Corruzione, tra percezione e realtà

Luciano Capone

Davvero, trent'anni dopo Tangentopoli, siamo messi peggio? L'Idea che l'Italia sia molto corrotta si basa sull'"Indice di percezione della corruzione" di Transparency, che però è un indicatore che deforma la realtà più che descriverla

A trent’anni esatti da Mani Pulite, una delle affermazioni più frequenti è che la corruzione non è diminuita ma addirittura aumentata. Ogni tanto si sparano delle cifre a casaccio, da 60 a 230 miliardi l’anno, tutte stime infondate. Ma ognuno è libero di dare i numeri perché trattandosi di un’attività illegale non è facilmente misurabile. E così c’è la gara a chi la spara più grossa per mostrarsi inflessibili alfieri dell’anti-corruzione. Ma come si fa a sapere allora quanta ce n’è in Italia?

 

Un indice è diventato uno standard internazionale, quello della ong Transparency International che misura la “percezione della corruzione”. E l’Italia ha sempre fatto male. Anche se sta recuperando, negli ultimi 10 anni ha registrato un miglioramento di 14 punti e risalito 30 posizioni in classifica, l’Italia resta sempre tra i peggiori in Europa (fino a poco fa era considerata peggio di molti paesi in via di sviluppo). Insomma, dopo trent’anni siamo ancora una grande Tangentopoli.

 

Ma la realtà è molto diversa e l’equivoco è probabilmente tutto nell’aggettivo “percepita”. L’indice della ong, infatti, misura la percezione della corruzione sulla base di domande a uomini d’affari, esperti e analisti internazionali. Chiunque si occupi di fenomeni sociali – si pensi solo all’immigrazione – sa quanto le percezioni dei fenomeni possano essere distanti dalla realtà. E tanto più in un paese come l’Italia, abituato a vedere luciano Basti pensare al processo Eni-Nigeria per corruzione internazionale: secondo la procura di Milano si trattava della più grande tangente della storia (oltre 1 miliardo di dollari) pagata da un’azienda italiana a politici nigeriani. Alla fine gli imputati sono stati tutti assolti (ora sono indagati i pm), ma è facile presumere che l’inchiesta abbia alimentato all’estero lo stereotipo di un paese corrotto. Quanto il circo mediatico-giudiziaro possa distorcere i giudizi soggettivi è l’oggetto di uno studio di qualche anno fa della Banca d’Italia dal titolo “L’impatto dei media sulla percezione della corruzione” che mostra “il ruolo determinante dei media italiani nell’influenzare le scelte e gli atteggiamenti individuali”: all’aumentare di notizie su presunti scandali aumenta l’idea di una corruzione diffusa. E, secondo i ricercatori, questo non è tanto un meccanismo di “apprendimento” ma di tipo “distorsivo”, che non fa conoscere il fenomeno ma lo deforma.

 

Analogamente, l’indice di Transparency nel corso del tempo anziché misurare la percezione ha finito per determinarla, spesso alimentando cliché e pregiudizi. Quanto la discrepanza tra percezione e realtà possa essere profonda lo dimostra un altro indice, sempre di Transparency International, chiamato “Barometro globale della corruzione”, un sondaggio nel quale si chiede ai cittadini se ritengono la corruzione è un problema grave (lo è per l’85% degli italiani) e se a loro è capitato di fare un pagamento illegale per ottenere un servizio: in questo caso, però, i sì sono appena il 3%, dato pari alla Germania e inferiore alla media Ue. Dati analoghi sono confermati dall’Eurobarometro sulla corruzione della Commissione europea, in cui alla domanda rivolta ai cittadini su se conoscono personalmente qualcuno che abbia pagato o preso una tangente, l’Italia è tra i paesi più virtuosi (7%, meglio di Germania, Danimarca e Finalndia, e sotto la media Ue: 11%).

 

Coerente con questi risultati è il report dell’Istat del 2017 su “La corruzione in Italia”. Gli italiani che dicono di essere stati coinvolti in tutta la vita in un caso di corruzione sono il 7,9%, che scende al 2,7% se si considerano gli ultimi tre anni. Ma il dato interessante è su i settori coinvolti. La corruzione, secondo l’Istat, ha riguardato in primo luogo il lavoro (3,2%) ad esempio nel momento della ricerca di un’occupazione. A seguire, come settore a maggiore intensità di corruzione, c’è la giustizia: “Si stima – dice l’Istat – che il 2,9% delle famiglie coinvolte in cause giudiziarie abbia avuto nel corso della vita una richiesta di denaro, regali o favori da parte di un giudice, un pm, un cancelliere, un avvocato, un testimone”. Insomma, da un lato forse il problema è meno grave di quanto si pensi, dall’altro è più grave proprio dove meno si pensi.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali