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Valgono un punto di pil all'anno i ritardi della giustizia civile. E' ora di una rivoluzione

Carmelo Barbieri*

E’ il momento di credere più seriamente nei sistemi di risoluzione delle controversie alternativi alla giurisdizione

I ritardi della giustizia civile valgono 1 punto di pil all’anno, lo diceva Mario Draghi nel 2011 ed è vero ancora oggi. Allo scoccare delle misure di lockdown di marzo 2020 il numero dei procedimenti civili complessivamente pendenti dinanzi agli uffici giudiziari italiani era pari a circa 3.300.000, il 20 per cento dei quali aveva superato i termini di ragionevole durata previsti dalla legge. Dal quadro di valutazione della giustizia pubblicato dalla Commissione europea nell’aprile 2019 risulta che, su 25 stati membri scrutinati, l’Italia è terzultima per la durata dei processi civili e commerciali in primo grado, con una durata media passata dai 517 giorni del 2016 ai 548 giorni del 2017; nel nostro paese per una sentenza di secondo grado occorrono 843 giorni, e per il terzo grado 1.299 giorni, i tempi più lunghi fra gli stati esaminati.

 

Ci collochiamo all’ultimo posto per l’arretrato, ovvero per il numero delle cause civili e commerciali pendenti rimaste senza definizione a fine anno. Il “congelamento” del servizio giustizia disposto dal governo con l’obiettivo di contenere la diffusione del virus Covid-19 era inevitabile: l’alluvionale propagarsi dell’epidemia non ha concesso il tempo per elaborare e mettere in pratica un piano di gestione dell’emergenza che assicurasse l’erogazione del servizio ripensandone le modalità. La storia occidentale recente ci consegna programmi di gestione dell’emergenza nel sistema giudiziario a seguito di disastri di origine umana o naturale (come gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 o l’uragano Katrina nel 2005) ma non a causa di fenomeni pandemici. Non erano dunque disponibili precedenti dai quali imparare. Ciò detto, negli interventi messi in campo dall’esecutivo non ci sono misure che provino ad assorbire o a mitigare gli effetti di prolungamento della durata dei procedimenti civili e commerciali e di aggravamento del peso dell’arretrato, che inesorabilmente conseguiranno al lockdown. E’ tempo che le misure d’emergenza facciano posto ai progetti.

 

E’ il momento di credere più seriamente nei sistemi di risoluzione delle controversie alternativi alla giurisdizione (c.d. ADR): dal quadro di valutazione della giustizia pubblicato dalla Commissione europea nel 2019 risulta che l’Italia è al penultimo posto per la promozione e gli incentivi all’impiego di tali strumenti. Per le nuove controversie, quelle che sorgeranno dopo la pandemia, potrebbero affiancarsi ai compiti di mediazione e rinegoziazione svolti dagli organismi esistenti anche funzioni arbitrali, cioè di vera e propria decisione della lite. Per le controversie già pendenti bisognerebbe invece provare a investire con decisione su un serio quadro di incentivi per le parti e i loro difensori alla conclusione di accordi di conciliazione, anche a seguito di specifica proposta del giudice o di ordine alle parti in lite di andare in mediazione.

  

La mediazione dei conflitti tra privati costituisce un tassello importante della politica di ricomposizione dei rapporti sociali che dovrà essere promossa. Andrebbero introdotte, infine, in via temporanea ed eventualmente per le sole controversie commerciali, regole che consentano la semplificazione della motivazione delle sentenze civili, in modo da permettere agli uffici di abbattere più velocemente l’arretrato e, soprattutto, alle parti di contrarre i tempi per il riconoscimento dei propri diritti. Si potrebbe rievocare, con toni meno ideologici del passato, la “motivazione a richiesta” delle decisioni di primo grado, un istituto che consente al giudice di non motivare i provvedimenti rimettendosi alle determinazioni delle parti, sì che la motivazione della decisione diverrebbe necessaria soltanto a fronte di un’espressa richiesta di una delle parti ovvero quando il giudice ritenga di aver affrontato una questione nuova o particolarmente importante. Ai fini di una corretta distribuzione degli incentivi, andrebbe previsto un incremento dei costi processuali a carico della parte che abbia fatto richiesta della motivazione e non abbia poi proposto impugnazione ovvero se la sia vista rigettare integralmente. Bisogna immaginare e mettere in campo al più presto dei piani d’azione: uno studio recente del Joint Research Center dell’Unione europea dimostra che una contrazione anche soltanto dell’1 per cento dei tempi della giustizia civile è in grado di influire positivamente sulla crescita delle imprese.

 

* Carmelo Barbieri è giudice del tribunale di Milano

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