Un equivoco sul concetto di ristrutturazione edilizia. Che cosa non torna nell'inchiesta di Milano

Matteo Repetti

La procura ignora le modifiche apportate dal decreto Semplificazione. Lo stigma negativo dato alla Scia. La necessità di una rigenerazione urbana nei fatti e non a parole

L’inchiesta promossa a partire dalla primavera del 2023 dalla Procura della Repubblica riguardante la ragguardevole attività di riqualificazione urbanistica degli ultimi anni a Milano ha segnato nei giorni scorsi un salto di qualità, investendo il sindaco Sala e i vertici dell’amministrazione comunale, con richiesta di arresto nei confronti dell’assessore all’Urbanistica, e il coinvolgimento di costruttori e immobiliaristi.

  

Dalle carte dell’inchiesta sarebbe emerso “un vorticoso circuito di corruzioni tuttora in corso, che colpisce le istituzioni e ha disgregato ogni controllo pubblico sull’uso del territorio, svilito a merce da saccheggiare”. Il tutto in un quadro di “avidità”, “spregiudicatezza”, “asservimento sistemico”, “modalità eversive di comportamenti”, fondato su “una rete occulta” costituita “da rappresentanti delle istituzioni, professionisti e/o faccendieri, operatori privati dei settori immobiliare, finanziario e del credito”. Riportando le parole dello stesso procuratore Marco Viola, si è assistito a un fenomeno “di incontrollata espansione edilizia che ha assunto dimensioni di rilievo notevolissimo”.

  

In realtà i reati ipotizzati a carico del sindaco sarebbero “false dichiarazioni su qualità personali proprie o di altre persone” e “induzione indebita a dare o promettere utilità”: si tratta di condotte sfuggenti, che – quanto a tassatività – fanno rimpiangere l’abolito abuso d’ufficio. Ma, al di là delle aggettivazioni enfatiche, partiamo dai fatti. E’ necessario fare qualche passo indietro.

  

L’inchiesta ha avuto inizio nella primavera del 2023, quando la procura di Milano aveva aperto un fascicolo sul nuovo edificio di piazza Aspromonte e sulle Torri di Crescenzago, realizzati al posto di due capannoni dismessi. L’ipotesi di reato non era la corruzione ma quello di lottizzazione abusiva e di abuso edilizio per l’utilizzo improprio di strumenti come la famigerata Scia (segnalazione certificata di inizio attività), procedura semplificata e (solo parzialmente) meno onerosa che sarebbe stata utilizzata per consentire la costruzione di nuovi edifici qualificati invece in termini di mere ristrutturazioni. Al posto della Scia, sostiene la procura, sarebbe stata necessaria la previa adozione di piani attuativi, procedure più articolate a tutela del superiore interesse pubblico, che avrebbero previsto una maggiore dotazione dei cosiddetti oneri di urbanizzazione (infrastrutture, parcheggi, aree a verde, ecc.) a carico del privato (per quanto si trattasse di interventi su aree tutte già intensamente urbanizzate e dotate di servizi).

  

Nella primavera successiva l’inchiesta si estende a oltre una dozzina di cantieri, mentre altri 150 progetti vengono fermati. Una situazione di incertezza che ha addirittura portato alla chiusura, da parte del comune, dello Sportello unico dell’Urbanistica alla fine dello scorso anno.

  

In pochi mesi il sistema immobiliare milanese è rimasto paralizzato: decine di miliardi di investimenti a rischio

  

Di fatto, in pochi mesi il sistema immobiliare milanese è rimasto paralizzato, con decine di miliardi di investimenti a rischio, e una pesantissima perdita di oneri di urbanizzazione a favore del comune. E la precaria situazione di circa 4.500 famiglie che, secondo le stime, hanno comprato casa nei cantieri bloccati e non hanno finora avuto l’immobile che hanno pagato.

 

Adesso, come si è detto, l’inchiesta si è allargata.

 

Ma il punto di partenza delle indagini sta nella – dibattuta e in continua evoluzione normativa e giurisprudenziale – nozione di ristrutturazione edilizia, fino all’ipotesi della demolizione e ricostruzione dei manufatti esistenti. In particolare, è controverso fino a che punto possa spingersi la trasformazione degli stabili preesistenti e quale sia il limite tra interventi di ristrutturazione edilizia e di nuova costruzione.

 

Parallelamente, si pone la questione del regime abilitativo degli interventi edilizi in esame, ovvero se siano assoggettabili alla cosiddetta Scia (ovvero a una segnalazione da parte del privato) o alla necessità del rilascio di un permesso di costruire (ovvero di un titolo esplicito da parte dell’amministrazione).

 

E’ bene premettere fin da subito come la stratificazione della normativa edilizia e urbanistica nel nostro ordinamento – tra legislazione statale (spesso disorganica e d’urgenza), normativa di settore (ad es. in materia paesaggistica ed ambientale), disciplina regionale e strumenti urbanistici comunali – sia molto spesso di difficile interpretazione per gli stessi operatori specializzati.

 

Ora, la nozione di ristrutturazione edilizia si rinviene nel T.U. Edilizia (dpr n. 380 del 2001) all’art. 1, comma 1, lett. d), dove si prevede appunto che per “interventi di ristrutturazione edilizia” si devono intendere “gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare a un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”. Si legge poi che adesso, per effetto delle modifiche apportate dal cosiddetto decreto Semplificazione nell’estate del 2020, “nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche”. E che “l’intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana”.

