FOTO Il presidente dell’Unione camere penali Francesco Petrelli (al centro) insieme al sg Rinaldo Romanelli (dx) e il presidente della fondazione Ucpi Beniamino Migliucci (sx), LaPresse

ragioni per il sì

Dieci buone ragioni per votare sì al referendum secondo i penalisti

L'unione delle Camere Penali italiane ha presentato il "Decalogo del sì" in favore della riforma costituzionale, definita "storica" e "attesa da oltre trent'anni". Ecco il documento punto per punto

Pubblichiamo il “Decalogo del Sì” presentato dall'Unione delle Camere Penali Italiane in favore della riforma costituzionale della giustizia. L'Ucpi, presieduta da Francesco Petrelli, ha anche istituito un "Comitato per il Sì" al referendum per sostenere una riforma definita “storica” e “attesa da oltre trent’anni”, volta a garantire una giustizia realmente imparziale, autonoma e rispettosa delle libertà dei cittadini. Il Comitato “Camere Penali per il Sì” – il cui simbolo si presenta su fondo blu con la scritta “Vota Sì, è giusto” – nasce con l’obiettivo di promuovere, in vista del referendum costituzionale, una campagna di informazione pubblica sulle ragioni del Sì: una riforma che non indebolisce l’autonomia del pubblico ministero, ma rafforza il giudice, restituendo equilibrio, fiducia e credibilità alla giustizia nel suo complesso.

 

IL DECALOGO DEL SÌ

Dieci buone ragioni per dire SÌ alla separazione delle carriere e per una giustizia più giusta, terza e credibile

1. Un giudice terzo è la prima garanzia di libertà

Perché senza un giudice terzo non ci può essere il necessario riequilibrio del potere del Pubblico Ministero.

Il giudice deve essere libero da ogni vincolo e da ogni influenza, distinto da chi esercita l’accusa. È un principio costituzionale e una condizione essenziale di libertà per tutti. La separazione delle carriere rafforza la figura del giudice e restituisce fiducia, equilibrio e credibilità alla giustizia.

2. Ruoli diversi, stesse garanzie

Due carriere diverse, una sola giustizia al servizio delle persone.

Oggi giudici e pubblici ministeri appartengono alla stessa organizzazione, si valutano tra loro, condividono carriera e organo di governo. La riforma li distingue, rendendoli autonomi e complementari, e riportando chiarezza nel sistema. È così che la giustizia si declina in uno Stato di diritto democratico e liberale.

3. Per un processo davvero equo, ad armi pari

Solo la parità delle parti garantisce i diritti di tutti.

Nel giusto processo accusa e difesa devono confrontarsi in condizioni di parità davanti a un giudice terzo e imparziale. Solo così la verità nasce dal confronto e non dall’autorità. Separare le carriere significa dare piena attuazione ai principi costituzionali del processo accusatorio e restituire ai cittadini la certezza di un giudizio fondato solo sulle prove e garantito da un giudice distante allo stesso modo da chi accusa e da chi difende.

4. Come in tutte le democrazie liberali

L’Europa separa i ruoli, l’Italia deve colmare il ritardo.

In tutte le democrazie consolidate in Europa e nel mondo giudici e pubblici ministeri dipendono da organizzazioni distinte. L’Italia, che rappresenta oggi un’anomalia assoluta, deve finalmente allinearsi ai modelli liberali ed evoluti, non per imitazione, ma per coerenza con la propria Costituzione e con il principio di separazione dei poteri.

5. Una giustizia che fa paura non è giusta

Chi crede nello Stato deve poter credere anche nella sua giustizia.

Quando i ruoli si confondono, la fiducia si incrina. Una giustizia che intimorisce o si chiude in se stessa smette di essere credibile. Separare le carriere significa renderla più trasparente, più vicina a chi chiede tutela e protezione. Perché la fiducia è la prima forma di giustizia, e la giustizia credibile è la base della democrazia.

6. Separare per difendere autonomia e indipendenza del giudice

L’autonomia si protegge distinguendo i ruoli, non confondendoli.

Separare assicura l’autonomia del giudice rispetto al pubblico ministero e aiuta a difendere l’indipendenza della magistratura da ogni condizionamento politico, ideologico o corporativo, rafforzando la sua funzione di garanzia. Una magistratura libera è una giustizia più forte: al servizio della verità e dei diritti, non del potere.

7. Sorteggio dei componenti del CSM: più trasparenza e meno correntismo

La giustizia deve rispondere ai cittadini, non ai gruppi di potere.

Con il sorteggio dei componenti dei due CSM verranno superate le logiche del correntismo che condizionano nomine e carriere, facendo prevalere l’appartenenza sul merito e sulle competenze. Il CSM tornerà così organo di garanzia, come previsto dalla Costituzione, e non strumento di potere interno, capace di condizionare gli stessi magistrati che dovrebbe tutelare.

8. Il Presidente della Repubblica, garante dell’equilibrio e dell’unità della giustizia

Il Capo dello Stato resta il custode della Costituzione e della libertà dei cittadini.

La riforma valorizza il suo ruolo di garanzia: il Presidente continuerà a presiedere entrambi i Consigli Superiori, assicurando coerenza e indipendenza per la magistratura. È il segno più alto di un equilibrio istituzionale che unisce, non divide: una giustizia ordinata e fedele ai principi della Repubblica e di uno Stato liberale.

9. Un’Alta Corte per una giustizia che risponde a tutti

La giustizia deve essere trasparente nei confronti dei cittadini, non rendere conto solo a se stessa.

Chi amministra la giustizia deve rispettarne le regole come ogni cittadino. L’istituzione di un’Alta Corte disciplinare, autonoma e indipendente dai Consigli Superiori, i cui componenti saranno selezionati per sorteggio e in parte nominati dal Presidente della Repubblica, garantirà finalmente che le responsabilità dei magistrati siano valutate con terzietà e trasparenza. La credibilità nasce anche dalla responsabilità: nessuno è al di sopra della legge, tantomeno chi la applica.

10. Una battaglia di libertà, non di potere

È la riforma di chi crede nella Costituzione e nella giustizia come servizio ai cittadini.

È la storica battaglia trentennale dell’Unione delle Camere Penali Italiane: non contro qualcuno, ma per tutti. Perché separare le carriere non è uno slogan, ma un atto di civiltà. Dire SÌ significa, restituire credibilità e autorevolezza alla magistratura, avere un processo più giusto e una giustizia più trasparente nell’interesse di tutti i cittadini.

 

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