Stop alle udienze civili in videoconferenza: un'occasione persa

Carmelo Barbieri

La tecnologia avrebbe potuto consentire la partecipazione di soggetti con difficoltà a recarsi in tribunale per ragioni di salute o perché residenti in luoghi lontani e ridurre i costi di lite a beneficio delle parti meno abbienti

La ragion d’essere della politica è la ricerca del benessere collettivo. È l’arte dell’immaginazione e della responsabilità, l’arte di tracciare un’idea di futuro e di assumere il peso delle scelte che occorrono per inverarla. La cosa non funziona più se il decisore delega le scelte ai regolati, in preda all’ansia di perdere la loro benevolenza. È quanto è successo in Senato, dove, perseguendo il condivisibile obiettivo di anticipare il ritorno della giustizia alla normalità, si è persa un’importante occasione: stabilizzare la possibilità di celebrare le udienze civili in videoconferenza anche dopo la fine della pandemia.

  

Gli emendamenti approvati, accogliendo le pressanti richieste dell’avvocatura, che ha giustamente criticato la scelta di alcuni Uffici giudiziari di gestire l’emergenza sanitaria disponendo il rinvio in blocco delle udienze, hanno definitivamente relegato al rango della transitorietà le udienze civili a distanza. Dopo il 30 giugno 2020 non potranno più essere fissate.

   

Si è sprecata un’essenziale opportunità di sviluppo e di maggiore efficienza della giustizia civile, sacrificata sull’altare ideologico dell’irrinunciabilità, sempre e comunque, dell’udienza intesa quale luogo fisico di incontro: unica maniera, si dice, per garantire un dialogo originale e non ripetitivo tra il giudice e le parti. Non è così. Il processo civile, è vero, conosce momenti in cui contano i gesti, gli sguardi, le voci e le loro modulazioni. Ci sono frangenti in cui la retorica difensiva può fare la differenza. Sono pochi però. Sostanzialmente sono due: le udienze in cui il giudice tenta di far conciliare le parti e quelle, piuttosto rare, in cui la causa è discussa oralmente anziché per iscritto.

   

Non ci sono ragioni che giustifichino il rigido e assoluto rigetto delle udienze civili in videoconferenza.

  

La regola fondamentale per l’efficace erogazione dei servizi complessi, pubblici o privati, è sempre la stessa: flessibilità. Una soluzione equilibrata sarebbe stata possibile. Si sarebbe potuta riconoscere al giudice la facoltà di fissare udienze da remoto, fatta eccezione per quelle destinate alla conciliazione della lite o alla discussione orale oppure, più semplicemente, si sarebbe potuto investire nella responsabilizzazione delle parti, richiedendo il loro preventivo consenso ai fini dell’adozione di queste modalità. L’assenso sarebbe stato concesso molto spesso: la produttività dei professionisti è la prima beneficiaria di questo sistema. Ha prevalso invece la resistenza all’innovazione in nome della conservazione dell’esistente.

  

Si è deciso di trascurare le numerose applicazioni pratiche che lo strumento tecnologico avrebbe potuto avere: consentire la partecipazione di soggetti con difficoltà a recarsi in tribunale per ragioni di salute o perché residenti in luoghi lontani, ridurre i costi di lite a primario beneficio delle parti meno abbienti.

  

Si è scelto, ancora una volta, di non guardare nel cannocchiale per timore che le nuove esperienze confondano le idee.


 

Carmelo Barbieri, giudice del tribunale di Milano

Di più su questi argomenti: