“La svolta del Csm” secondo Ermini

Luciano Capone

Risposte su carceri, prescrizione, potere delle correnti, caso Palamara, meccanismi di nomina e riforma dell'organo di autogoverno, “no comment” su Renzi. Intervista al vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura

"Non ho nulla da dire”, risponde il vicepresidente del Csm David Ermini alla domanda sulle dichiarazioni di Matteo Renzi che nel suo libro lo  definisce inadeguato, pentendosi di aver favorito la sua nomina per un “ruolo troppo grande per lui”. Ermini non intende alimentare le polemiche, ma risponde a tutto il resto: la condizione delle carceri, la riforma della giustizia, il caso Palamara, la crisi del Consiglio, il crollo della fiducia nelle toghe e la riforma del Csm.

 

Partiamo dalla cronaca, dalla storica visita del presidente del Consiglio Mario Draghi e del ministro della Giustizia Marta Cartabia al carcere di Santa Maria Capua Vetere dopo le violenze sui detenuti emerse dalle inchieste giornalistiche e giudiziarie. Siamo nella stessa legislatura in cui  abbiamo visto altre sfilate, come quella di ministri della Giustizia e dell’Interno, che hanno usato i detenuti come trofei da esibire. Cosa significa questa visita? “Ha un significato molto importante – dice Ermini – perché la civiltà di un paese si misura dalla condizione delle carceri. Le parole pronunciate dal ministro Cartabia dopo i fatti di Santa Maria Capua Vetere e il fatto che sia lei che il presidente Draghi siano andati lì danno un segnale fortissimo sul rispetto e sulla tutela dei diritti, che in un paese civile non devono mai mancare. Evidentemente è stato un errore non varare la riforma dell’ordinamento penitenziario, e mi riferisco al progetto presentato dal ministro della Giustizia Andrea Orlando all’esito degli Stati generali dell’esecuzione penale, poteva essere un passaggio essenziale per condurre il paese a più elevati livelli di civiltà”.

  

Autorevoli magistrati esponenti delle correnti più giustizialiste, anche membri del Csm, hanno però a lungo negato l’esistenza del sovraffollamento carcerario. Che è un altro problema rispetto alle violenze sui detenuti, ma le proteste dell’anno scorso nelle carceri sono figlie di questa condizione critica che è stata aggravata dal Covid. C’è ora maggior consapevolezza del problema? “Ritengo di sì”, dice Ermini. “Il sovraffollamento carcerario ci è costato diverse condanne in sede europea. Ma dopo aver visitato tante carceri in tutto il paese, dico che bisogna prendere consapevolezza che non è solo un problema giuridico ma di civiltà. Ed è un problema che va affrontato sicuramente attraverso nuovi investimenti, ma anche con le riforme. E’ ovvio che non possiamo avere un sistema di esecuzione della pena carcero-centrico, anche perché le statistiche ci dicono che chi sconta la pena con modalità alternative al carcere, per reati più lievi che lo consentono, poi difficilmente diventa recidivo, cioè più raramente reitera condotte di reato. Per cui cambiare approccio è un bene non soltanto per i soggetti coinvolti, ma per tutta la collettività”.

  

È stata però diffusa a lungo l’idea, da parte dei media ma pure di diversi magistrati anche quando erano membri del Csm, che il sovraffollamento nelle carceri è un falso problema: esiste solo perché la legge italiana garantisce troppo spazio ai detenuti. Insomma, usiamo parametri troppo laschi, e quindi basterebbe cambiarli riducendo il numero di metri quadri pro capite che definiscono uno spazio dignitoso, e il problema sarebbe risolto. “Ma non scherziamo. Le carceri le ho visitate e ci sono istituti che non sono degni di un paese civile come l’Italia. Ripeto, servono investimenti e misure alternative alla detenzione”.

  

Le pene alternative sono uno degli elementi della riforma Cartabia che punta molto sul concetto di giustizia riparativa. Più garantismo e meno punitivismo, la riforma si basa su un approccio e su princìpi diametralmente opposti a quelli più in voga negli ultimi anni. Cosa ne pensa? “Ovviamente, per il ruolo istituzionale che occupo, non posso entrare nel merito della riforma. Ma disporre di una pluralità di misure alternative alla detenzione e di strumenti stragiudiziali di risoluzione delle controversie, sia in sede penale che civile, è di fondamentale importanza per ottenere un cambio di paradigma culturale. Occorre aumentare le risorse, compreso il numero di magistrati, e su questo non c’è dubbio, ma dobbiamo anche individuare misure in grado di deflazionare il numero dei processi e i casi di ricorso allo strumento carcerario, che deve essere sempre inteso come extrema ratio. Le misure approvate nella vecchia legislatura, come la tenuità del fatto, la messa in prova e la depenalizzazione che forse andava fatta con maggior coraggio, si muovono in questo solco. Se poi aumentiamo anche la possibilità di ricorrere ai riti alternativi, cosa che andrebbe accentuata, credo che si riuscirà a diminuire il numero dei processi che è ciò che soffoca il sistema".

