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Le criticità del ddl
Un'altra legge: contro i conflitti d'interesse all'Antimafia
Una bozza affrettata, un concetto non chiaro. E il sospetto che serva a estromettere magistrati scomodi
L’attuale maggioranza governativa sconosce, o disconosce volutamente il diritto per riaffermare il primato assoluto della politica? Forse, sono in parte vere entrambe le ipotesi. Comunque sia, che questa maggioranza non intrattenga un buon rapporto con i princìpi e le regole dell’ordinamento giuridico è comprovato da riscontri certi. Penso ad esempio, oltre alla cattiva e poco trasparente gestione del caso Almasri, al pacchetto-sicurezza, approvato con decreto-legge ancorché in assenza dei presupposti costituzionali della decretazione d’urgenza; e, per di più, zeppo di criticità che – come hanno invano evidenziato qualificati giuristi intervenuti pure sulla stampa quotidiana – lo rendono in non pochi punti poco compatibile con la Costituzione.
A ulteriore riprova, è il caso di parlare di un nuovo disegno di legge (d.d.l. 1277), già approvato dalla commissione Affari costituzionali del Senato, che, pur apparendo parecchio discutibile, non ha finora costituito oggetto di un adeguato dibattito pubblico: si tratta di una iniziativa legislativa volta a disciplinare un non meglio definito “conflitto di interessi” nell’ambito specifico della commissione parlamentare Antimafia. Perché nasce la preoccupazione di legiferare in proposito? Cerca di spiegarlo la relazione di accompagnamento, dove si sostiene la necessità di “risolvere una situazione che si è presentata in questa legislatura all’interno della cosiddetta commissione Antimafia: uno dei componenti potrebbe essere ascoltato, in ragione di pregresse funzioni assolte, nell’ambito di un’indagine riguardante scelte, direttive, procedimenti, e atti da questi compiuti negli anni antecedenti alla sua elezione”. La presunta incompatibilità cui si allude, per vero in modo poco chiaro, sarebbe cioè concretamente emersa nel conteso di una vicenda – divenuta nota attraverso la stampa, per cui la diamo per conosciuta – che ha coinvolto Roberto Scarpinato, attuale componente della commissione Antimafia come senatore 5 Stelle ed ex magistrato in passato impegnato in processi di mafia (ulteriore presenza in odore di incompatibilità sarebbe quella dell’altro commissario Federico Cafiero de Raho, deputato 5 Stelle ed ex procuratore nazionale antimafia).
Secondo i proponenti del disegno di legge, non a caso esponenti dell’attuale maggioranza politica, il presunto conflitto di interessi scaturirebbe dunque dal fatto – lo diciamo con parole nostre – che commissari come Scarpinato o Cafiero abbiano manifestato o possano manifestare opinioni e valutazioni su vicende, episodi, processi riguardanti la criminalità organizzata di cui si sono già occupati nel precedente ruolo di magistrati; conflitto che sarebbe ancora più evidente, nel caso in cui essi in tale ruolo abbiano sposato ipotesi ricostruttive divergenti da quelle fatte in seguito oggetto di verifica e approfondimento all’interno della commissione Antimafia. Da qui la ritenuta esigenza di introdurre un obbligo di astensione per i commissari che versino nella condizione suddetta, in supposta analogia a quanto l’ordinamento prevede nell’ambito dell’attività giurisdizionale.
Muovendo da tali preoccupazioni di fondo, il disegno di legge propone un modello di disciplina in verità tanto generico e scarno (un solo articolo diviso in quattro commi) da apparire abbozzato con eccessiva precipitazione. In estrema e parziale sintesi: a) si prevede che l’obbligo di astensione per i commissari possessori di pregresse conoscenze scatti qualora la loro partecipazione ai lavori possa provocare pregiudizio alla obiettività delle indagini compiute dalla commissione Antimafia; b) la competenza a verificare se la situazione di conflitto sussista davvero viene attribuita alla stessa commissione, la quale decide previo contraddittorio con il componente interessato. Orbene, non è difficile cogliere i profili di illegittimità, e prima ancora constatare la mancanza di fondamento nel merito, di una poco ponderata e affrettata iniziativa legislativa come questa; iniziativa che non può, pertanto, non destare l’impressione di un provvedimento ad personam, contingentemente concepito per estromettere dai lavori dell’Antimafia ex magistrati percepiti oggi come scomodi e perciò sgraditi.
Ma il giudizio sulla legittimità del disegno di legge deve prescindere, in ogni caso, dai motivi che lo hanno occasionato e dalle persone coinvolte. La questione va affrontata in termini generali, premettendo il richiamo della sentenza della Corte costituzionale n. 207/2021, che ha affermato questo importantissimo principio a proposito della funzione parlamentare: “la garanzia del libero mandato non consente l’instaurazione, in capo ai singoli parlamentari, di vincoli – da qualunque fonte derivino: legislativa, statutaria, negoziale – idonei a incidere giuridicamente sulle modalità di svolgimento del mandato elettivo”. Già da questo riconoscimento di principio deriva - a ben vedere - che chi diventa parlamentare è libero, nell’esercizio della nuova funzione, anche di continuare a esprimere opinioni e compiere valutazioni eventualmente del tutto coincidenti con quelle manifestate nell’esercizio di una precedente attività.
