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Dibattimento in riva al mare sulle follie mediatico-giudiziarie

Piero Tony

Dal caso Bossetti alle storture di Mafia Capitale. I danni dell’obbligatorietà dell’azione penale e delle correnti (con un accorato appello finale al ministro Orlando)

Amici da sempre e tutti più o meno giuristi, il più barbogio del gruppo è il dottor Saiello, vecchio procuratore della Repubblica ora in pensione; il bamboccione di appena 65 anni è l’avvocato Nobilione emerito penalista. Temevamo che venti giorni di questa vita scioperata fossero troppi e sarebbero divenuti insopportabili nonostante la gradevolezza di un fresco zefiretto costante quasi di primavera, dell’accarezzante sciabordio sulla battigia e della unica fila di ombrelloni su di una spiaggia dorata, quasi deserta e a due passi da Venezia per il girovagare serale. Invece un vero paradiso terrestre e niente noia, soprattutto grazie al fatto che tutti i giorni dopo la lettura dei giornali e tra un caffè e l’altro avvampano tra noi sei discussioni e sfruculiamenti che qualche volta ci fanno addirittura ritardare il pranzo. Il procuratore Saiello beato lui – si fa per dire – soffre d’insonnia, credo che passi tutte le notti in attesa dell’alba. Al nostro arrivo in spiaggia ha sempre già in testa una completissima rassegna stampa che gli consente di chiederci, vispo e sornione come un grillo parlante: “Birbantelli, l’avete letta l’ultima?”, sempre la solita frase, senza eccezione. E tra uno sfruculiamento e l’altro siamo ormai agli sgoccioli di queste belle vacanze.

 

Alfredo Romeo “lapidato dal solito processo mediatico impastato di indagini preliminari di polizia giudiziaria solo verificazioniste”

“Birbantelli, l’avete letta l’ultima a proposito di Consip e Alfredo Romeo? L’hanno liberato ieri dopo mesi di titoloni e di custodia cautelare; nonostante fosse importante imprenditore, difeso da uno stuolo di fior di avvocati, nonostante tutto ciò è rimasto in balìa del meccanismo infernale per un’eternità, lapidato dal solito processo mediatico impastato di indagini preliminari di polizia giudiziaria solo verificazioniste, di sfrenate intercettazioni, di motivazioni emotive, di pressapochismo investigativo e, infine, di totale assenza sia di terzietà giurisdizionale che di imparzialità amministrativa. Insomma il solito sfacelo kafkiano, lo hanno liberato perché non potevano farne a meno dopo la severa e bella sentenza dello scorso 13 giugno che aveva annullato con rinvio l’ordinanza del tribunale del riesame di Roma sulla sua custodia cautelare, andatevela a leggere”.

 

“Birbantelli, l’avete letta l’ultima?”, e via con le nuove indagini sul “mostro di Firenze”, non lo si è mai visto così incavolato e urlante, due gabbiani hanno preso il volo spaventati. “Ma lo percepite il livello di bizzarria? quando qualche anno fa assolsero l’ultimo degli imputati del grande calderone di San Casciano, il farmacista Calamandrei, pensai che l’immensa commedia giudiziaria fosse finalmente finita, anche perché la procura si guardò bene dall’appellare la sentenza. Invece no, a 50 anni dal primo omicidio oggi estraggono dal cappello due quasi 90enni con nome e cognome e li danno in uso al tritacarne mediatico – sarei curioso di conoscere chi ha passato le veline - quando sono appena in fase di indagini preliminari, preliminari a cosa mi vien da chiedermi?! Fate i calcoli, età media della popolazione mondiale da una parte, durata media dei procedimenti italiani dall’altra e ditemi se come e quando quei due indagati potrebbero dimostrare la loro eventuale innocenza e levarsi l’onta di dosso, anche o soprattutto a beneficio dei famigliari. Per chi investiga ultraottantenni rischio di figuracce ridotto all’osso, è proprio una pacchia. Eppure mi insegnavano che, per mera etica processuale, quando si inizia un’indagine più sono anziani gli indagati più devono essere schiaccianti le prove Come non bastasse uno dei due dovrebbe apparire, ad occhio appena esperto, come spot pubblicitario dei tanti istrioni giudiziari, quelli che pur di apparire sui media assecondano senza scrupoli il minimo refolo suggestivo degli inquirenti, meglio di uno spinnaker. Non occorre essere aquile per sapere come verosimilmente andrà a finire: pubblicità mediatica per gli inquirenti, reato estinto ex artt. 150 o 171 cp ( interessati, fate le corna ), e chi si è visto si è visto! E per far questo pare sia stato necessario affastellare – in buona fede s’intende, ma ciò malgrado il fatto deve ingenerare preoccupazioni per le esperienze di un passato non remotissimo – mostri, P2, servizi segreti deviati e non, addirittura romanzieri, facoltà di criminologia, eversione di destra e criminalità organizzata e non. E, almeno per quanto dicono i media ma non ci voglio credere, la base indiziaria sarebbe costituita per uno dall’essere stato di casa nella stessa strada di persona già indagata e poi prosciolta per i delitti del mostro e di essere nato nello stesso paese del Pacciani, per l’altro di essere stato indicato dal primo quale compagno di passeggiata, e non di merende sia chiaro, nel curiosare in una località teatro di uno dei delitti, per l’appunto vicina alle loro abitazioni. Incredibile, come volpacchiotti sarebbero riusciti per 50 anni a sottrarsi alle indagini per poi darsi la zappa sui piedi aprendo bocca e lasciando andare come allocchi” . Approvando lo sfogo con ciondolii del capo più o meno scricchiolanti data l’età ci siamo chiesti, tutti, cosa resterebbe di questo bailamme se le prove venissero acquisite nella dialettica dibattimentale di un processo realmente accusatorio ed a carriere separate.

