluzioni da adottare, un punto mi sembra fondamentale: il pm deve avere un tipo di regolamentazione differente da quella del giudice, non necessariamente separata. E ciò non per assoggettarlo all’esecutivo, come si afferma, ma al contrario per esaltarne l’indipendenza e l’autonomia”. Falcone ha le idee chiare, molto più avanti rispetto ai suoi colleghi dell’epoca, sulla netta distinzione tra le due funzioni ma – almeno in quel discorso – non si esprime in senso né favorevole né contrario alla separazione delle carriere (“non necessariamente”). Sostenere il contrario, come fa Gratteri, è l’ennesima strumentalizzazione di una persona che purtroppo non c’è più: una manipolazione, dopo una falsificazione. Il passaggio citato da Gratteri, ma basterebbe un po’ di analisi logica, in cui Falcone parla di “indipendenza e autonomia” della magistratura che “non significano affatto separatezza dalle altre funzioni dello stato”, non si riferisce affatto alla separazione delle carriere tra giudice e pm. Si riferisce alla separazione tra funzioni e istituzioni dello stato, dato che in quel discorso Falcone affrontava tra le altre cose alcune proposte di riforme istituzionali di Gianfranco Miglio e la profonda divisione tra politica e magistratura.

 

Questo comportamento da parte di Gratteri non è nuovo. Qualcosa di analogo accadde nel 2021, quando sul Foglio rivelammo che, in piena pandemia, aveva pubblicato una prefazione elogiativa a un libro delirante, complottista, antisemita e No vax sul Covid-19 dal titolo “Strage di stato”. La reazione di Gratteri fu di negazione: per molti giorni ha ripetuto che la sua prefazione parlava semplicemente di come le mafie potevano avvantaggiarsi dell’epidemia, senza affrontare né appoggiare il contenuto del libro. Era evidentemente una falsità. La difesa, mentre le polemiche montarono, durò un paio di settimane. Ci beccammo una vagonata di letame, fra cui l’insinuazione – peraltro da parte del coautore di Gratteri Antonio Nicaso – di fare il gioco della ’ndrangheta, ma alla fine Gratteri fo costretto ad ammettere l’errore, con motivazioni simili a quelle di adesso: “Ho fatto un doppio errore, di eccesso di affidamento e di generosità mal riposta”. In sostanza, aveva scritto la prefazione di un testo che non aveva letto scritto da un collega magistrato che evidente riteneva una “persona seria”, come il giornalista che pochi giorni fa gli ha passato l’intervista falsa di Falcone.

 

Ciò che colpisce in questa vicenda non è tanto l’uso strumentale del pensiero di Giovanni Falcone a fini referendari. La speranza è che lui e Paolo Borsellino vengano lasciati in pace, da entrambi gli schieramenti, perché forse si sa cosa pensavano allora ma è impossibile dire cosa penserebbero oggi di questa riforma. Ciò che preoccupa è il metodo adottato Gratteri per avere ragione ed evitare di scusarsi: prima presenta un’intervista falsa a supporto della sua tesi, quando viene scoperto dice che gliel’ha passata un altro e non l’ha verificata, poi corre a cercare altre prove a sostegno della stessa tesi e se non le trova ne ritaglia una su misura, per dire che la vecchia prova falsa e la nuova prova sartoriale dimostrano la stessa cosa. Insomma, approssimazione e ostinazione. Si spera che questo non sia il metodo che in Italia usano i pm nelle loro inchieste: sarebbe un problema insormontabile, che neppure la separazione delle carriere risolverebbe.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali