
(foto Ansa)
la riflessione
Chi ama la giustizia non può non detestare il disastro dell'inchiesta sull'urbanistica a Milano
Dopo il pronunciamento del Riesame, la domanda da farsi è: valeva la pena creare a Milano questo sconquasso enorme che coinvolge l’amministrazione pubblica e l’economia che ruota intorno allo sviluppo urbanistico della città più importante d’Italia?
Al direttore - La probabilità che l’inchiesta penale di Milano su Grattaciopoli, partita in tromba, si traduca in un imprevisto flop cresce, dopo che i giudici del riesame hanno ridimensionato le drastiche richieste della Procura milanese di incarcerare gli autori dei contestati misfatti. E’ pur vero che trattasi di ordinanze che non disvelano ancora la motivazione, che si conoscerà tra un mese dopo il deposito dei suddetti provvedimenti, ma è ragionevole presumere che l’impianto accusatorio dei giudici penali, affidato alle centinaia di intercettazioni a strascico nei confronti della lobby dei palazzinari di Milano, non è risultato ai giudici del riesame così solido come appariva ai PM milanesi. Ora, in attesa dello sviluppo della vicenda che si svolgerà con la drammatica lentezza con cui procede il giudice penale, è possibile, senza alcun pregiudizio sia politico, sia sociale ovvero ideologico, esaminare questa vicenda sotto il profilo giuridico. Ammesso e pur concesso che l’impianto accusatorio ipotizzato e sostenuto dalla procura milanese regga per quanto attiene ai reati contestati a tutti gli imputati e che questo in tempi non biblici conduca alle condanne che essi meritano, la prima domanda non banale che un giurista deve porsi è la seguente: valeva la pena creare a Milano questo sconquasso enorme che coinvolge l’amministrazione pubblica, l’economia che ruota intorno allo sviluppo urbanistico della città più importante d’Italia, le imprese i cui lavori avanzati sono stati bloccati e 4500 famiglie, se le cifre sono esatte, che hanno visto crollare le proprie aspettative di acquistare un immobile già pagato in tutto o in parte? In teoria si potrebbe rispondere che il giudice penale non deve essere condizionato da nessun elemento distorsivo se non quello di fare giustizia in base al principio Fiat iustitia et pereat mundus, letteralmente “Sia fatta giustizia e perisca pure il mondo”. La frase è impiegata in Per la pace perpetua da Immanuel Kant, che ne fa il motto dell’uomo politico fermo nei suoi principi, traducendola e commentandola così: “Regni la giustizia, dovessero anche per essa perire tutti assieme gli scellerati che esistono nel mondo” è un principio di diritto coraggioso, che taglia le vie tortuose tracciate dall’inganno e dalla violenza…”.Naturalmente qui si tratta di un paradosso, perché prima di far perire il mondo bisogna che la giustizia, in senso non solo ideale ma concreto, sia fatta e non prima, quando si tratta ancora e soltanto di una aspirazione sia pure convinta o convincente maturata dai giudici cui spetta attuare quel supremo principio. Sembra evidente, soprattutto al giurista, che i giudici penali di Milano abbiano messo come si suol dire il carro davanti ai buoi, giacchè hanno realizzato il suddetto sconquasso prima ancora di aver fatto giustizia, quando e semmai la faranno. Il giurista che conosce come funzionano i principi di derivazione costituzionale che regolano l’attività della Pubblica amministrazione sa, o dovrebbe sapere, che il primo dei principi, vero cardine della materia, è quello rappresentato dalla presunzione di legittimità degli atti autoritativi della P.A. Principio che fa da pendant alla presunzione di innocenza sancita dall’articolo 27, comma 2, della Costituzione, stabilisce che un imputato non è considerato colpevole fino a quando la sua condanna non sia divenuta definitiva, cioè non più soggetta a impugnazioni come l’appello o il ricorso in Cassazione. Il principio di presunzione degli atti della P.A. peraltro non è, come qualcuno erroneamente ritiene, un gentile omaggio ottriato dall’autorità amministrativa, ma al contrario il suggello del principio della certezza dei rapporti giuridici che si basano su un provvedimento autorizzativo o concessivo rilasciato dalla P.A. fino a quando il giudice competente, nella specie il giudice amministrativo non lo abbia annullato, ovvero fino a quando il provvedimento non venga rimosso, sussistendo le rigorose condizioni previste dalla legge, dalla stessa amministrazione che lo ha posto in essere o da altra amministrazione a ciò titolata.