 

“Birbantelli, l’avete letta l’ultima?”, e via con le nuove indagini sul “Mostro di Firenze”, non lo si è mai visto così incavolato

“Birbantelli, l’avete letta l’ultima, a proposito della via di Damasco?”, e via con la sentenza di Mafia Capitale

“Birbantelli, l’avete letta l’ultima, a proposito della via di Damasco?”, e via con la sentenza di Mafia Capitale che secondo il tribunale di Roma non è più mafia ma solo due diverse e distinte associazioni criminali. In effetti ci siamo trovati in perfetto accordo, nessuna pretesa di coppola lupara pizzini e sud ma tutti conveniamo sul fatto che lo specifico del 416 bis cp – norma tanto eccezionale da essere inesistente in qualsiasi altra parte del mondo - venne ritagliato nel 1982 su di un fenomeno criminale altrettanto eccezionale, intriso del sangue di Piersanti Mattarella, Pio La Torre, Carlo Alberto dalla Chiesa e di circa altri mille assassinati tra il 1981 e il 1983 ad opera dei Corleonesi e di alcune centinaia negli anni successivi. Una tragedia grondante sangue. Art. 416 bis cp applicato con successo nel Maxiprocesso del 1985 con 438 capi di imputazione contro 475 imputati virtualmente tutti con coppola; e consolidato nel 1992 dopo un’ altrettanto lunga stagione di lupare bianche e non, efferati episodi di torture e strangolamenti e le stragi di Capaci e via D’Amelio. Ferma restando l’ovvietà – ossia che il territorio del sud non è sicuramente elemento costitutivo della mafia, per cui i connotati di codesto feroce metodo mafioso che soffoca e soggioga fino a strangolare il vivere civile ben possono essere top hat, Luger e mail e ben risulta esportabile ed esportato – non si può ignorare, o fingere di ignorare, che la mafia non è fenomeno naturale ma applicazione di uno degli innumerevoli modi di delinquere, sicuramente il metodo di delinquere tra i più realmente o eventualmente cruenti. Tra i più vigliacchi organizzati perniciosi e malefici ma che esiste solo se è applicato o pronto ed organizzato per essere applicato; che i modi di delinquere sono innumerevoli; che la ‘gente umana’– nulla da spartire con la dantesca ‘umana gente’ – come diceva Gigetto di Porta Romana è quella che al padreterno fece comandare di non rubare pena le fiamme eterne…”, “beh, ma quello esagerava, non si poteva neanche desiderare la roba di altri…” lo ha interrotto Nobilione con aria canzonatoria, ma subito ha ripreso il procuratore dopo averlo fulminato con un’occhiata cattivissima: “Non si può fingere di ignorare, dicevo prima che l’imbecille mi interrompesse, che la stragrande maggioranza della gente umana di Gigetto ha nel DNA la tendenza a furto e approfittamento, che già Pericle e Sallustio soffrivano per la corruzione dilagante – ricorderete avaritia pecuniae studium habet… neque copia neque inopia minuitur…–, che homo homini lupus non è un azzardo e che Manlio Cancogni non ha scritto ieri capitale corrotta nazione infetta; che insomma la tentazione di delinquere fregando gli altri è molto diffusa nel corredo cromosomico umano e che uno dei tanti modi di delinquere, probabilmente uno dei più offensivi e perciò uno di quelli da sanzionare più severamente, è il modo mafioso configurato dal legislatore del 1982 nell’art.416 bis cp: intimidazione diffusa (ricordate il clima di terrore degli anni 80-90?) che, provenendo non da una sola persona ma da un gruppo di delinquenti vigliacchi – almeno tre – uniti dal vincolo associativo (ricordate i grifi della fauna ghignante nelle gabbie del Maxiprocesso?) è tanto soverchiante da provocare nella gente assoggettamento ed omertà (ricordate i cocciuti mutismi di testimoni ed indagati – e la conseguente grandine di assoluzioni – prima che Leonardo Vitale e Tommaso Buscetta incominciassero a collaborare?); metodo che può essere applicato dovunque ed in ogni tempo. Lunga e temo noiosa premessa, figli miei, per arrivare al dunque: che quella mafia di quegli anni insanguinati oggi nel nostro paese tende a sparire o è sparita, a parte qualche sacca tipo Gargano o Sila, per ragioni precise: crescita culturale, ferma opposizione della società civile, normativa antimafia attenta e rigorosa, magistratura altamente specializzata, mutamenti sociali reali seppure qualche volta quasi impercettibili. Ragioni precise che l’hanno resa non più pagante, almeno nelle modalità esecutive declinate originariamente dall’art. 416 bis cp. Stando così le cose, è ragionevole scomodare Ovidio e le sue metamorfosi? per dire che la mafia è cambiata ma è sempre mafia, ora sarebbe solo salotti profumati e doppio petto e colletti più o meno bianchi e reati finanziari o contro la pubbliche amministrazioni e chi più ne ha più ne metta, e pretendere di applicare una norma concepita e nata in una realtà di eccezionale e catastrofica emergenza quando codesta realtà di eccezionale e catastrofica emergenza è ormai fortunatamente superata o in via di superamento?”. “Mi ricorda la sindrome dell’arto fantasma” ha celiato l’avvocato Nobilione. “No no, a me ricorda quel tenente giapponese, Hiroo Onoda o qualcosa del genere se non sbaglio, che nel 1974 venne trovato su di un’isola filippina e non si voleva arrendere perché ignaro che la seconda guerra mondiale fosse finita” ha messo come carico di briscola Padovan, emerito professore di filosofia del diritto. “Ma non dovete preoccuparvi, pischellucci miei” ha ripreso latrando il procuratore Saiello, tanto che i soliti due gabbiani hanno ripreso il volo spaventatissimi”, la ragionevolezza si sta facendo strada e siamo a buon punto, da qualche giorno persino due teorici delle zone grigie e delle nuove mafie e delle mafie silenti e dei link hanno preso netta posizione ed in sostanza dimostrano finalmente di pensarla come noi; l’autorevole procuratore Caselli scrivendo sul Fatto del 27 luglio che, viste le oscillazioni della giurisprudenza, il legislatore dovrebbe rivedere ed aggiornare la normativa sulla mafia riconfigurandola per ricomprendervi anche le moderne criminalità organizzate non più apertamente violente ma silenti, il che vuol dire ammettere che attualmente codeste moderne criminalità non vi sono comprese; l’avvocato Ingroia proponendo al legislatore, nel commentare la sentenza per Mafia Capitale sul Fatto del 26 luglio, di introdurre una nuova figura di reato associativo tipo un articolo 416 quater che colmi la lacuna legislativa (allora la lacuna c’è, ndr) nello spazio scoperto tra l’associazione per delinquere semplice e l’associazione di tipo mafioso: l’associazione di tipo corruttivo… Insomma perfino lui ammette lo spazio scoperto, avete capito? Qualcosa dunque si muove e voi dovete stare sereni!”. Certo, ma tutti conveniamo ancora una volta che non saremmo arrivati a tale livello di disorientamento se le carriere fossero state separate nel 1988, così assicurando la centralità del dibattimento e non invece quella delle scelte investigative e delle conseguenti pedisseque indagini.

