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Riforme urgenti

Ecco il manuale di Davigo per spaventare facilmente i giudici

Luciano Capone

Descrive i pubblici ministeri come vendicativi e giudici pavidi. Ma, paradossalmente, anziché criticare il sistema, Davigo lo difende.  Surreale quanto inquietante, ben più della realtà descritta da Palamara

Chi pensa che la magistratura italiana versi in condizioni pessime, dopo aver ascoltato Piercamillo Davigo, deve ricredersi: anche il più acerrimo nemico della magistratura ha avuto una visione troppo rosea e ottimistica della realtà, che secondo la descrizione fatta da Davigo è persino peggiore  di quella di Palamara, un altro ex presidente dell’Anm e consigliere del Csm caduto in disgrazia. L’aspetto paradossale è che, al contrario di Palamara che aveva come obiettivo quello di svelare le magagne del “Sistema”, Davigo il sistema intende difenderlo così com’è. Il contesto è quello della festa del Fatto quotidiano, dove l’ex magistrato si è confrontato sulla riforma della giustizia con il viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto. Il tema del dibattito è la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, l’architrave della riforma Nordio, che secondo Davigo produrrebbe conseguenze pericolose. “Oggi il pubblico ministero è collega del giudice – ha detto l’ex pm di Mani pulite – Se li separano non sarà più collega del giudice, ma sarà sempre collega degli altri pubblici ministeri. E qui son dolori”. Perché mai? Il pm “alla terza assoluzione secondo lui ingiustificata che porterà a casa chiamerà il suo collega dell’altra sede e gli dice: ‘Ma senti un po’, ma vogliamo vedere se questo giudice è solo cretino, visto che mi assolve tutti gli imputati, o è anche ladro? Diamo un’occhiata ai suoi conti correnti’. Ci sono stato 42 anni in magistratura – conclude Davigo – Se fai un accertamento patrimoniale su un giudice, quello si terrorizza: muore di spavento il più delle volte”.


La descrizione di Davigo è tanto surreale quanto inquietante. Da un lato ci sarebbero pm disposti ad abusare dei propri poteri, anche a favore dei colleghi, sulla base di un  sospetto e senza alcuna prova, per vendicarsi di giudici che hanno osato assolvere degli imputati: figurarsi cosa potrebbero fare nei confronti di una persona comune.  Dall’altro ci sarebbero  giudici pavidi e  terrorizzati alla sola ipotesi che un pm  possa controllare i loro  conti bancari: figurarsi quanto può un semplice cittadino contare sulla loro imparzialità. E, si badi bene, la descrizione del materiale umano di cui è composta la magistratura italiana è, secondo Davigo, non uno scenario ipotetico ma attuale  e concreto,  basato su 42 anni di esperienza e conoscenza diretta: i magistrati italiani, pubblici ministeri e giudici, sono così e sono sempre stati così.

Naturalmente, di fronte a un quadro del genere, la discussione sulla separazione o meno delle carriere passa completamente in secondo piano. In primo luogo, perché non si capisce in che modo la riforma istituzionale inciderebbe su questo degrado umano. I pm ora non indagano sui giudici solo perché  sono colleghi? Oppure i giudici non assolvono, bocciando le inchieste dei pm, perché sono colleghi? In entrambi i casi, sembrerebbero due argomenti più a favore della separazione delle carriere che contro. In secondo luogo, anche in caso di carriere e Csm separati, non ci sarebbe alcun cambiamento che renderebbe più concreta l’ipotesi davighiana di indagini vendicative: nel nuovo assetto il pm dovrà comunque, come avviene adesso, dare conto a un gip sulla legalità dei metodi di indagine.

Più del mondo ipotetico davighiano, è quello reale che dovrebbe terrorizzare i cittadini.  Non tanto perché, partendo dalla nota massima davighiana “male non fare, paura non avere”, se i giudici sono spaventati da un’indagine sui loro conti, evidentemente secondo il Davigo-pensiero hanno qualcosa da nascondere: i teoremi di Davigo, ancor di più dopo le note vicende giudiziarie, valgono quello che valgono. Ma perché questa rappresentazione di pm vendicativi e giudici pavidi non proviene da uno svalvolato, ma da una personalità che i magistrati stessi hanno ripetutamente promosso ai massimi vertici istituzionali: presidente di sezione presso la Corte di Cassazione, presidente dell’Anm e consigliere del Csm. E’ il fatto che i magistrati per così tanto tempo si siano riconosciuti e sentiti rappresentati da Davigo che fa morire di spavento.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali