Il procuratore di Milano, Marcello Viola (foto Ansa)

le carte

Tutte le falle dell'inchiesta sull'edilizia a Milano

Ermes Antonucci

Nell’ultima indagine sull’urbanistica, i pm milanesi arrivano a contestare il reato di corruzione all’assessore Tancredi, a funzionari e a imprenditori sulla base di deduzioni fantasiose e prive di fondamento logico

Leggendo le carte dell’ultima indagine sull’urbanistica lanciata ieri dalla procura di Milano, che ha portato alla richiesta di arresti domiciliari per sei indagati, tra cui l’assessore comunale alla Rigenerazione urbana, Giancarlo Tancredi, viene quasi spontaneo sperare che i pm abbiano tra le mani qualcosa in più di quanto da loro riportato. Resta un mistero, infatti, come si possa contestare all’assessore Tancredi di aver condizionato le valutazioni della Commissione per il paesaggio (cioè l’organo consultivo istituito proprio dal comune di Milano per valutare la compatibilità paesaggistica degli interventi edilizi) senza indicare il benché minimo indizio di questo condizionamento (un atto, un’intercettazione o altro). Resta un mistero anche come possano i pm imputare all’assessore incaricato della Rigenerazione urbana l’aver avuto rapporti con il presidente della Commissione paesaggio e con questi aver ricevuto i rappresentanti dei gruppi privati che intendevano investire nella costruzione delle opere. Chi avrebbe dovuto farlo se non lui? Ma i misteri dell’indagine milanese non si fermano qui.

 

L’intero impianto accusatorio del nuovo filone della procura di Milano, che coinvolge 21 indagati, si basa su un dato grave, dal quale però i pm fanno discendere con una certa fantasia tutta un’altra serie di ipotesi di reato che non sembrano essere così scontate. Il dato è questo: Giuseppe Marinoni e Alessandro Scandurra, rispettivamente presidente e membro della Commissione paesaggio, hanno omesso di dichiarare l’esistenza di conflitti di interessi con soggetti privati. In altre parole, non si sono astenuti dall’adottare decisioni in sede di Commissione per il paesaggio che riguardavano la valutazione di pratiche edilizie nonostante tramite i loro studi privati (sono entrambi architetti) avessero ricevuto somme per prestazioni professionali svolte proprio in favore dei soggetti coinvolti nelle pratiche. Da queste situazioni di conflitto di interessi, certamente censurabili (e che potrebbero prefigurare il reato di falso in atto pubblico), i pm deducono che le somme ricevute da Marinoni e Scandurra siano addirittura il frutto di corruzione. Un salto logico piuttosto ardito, anche perché i magistrati non contestano in alcun modo l’esistenza delle prestazioni professionali svolte in ambito privato. 

 

Nell’ordinanza, così, i pm milanesi addebitano ripetuti reati di corruzione ora a Marinoni ora a Scandurra con la seguente formula: “Perché quale pubblico ufficiale presidente/membro della Commissione per il paesaggio riceveva dalla società (…) somme di denaro pari a euro (…) a fronte dell’emissione di fatture per prestazioni professionali, in tal modo venendo illecitamente remunerato per le funzioni di pubblico ufficiale, esercitate in violazione dei doveri di ufficio previsti dalla legge e dai regolamenti”. Un’affermazione palesemente illogica, in cui si perde il nesso tra la premessa (la remunerazione in quanto soggetto privato) e la conclusione (la corruzione in quanto pubblico ufficiale). I pm, in altre parole, sembrano trasformare l’omessa dichiarazione di situazioni di conflitto di interessi in fatti di corruzione. 

 

La contestazione nei confronti dell’assessore Tancredi è ancora più controversa. L’accusa di corruzione nei confronti di Tancredi deriva da una supposta conoscenza di quest’ultimo della situazione di conflitto di interessi di Marinoni. Anche in questo caso un’imputazione a dir poco audace (al massimo si potrebbe parlare di “concorso in conflitto di interessi”). Anche perché i pm corroborano questa tesi addebitando all’assessore l’aver ricevuto gli investitori nei suoi uffici insieme al presidente della Commissione paesaggio e l’aver partecipato alle trattative che riguardavano le opere edilizie. Eppure appare fisiologico che l’assessore alla Rigenerazione urbana avesse rapporti con il presidente della Commissione paesaggio, così come con i rappresentanti degli importanti gruppi che volevano investire a Milano. Riemerge in questa contestazione la presunzione di malafede, già manifestata dai pm milanesi in altri filoni dell’inchiesta, nei confronti delle imprese edili, viste come dei mostri spietati pronti a tutto pur di inondare Milano di colate di cemento e trarne profitto. 

 

Non mancano stralci di intercettazioni, in cui ad esempio Marinoni si vanta di portare avanti un “pgt (piano generale del territorio, ndr) ombra” o in cui afferma a un manager: “Se riuscissimo a concludere anche solo metà dei lavori che abbiamo avviato in questi sei mesi avremmo lavori per il prossimo lustro… ahah”. Ma la rilevanza penale di queste frasi estrapolate è tutta da dimostrare. 

 

In altri scambi di chat, osservano i pm in una nota, “emerge inoltre che il sindaco Sala e il direttore generale Malangone condividono e appoggiano le strategie di Marinoni e delle società coinvolte”. Il prossimo a ricevere un avviso di garanzia sarà il sindaco di Milano? E con quale accusa? Quella di aver condiviso le strategie del presidente della Commissione paesaggio? Le sorprese non finiscono mai.
 

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  • Ermes Antonucci
  • Classe 1991, abruzzese d’origine e romano d’adozione. E’ giornalista di cronaca giudiziaria e studioso della magistratura. Ha scritto "I dannati della gogna" (Liberilibri, 2021) e "La repubblica giudiziaria" (Marsilio, 2023). Su Twitter è @ErmesAntonucci. Per segnalazioni: [email protected]