Francesco Lo Voi (Ansa)

la verità

Perché l'indagine dei pm di Roma contro Bartolozzi non è affatto un “atto dovuto”

Ermes Antonucci

Nelle conclusioni della sua relazione sulla vicenda Almasri, il Tribunale dei ministri non ha imposto affatto alla procura di Roma di indagare la capo di gabinetto di Nordio per le sue dichiarazioni ritenute "mendaci"

Anche stavolta la parola d’ordine è la stessa: “Atto dovuto”. Sarebbe un “atto dovuto” la decisione della procura di Roma, guidata da Francesco Lo Voi, di iscrivere nel registro degli indagati la capo di gabinetto del ministro Nordio, Giusi Bartolozzi, per false informazioni rese al Tribunale dei ministri sul caso Almasri, così come fu “atto dovuto” la decisione, sempre dei pm romani, di inviare al Tribunale la denuncia nei confronti della premier Meloni, dei ministri Nordio e Piantedosi, e del sottosegretario Mantovano. Lo stesso Lo Voi, intervistato da Repubblica, dopo essersi detto “sconcertato” dalle critiche che sono giunte dai capigruppo di maggioranza sull’indagine a carico di Bartolozzi, ha spiegato di “avere semplicemente eseguito una disposizione del Tribunale dei ministri”. E anche tre consiglieri del Consiglio superiore della magistratura – Ernesto Carbone, Roberto Fontana e Domenica Miele – hanno depositato al comitato di presidenza una richiesta di apertura pratica a tutela di Lo Voi, sostenendo che la sua decisione di indagare Bartolozzi “stando ai fatti è avvenuta su esplicita richiesta del Tribunale dei ministri e dunque nel rispetto della legge”. Ma le cose non sembrano  stare affatto così. 

 

Nelle conclusioni della sua relazione sulla vicenda Almasri, con cui ha chiesto al Parlamento di sottoporre a processo Nordio, Piantedosi e Mantovano (richiesta poi respinta), il Tribunale dei ministri non ha imposto affatto alla procura di Roma di indagare Bartolozzi per le sue dichiarazioni. Queste vengono, sì, definite “intrinsecamente contraddittorie” e “mendaci”, ma nella parte conclusiva della relazione non c’è nessun riferimento a esse. Peraltro, nel corso della relazione il Tribunale definisce “reticenti, contraddittorie, pur se non possano dirsi senz’altro mendaci” anche le dichiarazioni rese da Giovanni Caravelli (direttore dell’Aise, i servizi segreti per l’estero), da Vittorio Rizzi (direttore del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza) e pure da Vittorio Pisani (capo della Polizia).

 

Se valesse la logica dell’“atto dovuto”, la procura di Roma avrebbe dovuto iscrivere sul registro degli indagati anche Caravelli, Rizzi e Pisani, per verificare se avessero reso false informazioni. In altre parole, avrebbe dovuto mettere sotto indagine i vertici di alcune delle massime istituzioni del paese deputate alla tutela della pubblica sicurezza e all’intelligence. Perché non lo ha fatto? Semplice, perché non esiste alcun atto dovuto. 

 

A conferma di tutto ciò, come verificato dal Foglio, non esiste nessun altro atto inviato dal Tribunale dei ministri alla procura di Roma in cui si chiede di indagare Bartolozzi. Di conseguenza, la decisione di indagare la capo di gabinetto di Nordio è stata frutto di una scelta discrezionale della procura. 

 

Di “atto dovuto” si parlò già all’inizio della vicenda giudiziaria nata attorno al caso Almasri, quando la procura romana mise sotto inchiesta i principali esponenti del governo. In seguito alla clamorosa decisione dell’ufficio retto da Lo Voi, si scoprì che l’esposto presentato dall’avvocato Luigi Li Gotti, che per la procura rendeva “doverosa” l’indagine a carico di Meloni, Nordio, Piantedosi e Mantovano, consisteva in quindici righe, in cui venivano formulate due ipotesi di reato in relazione al mancato arresto (e poi al rimpatrio in Libia) del generale libico, e in cui si rimandava alla lettura di articoli di stampa allegati. All’epoca dei fatti riportammo su queste pagine la reazione del capo di un’importante procura del nord che, informato dal Foglio della consistenza dell’esposto, era scoppiato a ridere, incredulo. Per poi spiegare che non si può parlare affatto di “atto dovuto”, altrimenti “i procuratori diventerebbero meri passacarte delle denunce anche più fantasiose presentate dai cittadini contro i membri del governo”.

 

Il fatto che il Tribunale dei ministri abbia poi esaminato l’esposto, svolto indagini e perfino concluso chiedendo l’autorizzazione a procedere nei confronti di Nordio, Piantedosi e Mantovano non dimostra affatto che l’atto della procura di Roma era dovuto. Soprattutto se si considerano le argomentazioni, in molti passaggi più di carattere ideologico che giuridico, avanzate dal Tribunale. Basti pensare che i giudici si sono spinti a considerare come “versione difensiva degli indagati” il contenuto delle informative rese dai ministri Piantedosi e Nordio al Parlamento, dichiarazioni peraltro insindacabili per legge. 

 

L’unico vero “atto dovuto” che la procura di Roma avrebbe dovuto svolgere è l’apertura di un’indagine per le fughe di notizie avvenute durante il procedimento condotto dal Tribunale dei ministri. Una violazione del segreto di indagine destinata a rimanere impunita.
 

  • Ermes Antonucci
  • Classe 1991, abruzzese d’origine e romano d’adozione. E’ giornalista di cronaca giudiziaria e studioso della magistratura. Ha scritto "I dannati della gogna" (Liberilibri, 2021) e "La repubblica giudiziaria" (Marsilio, 2023). Su Twitter è @ErmesAntonucci. Per segnalazioni: [email protected]