
Ansa
inusuale inciso
Arrampicarsi sui vetri con i pm
Sarebbe ora di smetterla di usare la magistratura per fare supplenza alla politica, e persino alla società civile. Non servono i pubblici ministeri d’assalto. L’abuso d'ufficio abolito e il reato “che è politico”. Giornali e scuse
"Un inusuale inciso, che suona come una sorta di non capisco ma mi adeguo”. Arrampicarsi sugli specchi è un nobile sport, farlo per difendere l’impostazione di un’inchiesta “svilente”, oppure per una contiguità di visone panpenalista con il gip e la procura, è invece rivedibile al Var. Ma è quello che ha fatto ieri Luigi Ferrarella e che fanno da giorni, prima ovattando, poi tentando una tortuosa difesa dei pm i giornali che da due anni riempiono le prime pagine di scandali edilizi, suonando al solo spartito delle accuse di procura. Come il Corriere della sera che mercoledì, alla squillante notizia della demolizione da parte del Riesame dell’impostazione delle inchieste del pool Siciliano, ha optato per un sobrio titolino laterale in prima. Invece Repubblica ha proprio bucato la notizia, tranne poi, sulla pagina di Milano dove da due anni si leggono solo le tesi “svilenti” dei pm e le chat intercettate, mettere la foto del silente procuratore Marcello Viola con l’annuncio “la procura va in Cassazione”. Per non dire del Fatto, dove l’ineffabile Barbacetto ci ha messo due giorni a elaborare, oltre il lutto, anche la tesi interpretativa secondo cui la vera ciccia dell’inchiesta è tutta politica, sta in piedi e lotta insieme a noi. Il punto interessante non sono infatti le legittime convinzioni o il gusto giornalistico, ma che sono emersi con chiarezza i pensieri e le intenzioni di natura politica.
Ad esempio Gianni Barbacetto, ieri. Secondo cui “il sodo” che resiste è che “l’indagine Grattacielo selvaggio (nome da stracciaculismo giornalistico che la riforma Cartabia vieterebbe di apporre ai fascicoli, ndr) ha due piani”. Uno quello dei reati urbanistici e abusi, “tesi d’accusa finora sempre confermate” (accuse, appunto: ma per il Fatto non fa differenza). C’è poi il secondo livello, che “nasce dal fatto che i pm, mentre indagavano sugli abusi edilizi, si sono accorti che sul Modello Milano si è incistato anche un Sistema Milano, con i facilitatori (corsivo, ndr) che ottenevano dal comune permessi che i loro colleghi non riuscivano a ottenere”. E inoltre i “professionisti double face”, per alcuni dei quali i pm hanno ipotizzato il reato di corruzione”. Insomma, Barbacetto arriva a scrivere che siamo di fronte a “una dazione ambientale 2.0”. Peccato che siano proprio quelle interpretazioni forzose sulla corruzione che il Riesame ha rigettato. Ma Dice Barbacetto: “Stiamo sul piano politico: reato o non reato, è comunque evidente…” eccetera. Reato o non reato.
L’altro lato del muro di vetro da scalare è infatti un aspetto, sollevato da più d’uno, che Gian Domenico Caiazza sul Foglio di ieri si è già incaricato di smontare. Il fatto che, se anche il reato non potesse essere provato, il reato resta: perché insito in un “modello”. Un tema avanzato dai difensori del valore “etico” dell’inchiesta è infatti che l’indagine sarebbe stata azzoppata dall’abolizione dell’abuso d’ufficio, cosa che avrebbe costretto (ma perché mai?) i pm a forzare le accuse virandole sulla corruzione. Scrive Caiazza: “I disarmati pm hanno ben pensato di rivestire quella medesima condotta con l’abito, tutt’altro che calzante, del reato di corruzione (…). Siamo dunque alle solite: la magistratura inquirente, poco avvezza ad applicare leggi da essa non condivise, si comporta come ha ben stigmatizzato il Tribunale del Riesame meneghino, cioè con una ‘svilente semplificazione argomentativa’ (…). Insomma “gli inquirenti (e non è certo una esclusiva meneghina) ritengono impensabile non poter esercitare una attività di controllo, ingerendosi nella attività di una Pubblica amministrazione anche quando la legge, diciamola tutta, non glielo consente”.
Ma consentito o non consentito (“reato o non reato”) il valore delle inchieste – etico, sociale, politico – resterebbe intatto. Sulla Stampa di mercoledì Flavia Perina, nobile pedigree di una destra da sempre innamorata della giustizia sostanziale, è anche più chiara ed esplicita del Fatto: trentatré anni dopo Mario Chiesa, ha scritto, “finisce l’illusione che tocchi ai tribunali riequilibrare la sproporzione evidente tra le ambizioni affaristiche dei gradi gruppi e i bene comune”. Appunto, non tocca a loro. “Di questo modello (il famigerato modello milanese, ndr) si dovrà chiedere conto non alla magistratura ma a chi lo ha promosso”. Appunto: alla libera iniziativa economica, alla politica. Ci sono le elezioni per questo. Mentre, come spiega Caiazza, gli eventuali illeciti amministrativi, che possono benissimo esserci, sono impugnabili avanti la giustizia civile. Le parole di Perina spiegano meglio di altre che il succo mediatico-giudiziario è tutto politico. Ma sarebbe ora di smetterla di usare la magistratura per fare supplenza alla politica, e persino alla società civile. Non servono i pm d’assalto, né arrampicarsi sui vetri.