L’implicazione necessaria che si ritrae da questo fondamentale principio è che, nella specie, i permessi di costruire rilasciati dalla P.A. che si consolidano se non impugnati nei termini dai soggetti legittimati, si presumono de jure legittimi. E ciò a dispetto di qualsiasi diversa opinione ritenuta da chiunque, compreso quindi il giudice penale, che peraltro, nella maggior parte dei casi non ha alcuna competenza in materia urbanistica, non essendo in questa materia il giudice della P.A.
Ne consegue, che anche se dalle indagini svolte dallo stesso giudice emergesse un possibile reato singolo o associativo ritenuto comunque legato rilascio del provvedimento, questo comporta unicamente la punizione penale dei soggetti che ne risultino autori ma non determina l’illegittimità e ancor meno l’annullamento del provvedimento sottostante. Naturalmente su questo principio non concorda la Cassazione Penale, che tuttavia ha già visto sconfessata questa teoria sia dalla Corte Costituzionale che dalla Corte di Giustizia dell’Unione.
Occorre quindi mettersi nei panni sia delle imprese che hanno subito il sequestro dei propri cantieri che delle 4500 famiglie che si ritrovano nello stato di soggetti danneggiati nell’aspettativa di acquisto di altrettanti immobili, senza avere alcuna colpa o responsabilità nelle vicende penali in corso.
E occorre anche mettersi nei panni dei funzionari della P.A. che hanno rilasciato quei provvedimenti sulla base di norme regolamentari che solo chi non conosce la complessità di applicazione delle norme sul governo del territorio, ossia urbanistiche ed edilizie, può arrogarsi senza essere il giudice competente a giudicare della materia.
E qui accade, altro danno non considerato, che dopo questi episodi i funzionari comunali non accettano più di firmare quei provvedimenti, ovvero rigettano o ritardano la gestione delle pratiche applicando la tecnica della c.d. amministrazione difensiva in danno del cittadino.
Anche la politica, oltre alla stampa che in molti casi è ignorante o faziosa, e non importa se è ignorante perché faziosa o viceversa, ha dato sin qui un contributo kafkiano alla vicenda milanese, a seconda dell’orientamento governativo o di opposizione.
E qui mi riferisco alla farsesca proposta di introdurre una norma di sanatoria, ossia di interpretazione autentica delle norme urbanistiche in questione, con l’idea, per un verso, di salvare la giunta del povero Sindaco Sala e di smontare il teorema della Procura e, per altro verso, quello opposto, di chi, per raggiungere l’effetto contrario ha affossato quel progetto.
In realtà la proposta di introdurre una norma di sanatoria non aveva, a prescindere, alcun senso, vuoi perché non spetta al legislatore interpretare le norme ma esclusivamente al giudice, vuoi perché tutto ciò non sarebbe stato comunque utile per paralizzare l’inchiesta penale. Ma la politica italiana e i personaggi con cui si identifica, non tutti per fortuna, ma soprattutto i capipartito, sono artisti del macchiavello e sanno che l’elettore italico, quando non si astiene e si presenta al seggio, non vota con la testa ma con la pancia e così è più facile che un partito di guitti prenda più suffragi di uno che esprime una qualsiasi ideologia, anche di basso livello, intellettualmente apprezzabile.
E così quando l’intelligenza artificiale sostituirà quella umana l’unica aspettativa salvifica e post trumpiana che possiamo coltivare è la speranza che, come per altri mestieri surrogati, anche quella del politico soffra di crescente disoccupazione.
Angelo De Zotti
già presidente del Tar Lombardia dal 2015 al 2019 ed ex presidente della Sezione del Tar che dal 2010 si è occupato della materia urbanistica edilizia regionale e in particolare di Milano
