
Chiara Poggi (s), Andrea Sempio (d) e l'ex procuratore di Pavia Mario Venditti (Ansa)
contraddizioni
Il nuovo colpo di scena su Garlasco fa acqua da tutte la parti
L'indagine nei confronti dell'ex procuratore Venditti per corruzione è segnata da numerosi aspetti illogici. L'inchiesta, più che sgrovigliare il caso Garlasco, rischia di essere l’ennesima toppa peggiore del buco
Il nuovo colpo di scena della contro-inchiesta sul caso Garlasco (l’iscrizione nel registro degli indagati dell’ex procuratore di Pavia, Mario Venditti, con l’accusa di corruzione), più che sgrovigliare la vicenda rischia di sembrare l’ennesima toppa peggiore del buco (l’ipotetica, e ancora indimostrata, condanna ingiusta subita da Alberto Stasi). Sono tanti gli aspetti dell’operazione lanciata ieri dalla procura di Brescia a risultare poco solidi alla luce degli atti a disposizione. Innanzitutto non si comprende sul piano logico per quale motivo un magistrato (Venditti) abituato a percepire circa diecimila euro al mese abbia potuto decidere di farsi corrompere con circa 40 mila euro, da spartire con due ufficiali della polizia giudiziaria, per far archiviare un fascicolo di indagine peraltro piuttosto debole: quello del 2017 in cui si ipotizzava che a uccidere Chiara Poggi non fosse stato Stasi (condannato in via definitiva), bensì Andrea Sempio, amico del fratello della vittima.
Secondo: dal decreto di perquisizione e sequestro eseguito ieri, emerge come l’iniziativa della procura di Brescia si basi su diverse conversazioni captate attraverso intercettazioni ambientali; ebbene, a disporre quelle intercettazioni nel 2017 fu proprio Venditti, il magistrato ora accusato di essere stato corrotto. Un vero controsenso. Proseguiamo, perché gli aspetti illogici della nuova indagine sono numerosi.
Terzo: la corruzione di Venditti sarebbe avvenuta “agli inizi del mese di febbraio 2017”. Eppure già il 6 gennaio 2017 i quotidiani riportavano la notizia: “Garlasco, verso archiviazione per Sempio”. Per quale motivo l’indagato avrebbe dovuto corrompere Venditti pur sapendo già da un mese che l’archiviazione era ormai vicina?
Quarto aspetto illogico: la procura di Brescia sostiene che le indagini condotte nel 2017 a carico di Sempio sono state caratterizzate da “una serie di anomalie” commesse dai carabinieri all’epoca in servizio presso la polizia giudiziaria di Pavia. Nonostante ciò, dal provvedimento della procura bresciana risulta che l’unico a essere indagato per corruzione è l’ex procuratore Venditti, mentre non risultano indagati per lo stesso reato i due carabinieri che effettivamente svolsero le attività di indagine, così come non risultano indagati come presunti corruttori i membri della famiglia Sempio. Insomma, c’è il magistrato corrotto ma manca l’indicazione dei complici e pure dei corruttori. Perché? Non si sa.
Non basta. Le accuse della procura di Brescia sembrano basarsi su una serie di deduzioni che, al momento, non sembrano suffragate da elementi concreti. A sostegno dell’ipotesi di corruzione viene richiamato il reperimento, tra il materiale sequestrato ad Andrea Sempio, di un foglietto con la scritta “Venditti gip archivia x 20. 30€”. Da questa scritta dovremmo ricavare che “sarebbe stata proposta o comunque ipotizzata la corresponsione a Venditti di una somma di denaro correlata all’archiviazione del procedimento”. Una conclusione estrema. Anche perché, altro elemento contraddittorio, dagli accertamenti bancari svolti dalla procura di Brescia sarebbe emerso che nei primi mesi del 2017 i famigliari di Sempio avrebbero effettuato prelievi in contanti dai propri conti per 40 mila euro. Una cifra che non corrisponde né ai 20 né ai 30 scritti sul foglietto incriminato, e che, soprattutto, i pm non sono riusciti a ricondurre a Venditti o ai due carabinieri.
Paradossale appare anche l’accusa rivolta a Sempio di essere a conoscenza “il giorno precedente all’interrogatorio” del 9 febbraio 2017 di “alcuni elementi rappresentati nell’esposto presentato dalla madre di Alberto Stasi”, che aveva dato origine alle indagini: molti elementi di quell’esposto, infatti, erano stati rivelati sui giornali a partire da dicembre 2016, dunque erano conoscibili. Risibile risulta anche l’episodio in cui, dopo l’interrogatorio, Sempio e il padre si confrontano e affermano di aver “cannato” una risposta (riguardante il rinvenimento dello scontrino che forniva l’alibi ad Andrea Sempio). Per i pm sarebbe l’ennesimo indizio che le domande sarebbero state anticipate dai carabinieri, ma la frase può tranquillamente esprimere il rammarico per aver fornito due risposte tra loro in contraddizione.
L’ultimo dato paradossale riguarda l’ufficio titolare della nuova esplosiva indagine: la procura di Brescia. Quest’ultima scrive nel provvedimento di procedere in quanto competente per i reati commessi dai magistrati del distretto. Venditti, però, è andato in pensione nel 2023, dunque non esercita più la funzione di magistrato (e non conta che i fatti risalgano a quando lui vestiva ancora la toga). Di conseguenza, l’indagine spetterebbe per competenza alla procura di Pavia e non a quella di Brescia. Insomma, da qualunque parte la si guardi, il colpo di scena di ieri riempie il caso Garlasco ancora più di interrogativi.