populismo penale

L'aggravante per i reati vicino alle stazioni e non solo. Tutte le follie del decreto sicurezza

Ermes Antonucci

Dal 12 aprile in Italia commettere un furto, una violenza sessuale o persino un omicidio “all’interno o nelle immediate adiacenze” delle stazioni ferroviarie è più grave che commettere questi stessi reati in qualsiasi altro posto. Effetto dell'entrata in vigore del dl sicurezza, un testo schizofrenico

Dallo scorso 12 aprile in Italia commettere un furto, una rapina, una violenza sessuale o persino un omicidio “all’interno o nelle immediate adiacenze” (qualunque cosa questo significhi: nel raggio di 100 metri? 200? Di più?) delle stazioni ferroviarie e delle metropolitane è più grave che commettere questi stessi reati in qualsiasi altro posto. Tutto ciò è conseguenza dell’entrata in vigore del decreto sicurezza, approvato dal governo in Consiglio dei ministri il 4 aprile, poi pubblicato in Gazzetta ufficiale una settimana dopo. Un provvedimento schizofrenico, sotto innumerevoli punti di vista. 

 

Innanzitutto quello del metodo: il governo ha deciso di trasferire improvvisamente in un decreto legge un intero disegno di legge presentato oltre un anno fa e al cui esame erano state dedicate un centinaio di sedute tra Camera e Senato, con l’audizione di numerosi professori ed esperti. Di colpo il governo ha individuato delle ragioni di “necessità e urgenza” per adottare queste misure attraverso un decreto, anche se non è dato sapere quali siano queste ragioni, visto che il provvedimento ne fa riferimento soltanto in termini generici. Come risultato, comunque, il Parlamento è stato “scippato” dal governo dell’esame del ddl. 

 

Ma la schizofrenia più evidente si rintraccia nei contenuti del decreto, che dovrà essere convertito in legge entro sessanta giorni. Il testo prevede l’introduzione di 14 nuovi reati, l’aumento di pena per 9 reati e l’introduzione di svariate aggravanti. Alla faccia delle promesse del ministro della Giustizia Carlo Nordio di combattere il populismo penale. 

 

Una delle norme più assurde è proprio quella che prevede l’introduzione di una nuova circostanza aggravante comune: quella dell’aver commesso il fatto nelle aree interne o nelle immediate adiacenze delle infrastrutture ferroviarie o dei convogli adibiti al trasporto passeggeri. Un modo, nell’ottica del governo, di disincentivare la commissione di reati come rapine, furti e violenze sessuali nelle stazioni ferroviarie, ma che appare veramente illogico sul piano penale (un’aggravante simile non è prevista, ad esempio, se gli stessi reati vengono commessi in luoghi altrettanto – se non maggiormente – rilevanti, come ospedali o scuole). 

 

Il provvedimento introduce poi il reato di “occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui”, prevedendo la pena della reclusione da due a sette anni. L’occupazione di un immobile era già sanzionata dal codice penale (invasione di terreni o edifici) con una pena fino a tre anni. La pena di sette anni sembra violare completamente il principio di proporzionalità. Basti considerare che un reato odioso come la violenza sessuale è punito con una pena minima di sei anni, oppure che il reato di tortura prevede una pena minima di quattro anni. 

 

Ancora più incredibile è la disposizione che prevede la repressione della resistenza passiva in carcere, equiparata alla rivolta commessa con atti di violenza. Una fattispecie penale ben lontana dal rispettare il requisito di tassatività, ma che farà sì che nel caso in cui almeno tre detenuti decidano di avviare una forma di protesta passiva, per esempio rifiutando il vitto, possano essere denunciati e puniti con la reclusione da uno a cinque anni. Ancora più grottesche le norme successive: se dal fatto (cioè dalla resistenza passiva) “deriva, quale conseguenza non voluta, una lesione personale grave o gravissima, la pena è della reclusione da due a sei anni”; se la conseguenza non voluta è la morte “la pena è della reclusione da sette a quindici anni”. Come da una resistenza passiva possano derivare lesioni personali o la morte di qualcuno è un mistero. 

 

L’articolo 13 del decreto sembra invece comportare una palese violazione del principio costituzionale di non colpevolezza, prevedendo che il questore può disporre il divieto di accesso “alle aree delle infrastrutture di trasporto e alle loro pertinenze” anche “nei confronti di coloro che risultino denunciati o condannati, anche con sentenza non definitiva, nel corso dei cinque anni precedenti” per determinati reati. 

 

Queste sono solo alcune delle norme più schizofreniche del decreto legge, bocciato nei giorni scorsi in audizione alla Camera dall’Unione camere penali e dall’Associazione nazionale magistrati. Quasi 260 costituzionalisti e giuristi hanno  sottoscritto un appello pubblico in cui evidenziano l’incostituzionalità del decreto. Il testo è stato contestato anche dall’Associazione italiana dei professori di diritto penale, che ha programmato una serie di iniziative pubbliche nelle università dal 26 al 30 maggio. 
 

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  • Ermes Antonucci
  • Classe 1991, abruzzese d’origine e romano d’adozione. E’ giornalista di cronaca giudiziaria e studioso della magistratura. Ha scritto "I dannati della gogna" (Liberilibri, 2021) e "La repubblica giudiziaria" (Marsilio, 2023). Su Twitter è @ErmesAntonucci. Per segnalazioni: [email protected]