la malagiustizia

Il gip appiattito al pm e le intercettazioni trascritte male. Lezioni dal caso Mantovani

Ermes Antonucci

Nell'ordinanza di arresto con cui Mario Mantovani nel 2015 venne incarcerato (per poi essere assolto) si rintraccia una frase del gip rivolta al pm: "Vedi se modificare questa parte". Alla faccia della terzietà del giudice

La storia di Mario Mantovani, raccontata ieri su queste pagine (all’ex sottosegretario alle Infrastrutture ed ex vicepresidente della Regione Lombardia, oggi europarlamentare, è stato negato l’indennizzo per ingiusta detenzione nonostante abbia trascorso 41 giorni in carcere e altri 142 ai domiciliari sulla base di accuse per le quali è stato poi assolto in via definitiva) non è solo emblematica di quanto sia assurda – e inefficace – la procedura prevista per indennizzare chi ha patito un caso di malagiustizia, ma assume un significato molto importante anche in relazione a due temi centrali nel dibattito politico: la tendenza dei giudici per le indagini preliminari ad appiattirsi alle tesi dei pubblici ministeri (sulla quale tenta di intervenire la riforma costituzionale proposta da Nordio), e l’abuso delle intercettazioni.

 

Andiamo con ordine e partiamo dal primo aspetto. Se si legge con attenzione l’ordinanza di custodia cautelare con cui nell’ottobre 2015 la gip di Milano Stefania Pepe dispose, su richiesta del pm Giovanni Polizzi, l’arresto in carcere per Mantovani, si scoprono alcuni dettagli interessanti. Il primo: la richiesta di custodia cautelare venne avanzata dal pm il 17 novembre 2024, ma fu accolta quasi un anno dopo, il 12 ottobre 2015. Nel periodo trascorso tra la richiesta di misura e la sua emissione, la gip venne inondata di solleciti da parte del pm finalizzati a ottenere la misura cautelare, attraverso il deposito di innumerevoli relazioni della Guardia di Finanza e dello stesso pm. Alla fine la gip Pepe emise la tanto attesa misura, nella quale vengono riportate ampie parti della richiesta di arresto avanzata dal pm Polizzi. Queste parti, specifica la gip, vengono riportate “con diverso carattere di stampa”. A pagina 28, però, accade qualcosa di strano. Al termine di un paragrafo in cui la giudice sintetizza la rilevanza penale delle condotte di alcuni indagati appare una frase tra parentesi: “(vedi se modificare questa parte)”. La frase non è scritta con diverso carattere di stampa, quindi è da attribuire proprio alla gip, che evidentemente si è dimenticata di eliminarla.

 

A chi si rivolge la giudice? L’avvocato Roberto Lassini, che ha assistito Mantovani durante il procedimento penale e anche nella richiesta di indennizzo per ingiusta detenzione, non ha dubbi: “Il giudice si rivolge e chiede conferma a un interlocutore, che non può che essere il pm”, scrive nella richiesta di indennizzo. Uno scenario che, se confermato, avrebbe dell’incredibile: la frase, infatti, dimostrerebbe che la gip ha redatto la misura di custodia cautelare confrontandosi direttamente con il pubblico ministero che chiedeva l’arresto. Alla faccia della separazione del principio di terzietà del giudice.

 

Il secondo aspetto su cui la vicenda Mantovani richiama l’attenzione riguarda l’abuso delle intercettazioni. Anche qui ciò che è accaduto nel caso Mantovani è paradossale. L’ex numero due della Regione Lombardia venne accusato di aver stretto un patto corruttivo con un architetto, Gianluca Parotti. Secondo la procura, in cambio di incarichi professionali in appalti pubblici, Parotti avrebbe diretto gratuitamente i lavori di ristrutturazione in diversi immobili della famiglia di Mantovani. Il pm Polizzi era convinto di aver individuato la “prova regina” della corruzione in una frase pronunciata al telefono da Parotti fuori cornetta: “Mi sta girando due lavori… il capo (ossia Mantovani) per i miei lavori della sua villa”. Si è dovuto aspettare il processo d’appello, però, nel gennaio 2022, perché la registrazione fosse riascoltata in aula e si scoprisse che in realtà la frase attribuita a Parotti era stata trascritta male: anziché “i miei lavori della sua villa”, Parotti aveva detto “i primi lavori della sua vita”. In altre parole, evidenziano i giudici d’appello, “quel breve dialogo faceva emergere non già l’ammissione di un patto occulto con Mantovani e proficuo per Parotti, quanto la desolata mancanza di ogni aspettativa favorevole”.

 

Insomma, il caso Mantovani è il miglior spot a favore della separazione delle carriere e anche di un uso meno disinvolto delle intercettazioni da parte dei magistrati.

  • Ermes Antonucci
  • Classe 1991, abruzzese d’origine e romano d’adozione. E’ giornalista di cronaca giudiziaria e studioso della magistratura. Ha scritto "I dannati della gogna" (Liberilibri, 2021) e "La repubblica giudiziaria" (Marsilio, 2023). Su Twitter è @ErmesAntonucci. Per segnalazioni: [email protected]