
Ansa
Cassese: “Quella della Corte di giustizia europea sui migranti è una sentenza inutile e suicida”
Il professore e giudice emerito della Corte costituzionale: "La sentenza sui migranti rischia di rendere l’Unione europea una babele dei diritti”
“E’ una sentenza inutile. E suicida perché sembra affermare che l’Ue non è un ordine giuridico unitario, ma una babele di diritti”, dice al Foglio il professore Sabino Cassese. Il giudice emerito della Corte costituzionale commenta la sentenza della Corte di giustizia europea che ieri ha assestato un altro colpo al modello Albania e alla politica migratoria del governo. Secondo Palazzo Chigi si tratta di un’invasione di campo. Meloni ha accolto la notizia “con sorpresa”, mentre era in Turchia per un vertice con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e con il primo ministro del governo di unità nazionale libico, Abdulhamid Mohammed Dabaiba in cui si è parlato proprio della gestione dei flussi migratori.
Professore, ci spiega cosa hanno deciso i giudici? “Hanno stabilito, con la sentenza del 1° agosto, che uno Stato membro dell’Unione europea può decidere anche con atto legislativo se un paese di origine di un immigrato sia sicuro. Ha però anche stabilito che qualsiasi giudice nazionale può controllare se tale decisione legislativa sia corretta. In terzo luogo, ha deciso che il legislatore deve motivare la sua decisione indicando le fonti di informazione che hanno consentito di stabilire che il paese di origine è sicuro e che il giudice può a sua volta valutare la sicurezza di quel Paese attingendo ad altre informazioni”, risponde Cassese.
“Infine – prosegue il professore – ha stabilito che un paese di origine può essere definito sicuro solo se lo è per tutte le categorie di persone, ma ha riconosciuto che il Regolamento del 2024, che entrerà in vigore nel 2026, stabilisce il principio opposto e che l’Ue può anticiparne l’attuazione, come la Commissione ha già proposto di fare”.
Un quadro che presenta alcune contraddizioni. Quali sono le criticità di questa sentenza? “La direttiva 32 del 2013, all’articolo 37, stabilisce che gli stati membri possono adottare una ‘normativa’ per designare ‘a livello nazionale’ i paesi di origine sicuri. La sentenza della Corte non tiene conto per nulla dell’espressione ‘a livello nazionale’, che implica un giudizio svolto da una sola autorità centrale”, spiega il professore. “I giudici non possono decidere a livello nazionale in quanto ciascun giudice potrebbe decidere in modo diverso. Inoltre, la direttiva fa riferimento a una ‘normativa’: con questo termine indica un’autorità che ha potere normativo, non giurisdizionale, mentre la Corte di giustizia lascia al singolo giudice il potere ultimo di decisione. L’assenza di attenzione per le due espressioni ‘a livello nazionale’ e ‘normativa’ è tanto più singolare in quanto la sentenza fa un esame minuzioso delle parole della direttiva comunitaria, tralasciando invece le implicazioni importanti che le parole ‘normativa’ e ‘a livello nazionale’ comportano”.
Cosa comportano? Quali sono gli effetti che questa sentenza può produrre? “Così facendo, la Corte non tiene conto né del fatto che, a quel punto, ogni giudice adito può giungere a conclusioni diverse da altri giudici, né del fatto che i giudici non necessariamente sono attrezzati per svolgere una complessiva valutazione di sicurezza di un ordinamento straniero, che richiede la conoscenza del suo diritto e delle prassi applicative, tanto più difficili da verificare in quanto va anche accertato se la sicurezza o insicurezza del paese riguarda singole categorie di persone”.
La Corte è andata oltre il ruolo che dovrebbe svolgere? “La Corte di giustizia ignora che l’obiettivo della direttiva è distinguere in via preliminare tra i richiedenti asilo che hanno buone chance di protezione e quelli che ne hanno meno, perché provengono da paesi generalmente sicuri. Agli uni e agli altri è garantito un esame della domanda e il diritto al giudice, ma per impedire la libera circolazione di chi probabilmente sta abusando del diritto, gli Stati membri possono trattenere i secondi durante la decisione sulla protezione e velocizzare il rimpatrio. La decisione della Corte vanifica questo obiettivo, favorendo la libera circolazione nell’Ue di chi abusa dell’asilo”. Cosa cambia ora? I giudici avranno più potere? “La Corte stabilisce che i singoli giudici possono tener conto di altre informazioni da essi stessi eventualmente raccolte: un contributo allo sviluppo del diritto comparato nei paesi dell’Unione o una nuova babele?”, si domanda Cassese.
Cosa comporterà questo per il nostro paese? “La Corte di giustizia chiede di introdurre in Italia un nuovo principio costituzionale, prevedendo un obbligo di motivazione delle leggi”. Professore, ci spieghi meglio. “Se l’atto legislativo che designa il Paese sicuro deve essere motivato e assoggettato al controllo delle condizioni sostanziali da parte di ‘qualsiasi giudice nazionale’, si apre la porta alla disapplicazione della norma nazionale da parte dei giudici, senza passare attraverso un controllo di costituzionalità e quindi attraverso un’unica autorità giurisdizionale”. Qual è, in conclusione, il suo giudizio? “La Corte di giustizia dà mano libera a ciascuna corte nazionale di stabilire se un paese è sicuro oppure no. Apre così la strada all’affermazione di una pluralità di diritti, tanto numerosi quanti sono i giudici. D’ora in poi, per un tribunale un paese potrà essere sicuro, per un altro no; una certa categoria di persone, anche numericamente molto limitata, potrà considerarsi protetta nel suo paese, per un altro no, con la conseguenza che l’intero paese non sarà sicuro e tutti i richiedenti da esso provenienti potranno circolare liberamente nell’area Schengen. Se la Corte di giustizia voleva mantenere il principio dell’unità del diritto, è riuscita a ottenere l’opposto. Si tratta – conclude Cassese – di una sentenza suicida perché sembra affermare che l’Ue non è un ordine giuridico unitario, ma una babele di diritti. Infine, una sentenza inutile sia perché ora dovrà pronunciarsi la Cassazione italiana sia perché dal 2026 entra in vigore la nuova disciplina europea che prevede la sede europea per definire i paesi sicuri”.