
l'ordinanza
Lezioni dal Riesame di Milano: no a indagini fondate sulla presunzione di colpevolezza, sì a carriere separate
I giudici del Riesame smontano l'inchiesta sull'urbanistica, criticando il metodo di indagine usato dai pm per teorizzare la corruzione e l'appiattimento del gip alle tesi accusatorie. Separare le carriere serve eccome
Sono soprattutto due le lezioni che si possono trarre dalla lettura delle motivazioni con cui il tribunale del Riesame di Milano ha annullato gli arresti nei confronti di alcuni dei principali indagati dell’inchiesta sull’urbanistica, tra cui l’architetto Alessandro Scandurra (ex componente della Commissione paesaggio del comune di Milano), Manfredi Catella (amministratore delegato di Coima) e l’imprenditore Andrea Bezziccheri (ad di Bluestone). La prima lezione si trae dalle motivazioni con cui è stata bocciata la tesi sostenuta dai pm (con l’avallo del gip) sulla presunta esistenza di un patto corruttivo tra Scandurra e gli imprenditori citati. Non si è di fronte alla bocciatura di una semplice ipotesi giudiziaria, ma di un metodo di indagine che consiste nell’addebitare agli indagati una presunzione di colpevolezza a prescindere dagli elementi raccolti.
Lo notano i giudici del Riesame quando definiscono “svilente” la visione che i magistrati milanesi mostrano del rapporto tra professionisti e funzionari pubblici, in cui qualsiasi passaggio di denaro si trasforma in un fatto di corruzione, e soprattutto quando bacchettano il “metodo al contrario” usato da pm e gip per teorizzare la corruzione: anziché procedere “all’accertamento preliminare del patto corruttivo (come, dove, quando) e dell’illiceità della dazione del denaro/utilità, per poi derivare da tali elementi la vendita della funzione pubblica e l’atto contrario ai doveri d’ufficio”, i pm (con l’avallo del gip) si sono mossi “dal supposto atto illegittimo per ritenere automaticamente configurata l’esistenza del patto illecito”. Una modalità di indagine che muove in una direzione opposta a quella prevista dal codice e dalla Costituzione, da tempo in voga non solo alla procura di Milano.
La seconda lezione riguarda il tema della separazione delle carriere (proprio oggi la Camera darà il secondo via libera alla riforma costituzionale). Siamo sicuri che qualcuno (leggasi Anm) dirà che la bocciatura del Riesame dimostra come non ci sia bisogno di alcuna separazione delle carriere tra giudici e pm. Peccato però che prima di arrivare al Riesame il “paziente” intanto sia morto: gli indagati hanno subìto una misura cautelare ingiusta, con tutti i noti effetti negativi di contorno sulla propria vita, professione e reputazione.
A ben vedere, anzi, sono le motivazioni del Riesame a confermare più che mai la necessità della separazione delle carriere. Con parole molto dure, il collegio infatti bacchetta il gip che ha accolto le richieste di arresto avanzate dai pm e il suo appiattimento al teorema accusatorio: “Il gip, nelle sue valutazioni, rimandando alla richiesta cautelare del pm, omette di considerare le risultanze probatorie nella loro dimensione dinamica riproponendole acriticamente e connotandole di autoevidenza come dimostrano le chiose finali, comuni a tutti gli indagati e ai rispettivi capi di incolpazione, ‘non sussistono dubbi alla luce dei fatti [quali?], delle tempistiche [quali?] e del decorso delle varie pratiche [quali?]’, oppure, avuto riguardo al profilo psicologico ‘stante l’inequivoco tenore delle parole proferite [quali?] e dei comportamenti tenuti [quali?]’”.
Si conferma nelle motivazioni del Riesame il ruolo quasi notarile svolto – in questo caso come in tanti altri – dal gip, il vero soggetto che la riforma Nordio punta a modificare, creando un giudice che durante le indagini agisca in maniera veramente terza e imparziale, e non sia invece piegato culturalmente alle tesi dei pm. La separazione serve eccome.
