l'intervista

"Il dramma di Viareggio non si risolve con lo scalpo di Moretti". Parla Vito Gamberale

Ermes Antonucci

"Negli ultimi decenni abbiamo assistito alla colpevolizzazione a priori di chi sta al vertice delle aziende, come se i capi siano responsabili di ogni singolo evento che avviene nell'impresa", dice l'ex manager delle telecomunicazioni

"Quando il lavoro diventa causa di morte, come a Viareggio, è una tragedia indelebile e incancellabile per tutti, a partire dai famigliari delle vittime. Il dramma delle famiglie non si ripara però facendo lo scalpo all’amministratore delegato, in questo caso Moretti”. Così, intervistato dal Foglio, Vito Gamberale commenta la sentenza con cui la corte di Cassazione ha confermato la condanna a cinque anni per Mauro Moretti, ex ad di Rfi e Fs, per l’incidente ferroviario di Viareggio del 29 giugno 2009, in cui morirono 32 persone e ne rimasero ferite oltre 100. I giudici hanno stabilito che si dovrà celebrare un terzo processo di appello, ma solo per rideterminare (al ribasso) le pene degli imputati in virtù delle attenuanti.

 

Negli ultimi decenni abbiamo assistito alla colpevolizzazione a priori di chi sta al vertice delle aziende, come se chi fosse al vertice sia responsabile non solo della sana, corretta e doverosa organizzazione dell’azienda, ma anche del singolo evento che caratterizza la vita aziendale. Questo significherebbe sostituirsi al Padreterno, che è dovunque e comunque”, dice Gamberale, tra i manager più noti della storia italiana: amministratore delegato della Sip, poi direttore generale di Telecom Italia e quindi ad di Tim, poi ad di Autostrade. Oggi, a 79 anni, continua a lavorare, concentrando la sua attività nel settore degli investimenti infrastrutturali. 

 

“La vicenda di Moretti l’ho sempre vissuta con uno sdoppiamento di considerazione umana”, afferma Gamberale. “Il mio pensiero è sempre andato prima di tutto alle vittime dell’incidente di Viareggio e ai loro famigliari. Ma poi anche a Moretti. Chi ha avuto la possibilità di conoscerlo sa che è una persona prima di tutto rigorosa con se stessa. Adotta nella vita aziendale un rigore quasi ascetico, quasi monastico. Pensare che lui possa essere responsabile di un assile difettoso montato sotto un carro cisterna è come dire che il vertice apicale di un ente è responsabile di tutto ciò che accade nel perimetro dell’ente”. 

 

“Fare lo scalpo a Moretti mi sembra più una soddisfazione da dare al territorio colpito dal dramma che opera di giustizia”, prosegue Gamberale. “Mi sono fatto l’idea che processi del genere non dovrebbero essere svolti nel posto in cui è accaduto l’incidente, ma in un’altra sede. Questo perché durante il processo si assiste a un’esplosione di tensione, umanamente comprensibile, ma che di sicuro toglie serenità al doveroso chiarimento dei fatti”. “Quando un pm è investito di indagare su un evento così catastrofico nel posto in cui si è verificato, di sicuro può essere portato a farsi carico del dolore di un’intera comunità – ribadisce l’ingegnere – Mi augurerei un pm che lavori come un chirurgo, senza lasciarsi emozionare. Non per niente nessun chirurgo opera un proprio famigliare”. 

 

A prescindere dai condizionamenti ambientali, sembra ormai essersi diffusa nella magistratura inquirente una certa tendenza ad affermare sempre la responsabilità dei vertici societari, come risultato anche di una difficoltà a comprende i meccanismi di funzionamento di organizzazioni complesse. “L’ho sperimentato anche io sulla mia pelle”, ricorda Gamberale. “Ho un record di cinque a zero, nel senso che sono stato indagato cinque volte e sono sempre stato prosciolto. Una di queste inchieste fu violentissima, cambiò il decorso della mia vita e di quella dei miei famigliari”, aggiunge. 

 

“Un pm risponde solo alla propria coscienza e al proprio dovere. Di sicuro non risponde a nessuno. Tant’è che quella dei magistrati è l’unica categoria che non paga per i propri errori, e fa comunque carriera – afferma Gamberale – Tutti i pm che mi fecero arrestare a Napoli quel maledetto 27 ottobre del 1993 hanno fatto carriera. Se in un’azienda un manager avesse fatto un errore del genere sarebbe stato radiato e non sarebbe stato assunto da nessun altro. In Italia invece abbiamo affermato l’infallibilità della magistratura”. “Spero che la politica pensi a una seria riforma della magistratura, ma senza un intento punitivo, perché non bisogna mai fare di tutta l’erba un fascio”, conclude Gamberale.

  • Ermes Antonucci
  • Classe 1991, abruzzese d’origine e romano d’adozione. E’ giornalista di cronaca giudiziaria e studioso della magistratura. Ha scritto "I dannati della gogna" (Liberilibri, 2021) e "La repubblica giudiziaria" (Marsilio, 2023). Su Twitter è @ErmesAntonucci. Per segnalazioni: [email protected]