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L'editoriale del direttore
La sentenza della Corte Ue è un colpo non a Meloni ma a tutti i governi che sognano politiche migratorie non ostaggio dei giudici
La decisione dei giudici europei rafforza il controllo della magistratura su scelte politiche ad alta sensibilità. Il rischio è una deriva tecnocratica che indebolisce il ruolo dei parlamenti
La capacità della politica di difendersi dalle aggressioni di chi vuole limitare il suo spazio vitale non sempre offre agli osservatori ragioni per essere di buon umore. La sentenza della Corte di giustizia europea sui paesi sicuri, che smonta un pezzo della politica migratoria del governo Meloni, non è solo un colpo alle leggi di questo esecutivo. Ma è un colpo alla sovranità dei governi in materia di immigrazione, in quanto stabilisce che ogni decisione in materia di rimpatri di un governo sia sindacabile da un giudice, che evidentemente, per ragioni che hanno a che fare più con l’ideologia che con il diritto, ha più titolo di un legislatore nel decidere quando un paese è sicuro e quando non lo è. La sentenza è stata accolta con entusiasmo dagli avversari del governo Meloni, che hanno legittimamente trasformato in un totem da abbattere il modello albanese, cosa che possono fare ancora per qualche mese, prima che un trattato europeo, quello sull’asilo e sui migranti, certifichi la bontà dell’utilizzo dei paesi terzi per governare l’immigrazione illegale. Ma una volta passato l’entusiasmo per il colpo ricevuto dal governo Meloni, chi critica la politica migratoria dell’esecutivo dovrebbe chiedersi se lo spettacolo che abbiamo oggi di fronte a noi nel rapporto tra giudici e politica sia davvero tale da poter suscitare un entusiasmo travolgente.
Non ci riferiamo solo al già deprimente quadro italiano, in cui la politica negli ultimi mesi ha scelto di osservare con nonchalance l’erosione dei suoi spazi vitali in materia di politica urbanistica, in materia di politica ambientale, in materia di politica industriale, in materia di politica sulla sicurezza, in materia di politica d’intelligence, ma ci riferiamo a un tema che riguarda il singolo ambito delle politiche migratorie. Con la sentenza di ieri, sentenza emessa da una corte guidata naturalmente da un giudice, gli organi della giustizia europea rischiano di alimentare l’euroscetticismo più di mille dichiarazioni degli euroscettici di professione. La decisione della Corte di giustizia europea non va nella direzione della salvaguardia dei diritti ma mira ad alimentare l’esatto opposto di quello che servirebbe quando si parla di politiche migratorie: l’anarchia. La subordinazione diretta del potere legislativo al controllo tecnico-giudiziario svuota di fatto la sovranità dei parlamenti su un tema cruciale, come l’asilo politico, che è ad altissima sensibilità politica. E non è un caso che al fianco del governo italiano, in questa partita europea, vi siano stati anche governi che su molti altri dossier sono distanti dall’approccio di Meloni & Co.
A febbraio, come anticipato da Simone Canettieri, diversi paesi europei, tra cui la Francia macroniana e la Danimarca socialista, hanno presentato memorie scritte (che abbiamo visionato) per scongiurare la possibilità che la Corte potesse estendere i poteri dei giudici nazionali in materia di diritto d’asilo. E la ragione è semplice. Trasformare un atto politico in una decisione tecnica soggetta a verifica giurisdizionale piena limita la capacità dello stato di definire la propria politica migratoria in autonomia. E limitare la capacità di uno stato di definire la propria politica migratoria in autonomia significa avere meno leve per combattere l’immigrazione illegale sapendo che una volta stabilito che è legittimo trasferire ai giudici dei poteri speciali per limitare i rimpatri nessuna legge potrà garantire alla politica la sovranità necessaria per proteggere i confini. Il populismo, quando si parla di immigrazione, è certamente quello alimentato dai professionisti della xenofobia, specializzati a considerare ogni immigrato in un furfante fino a prova contraria. Ma la scelta di chiudere gli occhi di fronte alla pericolosità di limitare le scelte della politica in materia di immigrazione, scommettendo sulla via giudiziaria, è un’altra forma di populismo non meno pericolosa della prima. Rivendicare il rispetto del diritto è sacrosanto. Trasformare il rispetto del diritto nella difesa dell’anarchia anche no, grazie.