Foto di Alessandro Di Meo per Ansa
l'editoriale del direttore
Processo all'inchiesta milanese
Doveva mostrare il malaffare della politica. Ma alla fine la procura di Milano ha mostrato i peccati della giustizia. Profitto criminalizzato, esondazioni, abuso della custodia cautelare. L’altro volto dell’inchiesta sull’urbanistica
Le allegre manipolazioni della storia utilizzate da magistrati smaliziati per provare a demolire la riforma della giustizia fanno discutere, creano interesse e mostrano una certa fragilità all’interno del fronte del No referendario: se per sostenere le proprie tesi occorre uscire fuori dalla realtà, la realtà che si vuole rappresentare non se la passa benissimo. Ma le allegre manipolazioni della storia utilizzate da magistrati smaliziati per provare a demolire la riforma Nordio sono nulla dinanzi a un’altra grande manipolazione giudiziaria che sta facendo i conti con la dura realtà dei fatti.
La manipolazione a cui facciamo riferimento riguarda quello che mesi fa è stato presentato come il processo dell’anno, forse del secolo, e che nel giro di pochi mesi è diventato tutto il suo opposto. Parliamo naturalmente dell’inchiesta portata avanti, con molte fanfare, dalla procura di Milano sull’urbanistica del capoluogo lombardo, e parliamo di quello che al momento è l’unico grande effetto generato dalla magistratura milanese, che piuttosto che documentare con la forza delle prove il presunto sistema criminale che avrebbe governato negli ultimi anni Milano ha aperto una finestra su un altro meccanismo perverso che è quello che si trova alla base di un sistema pericoloso: una giustizia fuori controllo, che alle prove preferisce i teoremi, che alle evidenze preferisce le allusioni, che al ragionevole dubbio preferisce il ragionevole sospetto e che alla ciccia preferisce la fuffa.
Ieri, lo sapete, la Cassazione ha confermato ciò che aveva già stabilito il Riesame, e ciò che invece non era stato rinvenuto dal gip, che come spesso capita prende le tesi dei pm e le fa proprie. La Cassazione, si diceva, ha confermato che non vi era alcuna ragione per arrestare l’imprenditore Catella, che non vi era nessuna ragione per disporre misure interdittive per Tancredi, Marinoni e Pella, e che in tutti questi casi mancano all’appello i gravi indizi di corruzione, in quanto i pagamenti contestati appaiono essere solo prestazioni professionali regolari.
La Cassazione ricorda che fino a quando la magistratura dovrà occuparsi di verificare i reati e non i peccati avere prove anziché teoremi continuerà a essere un requisito piuttosto importante per portare acqua al mulino delle proprie indagini, ma la decisione della Cassazione non fa altro che confermare quello che era apparso subito evidente dal primo giorno dell’inchiesta milanese: quando gli avverbi e gli aggettivi abbondano nelle requisitorie dei pm, nei dispositivi dei gip, di solito le inchieste sono mosse più dalla volontà di affermare un codice morale che dal desiderio di far rispettare il codice penale. E in questo senso, almeno finora, l’inchiesta sull’urbanistica milanese è diventata una finestra perfetta per illuminare più i metodi azzardati della magistratura che quelli criminogeni della politica.
L’elenco dei metodi potrebbe essere molto lungo ma ci accontentiamo di offrirvi una piccola selezione.
Potremmo parlare della disinvoltura con cui la magistratura a volte sceglie, senza prove, come già notato dal tribunale del Riesame, di utilizzare il metodo della custodia cautelare, ed è drammatico che non faccia più notizia il fatto che i principali protagonisti dell’inchiesta siano stati arrestati senza ragioni. Potremmo parlare della disinvoltura con cui la magistratura a volte sceglie di demonizzare il mestiere della politica, utilizzando il proprio potere di interdizione per valutare non ciò che è reato e ciò che non lo è ma ciò che è giusto e ciò che non lo è. Potremmo parlare della disinvoltura con cui la magistratura a volte sceglie di criminalizzare il profitto, trasformandolo in una spia di un possibile illecito, e per notare questo punto era sufficiente non aspettare il Riesame o la Cassazione ma leggere le ordinanze di custodia cautelare, all’interno delle quali i magistrati in più occasioni hanno mostrato di considerare lo stesso rapporto del pubblico con il privato come un reato fino a prova contraria (“Il programma di intensiva speculazione edilizia coinvolgeva l’amministrazione comunale quale leva per il vantaggio economico di soggetti privati”, “la regia strategica degli interventi urbanistici era fondata su una logica affaristica, orientata alla massimizzazione del vantaggio di pochi”, “l’intreccio tra l’elaborazione progettuale e le decisioni amministrative rivela un uso distorto della pianificazione a fini di arricchimento”, e così via).
Potremmo parlare della disinvoltura con cui la magistratura a volte sceglie di esondare, uscendo cioè dai propri argini, sentendosi in dovere di esercitare un potere di supplenza dinanzi a una politica che sceglie di stare dalla parte del male, e non del bene, e come ha segnalato il tribunale del riesame, bocciando gli arresti disposti dal gip su richiesta della procura, non si può usare il codice penale per “riscrivere” decisioni urbanistiche che restano, per loro natura, scelte di merito politico-amministrativo, e non si può usare il diritto penale come strumento di controllo dell’opportunità delle scelte di governo del territorio (eccezionale il modo in cui la procura ha cercato di girare attorno al sindaco di Milano, Beppe Sala, descrivendo la linea urbanistica del comune come un accordo valoriale o collusivo tra amministratori e operatori, dove tutto avveniva “in sinfonia con il sindaco Sala e col direttore generale”).
Potremmo parlare infine dell’incredibile caso di Pierfrancesco Maran, ex assessore per la Casa a Milano, ora europarlamentare, che come rivelato dal nostro Ermes Antonucci è stato vittima di uno scandalo ancora senza colpevoli: le sue conversazioni, prive di rilievo penale, sono state estratte dal telefono di Catella senza l’autorizzazione del Parlamento, necessaria per qualsiasi corrispondenza che coinvolga un parlamentare secondo l’art. 68 della Costituzione, e quelle chat sono state poi allegate agli atti e finite sui giornali. Le manipolazioni con cui si prova a far dire a Falcone e Borsellino cose che non hanno mai detto sono impressionanti. Ma le manipolazioni con cui si prova a mettere la giustizia al servizio di un’idea, per far prevalere i sospetti sulle prove, le allusioni sulle evidenze, sono ancora più impressionanti. E in questo senso, forse, un giorno bisognerà ringraziare la procura di Milano per avere offerto agli osservatori più attenti, nell’indifferenza purtroppo della sinistra che ha difeso Milano con una mano dietro la schiena e della destra che tende ad appassionarsi al garantismo solo quando le indagini riguardano politici amici, la possibilità di usare un’inchiesta colabrodo come simbolo di tutto ciò che non funziona nella giustizia italiana.