Ciò non ultimo perché – diversamente da quanto si sostiene nella relazione al disegno di legge – non può prospettarsi una vera analogia tra la posizione di commissario antimafia e quella di magistrato: la funzione di una commissione parlamentare d’inchiesta, come quella antimafia, è infatti politico-conoscitiva, come tale ben differente da quella consistente nel condurre indagini processuali o nel pronunciare giudizi di condanna con conseguenti ricadute pesanti sulle libertà individuali. E anche se i commissari parlamentari possono prendere in esame vicende e atti processuali, essi non sono legittimati a rifare i processi e devono (almeno in teoria) guardarsi dall’esercitare condizionamenti o realizzare forme di ingerenza politica nell’attività giudiziaria, pena la violazione del principio della divisione dei poteri. Né sembra decisivo il timore che l’eventuale riproposizione da commissari parlamentari di tesi già sostenute in una precedente veste professionale possa pregiudicare l’obiettività delle indagini che si compiono in commissione. Una tale preoccupazione pare presupporre una implicita sottovalutazione della capacità di giudizio e delle attitudini critiche del resto dei commissari, che si presume siano pregiudizialmente soggetti all’influenza di chi può vantare conoscenze e competenze pregresse. Ma, se questa presunzione meritasse di essere presa sul serio, coerenza imporrebbe di precludere ad esempio la presenza di medici in commissione Sanità, di avvocati in commissione Giustizia o di ingegneri in commissione Lavori pubblici ecc. Solo che una simile preclusione equivarrebbe a elevare l’incompetenza tecnica a requisito necessario per diventare membri delle varie commissioni!
Considerando più da vicino specifici profili di illegittimità del disegno di legge, il primo elemento di grave criticità che salta agli occhi è costituito dalla indeterminatezza del concetto di “conflitto di interessi”. Non se fornisce alcuna definizione, né si indicano criteri sulla cui base verificarne l’esistenza: tutto è affidato alla completa discrezionalità valutativa della stessa commissione Antimafia, con conseguente violazione del principio di terzietà quale principio generale dello Stato di diritto. Ma, prima ancora, questo vuoto normativo si pone in insanabile contrasto col principio costituzionale che impone in generale al legislatore di indicare, con la maggiore precisione possibile, i presupposti di eventuali limitazioni delle libertà e dei diritti fondamentali; e, nel contempo, col principio della massima espansione della libertà del mandato parlamentare.
Andando più alla radice, si può però persino contestare che sia davvero pertinente il concetto di conflitto di interessi riferito a situazioni come quelle in discorso: concetto che, com’è noto, nasce nel settore amministrativistico con riferimento ai casi in cui un pubblico funzionario persegue interessi personali che possono compromettere la sua imparzialità di giudizio, con conseguente conflitto tra l’interesse pubblico e l’interesse personale. A ben vedere, non è questo il caso, ad esempio, dell’ex magistrato che dispone di preconoscenze su fatti oggetto di indagine da parte della commissione Antimafia di cui fa parte: l’eventuale riproposizione di conoscenze pregresse, lungi dal riflettere un interesse di natura “personale”, può al contrario ben corrispondere all’interesse pubblico grazie all’apporto di contributi conoscitivi utili ai fini del confronto dialettico interno a una commissione d’inchiesta.
E’ vero che l’ordinamento prevede situazioni particolari che comportano una limitazione del libero esercizio della funzione parlamentare. Ma si tratta di fattispecie di incompatibilità diverse da quella qui contestata, in quanto prendono in considerazione condizioni personali che ragionevolmente possono entrare in contraddizione con il ruolo di parlamentare o con le finalità di una specifica commissione d’inchiesta. Ad esempio, il regolamento della stessa commissione Antimafia stabilisce che, qualora un commissario sia indagato per gravi reati, può subire limiti all’accesso alla documentazione d’archivio. Senonché, proprio questa esemplificazione mostra l’irragionevole disparità di trattamento in cui incorre il disegno di legge: mentre un commissario indagato ad esempio per reati di mafia può continuare a partecipare ai lavori della commissione Antimafia (subendo limiti solo all’accesso alla documentazione), a un commissario non indagato ma temuto (o avversato) perché in possesso di conoscenze pregresse su fatti su cui indaga la commissione viene, invece, preclusa del tutto la partecipazione ai lavori.
Un ulteriore profilo non secondario di illegittimità deriva dal potere della commissione Antimafia di decidere sul cosiddetto conflitto di interessi a semplice maggioranza, non essendo previsto un quorum più elevato così da coinvolgere nella decisione membri dell’opposizione. Un ulteriore elemento sintomatico, questo, a possibile conferma del sospetto che il vero obiettivo perseguito dal disegno di legge sia quello di consentire a una maggioranza di commissari antimafia di estromettere dai lavori colleghi scomodi e perciò sgraditi.