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L'intervento
“In galera! In galera!”. Alle radici dell'irrazionale refrain manettaro
Il populismo penale è da tempo in voga e pretende di dare una risposta alle insicurezze delle nostre società. Ma tutti siamo chiamati in causa per una presa di posizione netta contro questa deriva irrazionale e controproducente
Pubblichiamo larghi stralci dell’intervento di Edmondo Bruti Liberati, magistrato, al Festival dell’Economia del Foglio dello scorso 29 marzo a Milano.
In galera! In galera! Chi è che lo dice? Non andiamo subito a conclusioni prima di farci aiutare da ciò che precede: “La vuoi la minestrina? Mangia la minestrina! Disco, Techno, Underground Beccati questa!”. E’ un brano del 1993 di Giorgio Bracardi, quello di “Alto Gradimento”. Dal nonsense demenziale, andiamo all’oggi: dal surreale al reale.
Sottosegretario Del Mastro, dal Foglio del 14 marzo 2025: “Nella mia persona convivono entrambe le pulsioni sia quella garantista che quella giustizialista, a corrente alternata, secondo le necessità”; 16 novembre 2024: “Una gioia non lasciare respirare chi sta nell’auto della penitenziaria”.
Ministro Nordio. Anch’egli va a corrente alternata come il suo maitre à penser Del Mastro: garantista a parole, la sua firma è in Gazzetta Ufficiale su tutte le leggi che introducono nuovi reati e/o innalzano le pene. “In galera! In galera” non serve a nulla, Nordio lo sa: “Non credo che chi deve commettere un delitto vada prima a compulsare il codice penale per veder se la pena è aumentata o diminuita”, ma, aggiunge, “per certi settori è importante che lo stato dia un segno di attenzione e questo segno di attenzione spesso può e deve avere un sigillo penale” ( intervista video al giornalista Goffredo Buccini rilasciata l’11 novembre 2023 a Stresa nell’ambito del Forum organizzato dalla Fondazione Iniziativa Europa). La gran parte di “certi settori” riguarda la criminalità di strada. Su evasione fiscale, criminalità economica e corruzione i potenziali trasgressori, senza bisogno di “compulsare” il codice penale colgono bene cosa significa il “mancato segnale” nei loro confronti.
Parafrasando Leporello potremmo dire “dei segnali il catalogo è questo”, tra leggi approvate e progetti: violenza contro il personale sanitario e scolastico, omicidio nautico, reato di “stesa”, reato universale di gestazione per altri, proteste in carcere anche se la resistenza è solo passiva, etc. etc. etc. L’elenco sarebbe troppo lungo. Accelerazione evidente, ma il populismo penale è da tempo in voga, spesso contrabbandato come attenzione alla vittima: vedi da ultimo il reato di femminicidio. L’art. 575 del Codice penale in sette parole “Chiunque cagiona la morte di un uomo…” dice tutto e già oggi per il femminicidio con le aggravanti è possibile applicare la pena dell’ergastolo. Non è con leggi-manifesto che si contrasta un drammatico fenomeno.
Il populismo penale pretende di dare una risposta alle insicurezze delle nostre società. Ricetta inaugurata negli Stati Uniti e accentuata da Bill Clinton con la feroce regola sulla recidiva: three strikes and you are out. Il risultato fallimentare colà, nessuna diminuzione dei reati e aumento clamoroso dei livelli di carcerazione, non ha impedito che dai primi anni del nuovo millennio la ricetta abbia trovato adepti in Europa. L’Italia si è progressivamente adeguata nonostante i dati incontrovertibili degli omicidi che, dopo gli anni di piombo, le guerre e le stragi di mafia, le sparatorie tra bande per il controllo del mercato degli stupefacenti, hanno raggiunto i livelli tra i più bassi d’Europa. A precedenti governi dobbiamo, tra l’altro, la truculenta disciplina dell’omicidio stradale. Il governo in carica si appresta a votare il truculentissimo decreto “Sicurezza”.
Lo stato delle carceri è intollerabile per il dramma dei suicidi. Situazioni difficili per la polizia penitenziaria. L’incattivimento nelle condizioni di detenzione, il “non lasciamoli respirare” è il più forte incentivo alla recidiva. Irrazionale, ingiusto e anche controproducente sulla effettiva sicurezza. Civiltà nelle galere non è buonismo, ma investimento sulla sicurezza, attraverso incentivo al reinserimento nella società. E per di più si vorrebbero restrizioni anche sulle misure alternative al carcere.
I “segnali” di Nordio hanno ricadute immediate. La magistratura tende a infliggere pene più pesanti e l’ergastolo viene applicato più spesso. Il concetto di reato colposo viene esteso quasi in distorta applicazione del principio del “senno di poi”. E poi il rischio di esondazione del penale sulla discrezionalità amministrativa, a livello nazionale e a livello locale. E ancora il rischio di torsione del penale come soluzione di tutti i mali.
Alcuni lo avevamo denunciato sin dai primi mesi dopo Mani pulite: “Il livello di consenso che l’azione della magistratura ha trovato nella pubblica opinione […], così come la sollecitazione verso una giustizia sommaria e sostanzialistica […] il rischio che si dimentichino le specificità del processo penale […] il rischio di eccesso di aspettativa sociale in una linea di delega totale alla magistratura”, cito da un mio scritto pubblicato su una rivista giuridica alla fine del 1992.
Torniamo all’oggi. Sulle pagine del Foglio il mio amico Giovanni Fiandaca da tempo e ancora da ultimo denuncia la “bulimia punitiva” che egli dice “aumenterà il consenso ma non serve a niente”. Fiandaca sollecita da parte dei professori di Diritto penale un’azione di “pedagogia collettiva”. Ma tutti come cittadini siamo chiamati in causa per una presa di posizione netta contro questa deriva disumana e per di più irrazionale e controproducente.