  

La riforma della prescrizione è un elemento che garantisce una giustizia giusta, come dicono i favorevoli alla riforma Cartabia, o è un colpo di spugna, come dice chi preferisce la riforma Bonafede? “In generale la prescrizione è una patologia, in un sistema non contrassegnato da profili di inefficienza i processi verrebbero svolti. Questa riforma, senza entrare nelle tecnicalità perché non spetta a me, potrà funzionare se sarà accompagnata da investimenti in termini di risorse. Diversamente, numerose corti d’appello potrebbero essere in difficoltà. Il Consiglio non si sottrarrà al compito di varare i bandi necessari per coprire nel più breve tempo possibile i posti vacanti in quelle Corti, ma non è detto che ciò sarà sufficiente ad assicurare il rispetto dei tempi previsti della riforma. Probabilmente serviranno specifiche misure che non sono nella disponibilità del Csm”.

  

Riforma del Csm. La sua consiliatura è la più sventurata, nel senso che sono emerse dinamiche disdicevoli ed evidentemente preesistenti. E’ sufficiente una riforma del sistema elettorale per scardinare il sistema correntizio? “Ci è scoppiata una bomba in mano la cui miccia era stata accesa tanto tempo fa. Siamo consapevoli che la fiducia dei cittadini nella magistratura è scesa notevolmente e che serva una riforma elettorale, che verrà decisa in Parlamento, ma credo che più della modalità di voto saranno importanti le persone. I membri del futuro Csm dovranno essere portatori di una mentalità diversa, dovranno rompere il cordone ombelicale con le correnti”. Tutti attaccano il sistema delle correnti. “Ma non ce l’ho con le correnti in sé, che hanno anche nobili obiettivi e svolgono un ruolo culturale, ma con il carrierismo e cioè con l’utilizzo a fini personali dell’appartenenza alle correnti. Vanno quindi varate le riforme sulla modalità di nomina degli uffici direttivi, sulla valutazione di professionalità, ma ci deve anche essere una rivoluzione culturale. Alla riforma vanno affiancati un cambio di mentalità e volti nuovi e autorevoli che dovranno emergere dalle prossime elezioni. Solo se riusciremo ad avviare questa transizione questo Consiglio, caratterizzato dallo scandalo, può diventare anche quello della svolta”.

  

A proposito di scandalo, Luca Palamara, dalle cui chat è esploso il bubbone del Csm, è stato espulso rapidamente dalla magistratura. C’è quasi la sensazione che lui, che è stato un elemento cruciale del sistema correntizio che ha governato la magistratura, sia stato trasformato in una specie di capro espiatorio. L’unico a pagare per tutti. “Non è esattamente così. Abbiamo già definito diversi provvedimenti disciplinari e ci sono procedimenti di trasferimento per incompatibilità ambientale e tanti processi ancora in corso”.

  

C’è un problema di corruzione nella magistratura? I processi, in parte già definiti, sono numerosi e ci sono casi di cui sul Foglio ci siamo occupati a lungo, come quello della procura di Trani, in cui la corruzione era diffusa e duratura nel tempo. E’ un problema più grande di quanto si immagina? “In tutte le professioni e in tutti gli ambiti della società esistono persone che commettono reati. Noi abbiamo condotto diversi procedimenti cautelari e di sospensione, quello di Trani è il più eclatante, ma ce ne sono stati diversi. E non solo per corruzione. Bisogna però tenere conto che sono i colleghi magistrati che indagano e perseguono i magistrati che sbagliano. Sotto questo aspetto mi sento di dire che la magistratura ha dimostrato di avere gli anticorpi, di poter agire e di potersi difendere”.

  

Tra le prossime nomine c’è quella del capo della procura di Milano. Lì, al di là delle indagini, sono emerse spaccature profonde nell’ufficio. Che tipo di scelta farà il Csm? Una nomina in continuità o un papa straniero? “E’ naturalmente una scelta che farà il Consiglio. Ritengo che a fianco a parametri precisi e predeterminati da valutare vada lasciato uno spazio alla discrezionalità al Consiglio, che è un bene prezioso e va preservato e che il Csm deve meritare”.

  

Oltre a non aver sempre premiato il merito ma la fedeltà alle correnti, molte decisioni del Csm sono state bocciate dalla giustizia amministrativa. Da ultima la tanto discussa e delicata nomina del capo della procura di Roma. “Gli interventi della giustizia amministrativa non sempre sono stati unidirezionali e coerenti, per cui la proposta di un’Alta Corte delle magistrature che possa giudicare il disciplinare di tutte le giurisdizioni e valutare anche i provvedimenti del Csm sarebbe un passo importante. E’ una proposta lanciata da Luciano Violante e da Massimo Luciani che mi sento di condividere”.

  

Ritornando al tema degli automatismi, lei dice che la discrezionalità va meritata. Ma l’obiezione è proprio che il Csm la discrezionalità non se la merita più. E quindi il sorteggio e meccanismi automatici di selezione dei magistrati sarebbero il male minore. “Non si possono risolvere i problemi in questo modo, non si risolve nulla illudendosi di eliminare la complessità dei fenomeni. A parte che il sorteggio non mi pare proprio in linea con la Costituzione ma, al di là di questo problema, chi è sorteggiato è spogliato di ogni responsabilità e rappresentanza”. L’obiezione è che forse è meglio così, se invece devono rispondere al capocorrente che li ha nominati. “E’ qui che serve uno scatto, una rivoluzione culturale. C’è bisogno di una nuova concezione dell’autogoverno, altrimenti dovremo arrenderci al fatto che la giustizia venga governata secondo logiche burocratiche per interpretare le quali basterebbe un algoritmo”.
 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali