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Il decreto

Tutte le criticità del nuovo piano contro il sovraffollamento nelle carceri

Riccardo Carlino

“Mancano i posti in comunità per accogliere tossicodipendenti e alcoldipedenti. E con soli 250 magistrati di sorveglianza, non si riesce a stare dietro le istanze di migliaia di detenuti", dice Rita Bernardini, presidente di Nessuno tocchi Caino

Il decreto legge approvato ieri dal governo si articola su vari livelli: una maggiore rapidità per la valutazione della liberazione anticipata, un nuovo regime di detenzione domiciliare per detenuti tossico/alcoldipendenti e un programma di edilizia penitenziaria che guarda fino al 2027. Si vuole ridurre di circa diecimila unità la popolazione carceraria, e contemporaneamente concedere benefici ai detenuti che più ne avrebbero diritto: qualcosa di apparentemente diverso dal filone panpenalistico e securitario che questo governo ha abbracciato da praticamente tutta la sua esistenza. Ma che nasconde diverse difficoltà nella sua applicazione. 

“Mancano i posti in comunità per accogliere i detenuti tossicodipendenti e alcodipedenti – spiega al Foglio Rita Bernardini, presidente di Nessuno tocchi Caino, associazione impegnata contro la pena di morte e le condizioni estreme di carcerazione – e anche laddove ci siano, si deve comunque aspettare la decisione dei magistrati di sorveglianza, i quali però hanno un carico di lavoro e compiti enorme”. Un problema nel problema: “Ci sono solo 250 magistrati di sorveglianza, e devono seguire le istanze di oltre 60 mila detenuti, quelle di circa 100 mila persone che accedono alle misure alternativa di comunità e più altri 100 mila 'liberi sospesi' ”, ossia persone condannate con sentenza definitiva a una pena detentiva non superiore a quattro anni, che – dopo la sospensione dell'ordine di esecuzione della pena – rimangono in attesa della decisione del tribunale di sorveglianza sulla richiesta di una misura alternativa alla detenzione. "E poi, anche guardando alle singole comunità, come fa un organico di soli mille educatori a seguire decine di migliaia di detenuti in un percorso individualizzato di trattamento?", si chiede Bernardini.

Vista così, la gravità della situazione sembra offuscare le possibilità positive previste dal piano illustrato ieri. Secondo le nuove norme, la detenzione alternativa si applica a detenuti tossicodipendenti e alcodipendenti con a carico una pena di massimo otto anni di reclusione, non più sei. Ampliamento che Bernardini giudica “estremamente positivo”, insieme all'aumento dei colloqui – che passano da 4 a 6 al mese per i detenuti che hanno commesso reati meno gravi, mentre da 2 a 4 se il reato è grave – e un incremento delle telefonate concesse al mese. "È sicuramente un miglioramento, ma ciò vuol dire che dovranno essere ancora di più gli agenti per presiedere a quei colloqui", osserva. “Oggi mancano 6mila agenti di polizia penitenziaria. Ci sono momenti in cui il carcere è completamente sguarnito, nonostante gli agenti facciano turni anche di 12 ore al giorno”, calcola la presidente, sottolineando l'incongruenza di questo dato con gli altri interventi di edilizia penitenziaria annunciati per recuperare sezioni esistenti e realizzarne di nuove: “Nordio parla di moduli prefabbricati per ampliare le celle, ma quale personale seguirà i detenuti in più? Spesso a molti di loro manca la scorta per visite mediche esterne, ma anche per andare ai processi", conclude Bernardini.