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il caso
La riforma fallita di Bergoglio sulla mafia. Moralismo penale e divino vanno insieme, ma zoppi
Papa Francesco aveva promesso la scomunica per i mafiosi, ma la Chiesa si è fermata prima di passare ai fatti. Il caso Brusca rivela il fallimento di una riforma rimasta solo nelle intenzioni
Sempre con tutto il rispetto per Francesco buonanima, la faccenda della definitiva liberazione di Giovanni Brusca u verru per avere scontato interamente la pena – 25 anni in virtù dello sconto per i collaboratori di giustizia – costringe a riflettere anche sulla distanza incolmabile tra i proclami morali, e persino le minacciate scomuniche della Chiesa, e i loro esiti nella realtà effettuale. Lo stragista di Capaci, il boss che fece sciogliere nell’acido il bambino Di Matteo, il capomafia e poi collaboratore cruciale nella lotta ai clan è libero. Il savonaroliano Lirio Abbate ha scritto: “La legge pretende fatti, non emozioni. Ma la giustizia, quella vera, pretende anche un’etica”. Del resto pure Papa Francesco aveva tuonato che la mafia è “una bestemmia”. Ma se già applicata alla giustizia penale l’etica traballa, anche nel caso della giustizia divina produce buchi nell’acqua. La notizia del fine pena di Brusca ha suscitato come è ovvio molti commenti, alcuni razionali pur nel grande dolore come quello della sorella di Giovanni Falcone, Maria: “Sento il dovere di affermare con forza che questa è la legge. Una legge, quella sui collaboratori di giustizia, voluta da Giovanni, e ritenuta indispensabile per scardinare le organizzazioni mafiose dall’interno”. Altri più esacerbati, come l’ex procuratore Antimafia Piero Grasso: “La prima reazione alla notizia della liberazione di Brusca è provare rabbia e indignazione”. E da più parti ci si è ricordati, con indignazione, di quando Papa Francesco aveva annunciato la scomunica per i mafiosi. Nel 2014 in Calabria Bergoglio aveva pronunciato parole nette: “I mafiosi non sono in comunione con Dio, sono scomunicati”. Ma alle parole non seguirono i fatti, come spesso nel suo pontificato.
Un po’ perché a segnare la posizione della Chiesa già era bastato Giovanni Paolo II, nel 1993 ad Agrigento, con un pubblico anatema ma per così dire più escatologico, “un giorno verrà il giudizio di Dio”, che di diritto canonico. Un po’ perché passare dalle intenzioni profetiche ai fatti è stato uno degli inghippi di Francesco. Come non era bastato il “chi sono io per giudicare?” per cambiare la dottrina sull’omosessualità; come le ben due commissioni sul diaconato femminile finite in nulla; come il Sinodo amazzonico che doveva dare il via libera ai viri probati. Scomunicare i mafiosi è stata un’altra delle celebrate riforme profetiche del Papa argentino rimaste al palo. La cosa andò comunque avanti. Nel 2021, in occasione della beatificazione di Rosario Livatino, “primo magistrato beato nella storia della Chiesa”, fu istituito presso il dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale un gruppo di lavoro sulla “scomunica delle mafie”. C’erano tra gli altri nomi celebri come don Ciotti, Rosy Bindi ex presidente della commissione Antimafia, l’ex procuratore Giuseppe Pignatone, il vescovo emerito di Monreale Michele Pennisi e don Marcello Cozzi, già numero due di Libera.
I problemi non furono pochi, del resto un tentativo di scomunicare i mafiosi era già fallito clamorosamente nel 1989, quando in un’assemblea della Cei il cardinale di Napoli, Michele Giordano, aveva annunciato che i vescovi stavano per decidere la scomunica. Fu stoppato per le vie spicce dal cardinal Poletti nel discorso di chiusura: “La scomunica della mafia non è all’ordine del giorno. Non è prevista e non è prevedibile nessuna sanzione di questo tipo. La condanna della violenza da parte della Chiesa è sempre chiara e inequivocabile. Ma non è compito della Chiesa varare provvedimenti particolari”. La scomunica latae sententiae esiste per pochi casi: i reati contro la fede: apostasia, eresia e scisma; la profanazione delle specie eucaristiche; la violenza fisica contro il Pontefice; l’ordinazione di un vescovo senza approvazione del Papa; l’aborto. Fatto salvo che ci si può sempre pentire (la scomunica come “pena medicinale”). Ma, nel caso di reati che vanno dalla strage al pizzo all’omertà, qualcosa della necessità di normare i “provvedimenti particolari” al diritto canonico sfugge. A questo proposito è notevole un risvolto della vicenda di Brusca. Oggi, pentito o no, la sua anima nera è in buoni rapporti con don Marcello Cozzi, ex vicepresidente di Libera, a cui ha confidato: “Il paradosso è che questa libertà me l’ha donata il magistrato che ho ucciso, Giovanni Falcone”. Don Cozzi con lui ha scritto addirittura un libro, Uno così. Giovanni Brusca si racconta (San Paolo). Il paradosso vero è che è lo stesso sacerdote che, come membro della commissione vaticana, avrebbe dovuto scomunicarlo.
Scrive Lirio Abbate che “Papa Francesco aveva un piano chiaro: colpire mafia e corruzione… usava parole forti: definiva la corruzione ‘un cancro’, ‘una radice velenosa’, ‘una bestemmia sociale’”. Ma la commissione non ha portato a nulla. Secondo don Ciotti, perché “purtroppo a un certo punto qualcosa si è interrotto. Non l’attenzione di Papa Francesco che è rimasta viva su questi argomenti, ma internamente al Vaticano c’è stato un freno”. Il solito complotto dei mafiosi del Vaticano, la trattativa Santa Sede-mafia. C’è chi sostiene che tecnicamente sia stato l’arrivo al dicastero del cardinale Michael Czerny, gesuita, a indirizzare la cosa su un binario morto: tra l’altro, l’idea era di varare una scomunica valida urbi et orbi per tutte le mafie di tutto il mondo, vasto programma. Più semplicemente non è agevole, quando si è sul terreno del diritto divino, stabilire in quali casi e fino dove ogni reato richieda una scomunica. Ad esempio c’è chi ha proposto l’idea della scomunica per la corruzione, “bestemmia sociale”. Ma basterebbe, nel caso, una condanna per abuso d’ufficio? E, con l’aria che tira, a quando la scomunica per il femminicidio, o il bullismo? Fra’ Cristoforo dei Promessi sposi non sarebbe esistito, perché sarebbe stato precedentemente scomunicato per omicidio aggravato da atti di bullismo. Può mai la Chiesa infilarsi in questo ginepraio?