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La “loggia Ungheria” era una patacca

Redazione

Il gip di Perugia archivia l’inchiesta. Resta solo la condanna di Piercamillo Davigo

La “loggia Ungheria”, la fantomatica associazione segreta composta da magistrati, politici, generali delle forze armate, imprenditori e persino esponenti del Vaticano, finalizzata a condizionare istituzioni e organi costituzionali, non è mai esistita. E’ la conclusione a cui è giunto (prevedibilmente) il giudice delle indagini preliminari di Perugia, che ha archiviato l’indagine accogliendo integralmente la richiesta avanzata dalla procura del capoluogo umbro, guidata da Raffaele Cantone, alla quale erano stati trasmessi gli atti da Milano. Il procedimento era infatti nato in seguito alle dichiarazioni rilasciate dall’avvocato Piero Amara al pm di Milano Paolo Storari. Quest’ultimo, avvertendo una sorta di inerzia dei vertici della procura sull’indagine, consegnò poi nella primavera 2020 i verbali di Amara coperti da segreto all’allora consigliere del Csm Piercamillo Davigo, che con il suo fiuto investigativo credette subito all’esistenza della loggia massonica, poi negata dalle indagini condotte dalla procura perugina: “Sull'esistenza dell’associazione – ha sottolineato la procura di Perugia – non sono emersi elementi neanche indiretti che potessero attestarne l'esistenza al di fuori delle dichiarazioni di Amara e delle dichiarazioni di un altro indagato, socio di Amara, che però si è limitato a dichiarare il dato dell’esistenza dell'associazione senza fornire alcun elemento concreto di cui sua conoscenza diretta”.

Insomma, l’unico a credere veramente all’esistenza della loggia è stato Davigo, che, dopo aver ricevuto i verbali da Storari, ne rivelò il contenuto a svariati componenti del Csm, le sue due segretarie e il senatore Nicola Morra. Tutto ciò per giustificare la rottura dei rapporti con il suo collega Sebastiano Ardita, citato nelle carte in modo chiaramente calunnioso come appartenente alla loggia. Risultato: a essere condannato alla fine è stato proprio Davigo. Un anno e tre mesi di reclusione per rivelazione di segreto d’ufficio. La caduta del fustigatore. 

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