   

Dal 2020 in poi la nozione di ristrutturazione edilizia comprende anche la cosiddetta demoricostruzione

   

Appare quindi evidente che, quantomeno a partire dalla citata modifica legislativa intervenuta nel corso del 2020, la nozione di ristrutturazione edilizia ricomprenda pacificamente la cosiddetta demoricostruzione, ovvero la demolizione e successiva ricostruzione degli edifici, essendo oggi normativamente possibile, letteralmente, pervenire a un fabbricato con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche. E anche per quanto riguarda l’aumento dei volumi, si è visto, questi sono ora ammissibili, anche e soprattutto in relazione a interventi di riqualificazione del tessuto urbano.

 

E’ appena il caso di aggiungere come l’esigenza in questione sia d’altra parte connaturata alla stessa nozione di rigenerazione urbana, ovvero alla necessità di riqualificare siti industriali dismessi e manufatti industriali non più utilizzati, da riconvertire ad altre funzioni, residenziali e commerciali. In questa logica, appare del tutto naturale e auspicabile, anche in una logica di contenimento di consumo del suolo, procedere alla integrale sostituzione dei manufatti preesistenti, eventualmente anche delocalizzando i volumi originari. E le diverse leggi regionali intervenute recentemente in materia di rigenerazione urbana sono sostanzialmente in linea con queste indicazioni.

 

Si tratta, d’altra parte, di processi da tempo in atto nelle principali città europee (la stessa espressione rigenerazione urbana deriva dall’esperienza anglosassone).

Il dato normativo sopra riportato è però di fatto disconosciuto dalla procura della Repubblica e dall’ufficio del gip di Milano, che sono ancorati a una nozione “ontologico-lessicale” della ristrutturazione edilizia, per cui non si potrebbe comunque “prescindere dal conservare traccia dell’immobile preesistente”, a dispetto della lettera della normativa attualmente applicabile. In particolare, dalla lettura degli atti di indagine sorprende il riferimento a giurisprudenza amministrativistica e di Cassazione venutasi per lo più a formare anteriormente al cosiddetto decreto Semplificazioni di cui si è detto sopra.

 

Precisato quanto appena detto rispetto alla nozione di ristrutturazione edilizia, veniamo ora alla questione del titolo abilitativo necessario per procedere ai descritti interventi di demoricostruzione.

 

L’art. 22 del TU Edilizia prevede, al comma 1, che “sono realizzabili mediante la segnalazione certificata di inizio di attività”, tra gli altri, alla lett. c), “gli interventi di ristrutturazione edilizia” genericamente considerati. E in base al successivo art. 23 è prevista la Scia come strumento alternativo rispetto al permesso di costruire – con un richiamo all’art. 10, comma 1, lett. c) – per “gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino a un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino anche modifiche della volumetria complessiva degli edifici ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A – ovvero i centri storici –, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma o della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti di immobili” sostanzialmente sottoposti a vincoli.

  

Anche dal punto di vista del titolo abilitativo, pertanto, le conclusioni a cui giunge la procura milanese appaiono quantomeno apodittiche.

  

E lo stigma negativo che ad avviso degli inquirenti milanesi contraddistingue la Scia, che è ormai uno strumento utilizzatissimo nei rapporti tra privati e Pa anche al di fuori dell’edilizia per evidenti esigenze di celerità ed efficienza, è francamente privo di giustificazione.

  

E anche l’interpretazione della ormai famosa determina dirigenziale della Direzione urbanistica del comune di Milano del 31 maggio 2018 – che secondo gli inquirenti costituirebbe una sorta di peccato originale, avendo dato la stura a un utilizzo indiscriminato dello strumento della Scia – è quantomeno discutibile, essendo stata invece prevista in quella nota la possibilità di utilizzare la scia in modalità convenzionata, prevedendosi quindi a carico del privato la necessità di realizzare opere di urbanizzazione e di provvedere alla fornitura di servizi di carattere generale.

  

D’altra parte, è noto come da tempo l’attività urbanistico-edilizia proceda in maniera concertata tra Pubblica amministrazione e soggetti privati, risultando quantomeno inattuali e poco verosimili i richiami all’esigenza di una pianificazione organica e attuativa, come pretenderebbe invece la procura di Milano. Si tratta di considerazioni che valgono non solo per interventi consistenti nella realizzazione di immobili da destinare al mercato, ma anche per soddisfare esigenze rientranti nella cosiddetta emergenza abitativa a favore di fasce svantaggiate della popolazione.

  

E anzi, in una logica di recupero del patrimonio edilizio esistente, è stata addirittura avanzata l’idea di consentire la trasferibilità dei volumi edificatori (i cosiddetti development rights) tra privati, proprio per consentire una maggiore duttilità e capillarità delle soluzioni, sottraendo questo tipo di operazioni a un irrealistico e onnisciente controllo pubblico del territorio.

  

Insomma, la rigenerazione urbana e il contenimento del consumo del suolo si fa con strumenti adeguati, copiando anche le positive esperienze di altri ordinamenti; non con mere affermazioni di principio e il ricorso a strumenti pianificatori datati e non più attuabili, privi di ogni fattibilità economica.


 

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