
(foto LaPresse)
L'editoriale dell'elefantino
La disastrosa pretesa (smentita dal Riesame) di punire le chat di Milano in nome di una orwelliana “democrazia urbanistica”
La giustizia deve essere severa e uguale per tutti, ma quando fa pericolosamente ballare sull’orlo dell’avvilimento e del precipizio etico una grande città italiana, ecco, in questi casi diventa un assalto demagogico alla democrazia reale e formale
Le chat innocenti, ironiche, in cui gli amministratori di Milano sbattuti in galera per “attentato alla democrazia urbanistica” cazzeggiano con il capo della ditta che ha elevato al cielo le torri, attirando capitali e creando lavoro e profitto e sviluppo, sono parecchio diverse dalle famigerate intercettazioni telefoniche in cui certi operatori immobiliari raffazzonati si congratulavano con la natura benigna all’indomani di un terremoto, sfregandosi le mani. C’è gente su Whatsapp che collabora per una grande Milano, scambiandosi battute dl tutto irrilevanti dal punto di vista penale, e per niente scandalose dal punto di vista etico, in un clima di collaborazione e fattiva adesione a un’impresa di successo e vanità, ingredienti ovvi in un’avventura di dimensioni nazionali e internazionali di cui amministratori pubblici, imprenditori privati, professionisti si assumevano la responsabilità pubblica senza tradire la legge morale alla ricerca del cielo stellato, per dirla alla Kant. I giudici del Riesame, di questi farabutti che si permettevano di progettare e costruire e valorizzare aree dismesse o edificabili, ne hanno giustamente liberati già due, che la procura voleva in ceppi, senza dar retta ai sondaggi che oggi integrano con la manipolazione dell’opinione la vecchia carognaggine del popolo dei fax e delle fiaccolate manettare.
L’assessore scriveva all’imprenditore domandandogli sornione e orgoglioso se era soddisfatto di lui, (“mi sceglieresti come assessore?”, e questo rispondeva che era estasiato per l’operatività dell’amministrazione nel realizzare contratti e convenzioni e progetti, e aggiungeva che era disposto “a fargli da segretario”, perché loro erano “i best ever”, i migliori di sempre, mentre il direttore generale del sindaco Sala aggiungeva “questa me la tatuo sulla schiena”. Se questo parlar franco e ridente è un crimine, viva i criminali delle torri e del progresso urbano. Un dato incontrovertibile, non smentito da indagini e accuse ideologiche fondate su un’idea pauperistica ed egalitaria di città e di sviluppo, la famosa “democrazia urbanistica”, che non ha nulla a che vedere con l’evocato “sfregio alle leggi”. L’unico sfregio alle leggi è l’intimidazione che condusse al ritiro di una serie di norme già approvate dal Senato, con i voti di quasi tutti, per sanare gli spazi in cui la procura avrebbe potuto incunearsi per criminalizzare un’opera amministrativa ed economico-sociale che era un primato milanese in Europa.
E bisogna insistere nella protesta, alla luce delle loro chat sontuose e dei mandati cattura e del penoso tentativo di assemblare dossier procuratizi sull’illegalità che non c’è, sul tradimento dell’interesse pubblico e l’asservimento ai privati che è un cliché da quattro soldi, buono al massimo per la gogna. Non siamo una democrazia urbanistica, siamo una democrazia liberale e sociale, a norma di Costituzione. Circondiamo l’esercizio delle legittime e indispensabili attività legate alla proprietà privata di cautele e contesti di interesse pubblico, che è appunto quanto accaduto sotto la Madonnina e testimoniato da cose realizzate, valori accresciuti, lavoro e tecnologia e magnetismo verso i capitali internazionali disponibili. Uno può detestare i grattacieli, avere tutti i pregiudizi del mondo verso le società che li occupano con i loro impiegati e consigli di amministrazione, verso i ricchi che li abitano, magari frascheggiando nei boschi verticali, ma quando si smarrisce il criterio che un reato amministrativo e penale deve appunto essere diligentemente definito e contestato come un reato, non come un fattore di colleganza e vicinanza ambientale nella classe dirigente di una delle maggiori metropoli d’Europa, allora si entra nel mondo orwelliano della pena richiesta, irrogata (e in via di rapido rinnegamento per senso del ridicolo) per “chattamento abusivo”, uno scambio magari anche un po’ allegro, meno sobrio delle comunicazioni ottocentesche con timbro e ceralacca, ma del tutto innocuo.
La giustizia deve giustamente essere severa e uguale per tutti, non è senso comune e nemmeno solo buonsenso, è controllo di aderenza alle leggi e censura dell’illegalità in ogni attività privata e pubblica e nella reciproca relazione tra le due sfere, ma quando diventa una moralina da corsivetto giornalistico, quando fa pericolosamente ballare sull’orlo dell’avvilimento e del precipizio etico una grande città italiana per ragioni sideralmente lontane dalla serietà e coerenza giurisdizionale, ecco, in questi casi diventa un assalto demagogico alla democrazia reale e formale in nome della fumosa e indefinita, almeno nel codice penale, “democrazia urbanistica”. E che a tutto questo una borghesia cittadina e un ceto amministrativo che dovrebbe reagire aggressivamente con strumenti di democrazia politica rispondano con avventata codardia, con omaggi e piegamenti di ginocchia alla procura, è una vera disdetta.