  

Stando così le cose, è ragionevole scomodare Ovidio e le sue “Metamorfosi” per dire che la mafia è cambiata ma è sempre mafia?

Se il Csm venisse costituito con sorteggio e non con manovre preelettorali. Se venissero promossi o nominati agli uffici direttivi i magistrati più bravi e non i più ammanicati con le correnti. Se le sentenze di assoluzione non fossero impugnabili dal pm. Visto che, in quanto tali, salvo patologie… cliniche non possono non fulminare la possibilità di successiva condanna ex art. 533 cpp al di là di ogni ragionevole dubbio. Se venisse riconsiderata la simpatica facezia dell’obbligatorietà dell’azione penale, mai e poi mai applicata nel concreto ma per tanti versi alibi pregiudizievole per il funzionamento della giustizia. Se venisse abolito il civilissimo divieto di reformatio in peius ( art. 597 c. 3 cpp ), lusso che non ci possiamo permettere perché importante concausa di sovraccarico e disfunzioni. Se… Se… Se…

 

“Birbantelli, l’avete letta l’ultima, sull’atto di fede?”, e via con il Bossetti e la conferma dell’ergastolo in appello. Processo difficilissimo, sostanzialmente un’unica colonna portante costituita da un ago trovato nel pagliaio, ossia un Dna non solo tra alcuni scienziati controverso quanto a valenza del rapporto tra nucleare e mitocondriale ma, come non bastasse, testato solo dal Ris con atto già allora prevedibilmente irripetibile – per via di quantità e stato di conservazione – e quando l’indagato era un altro, successivamente scagionato, e dunque senza che Bossetti e la sua difesa abbiano mai potuto interloquire dialetticamente con i consulenti tecnici. Processo singolarissimo se si tiene conto che la richiesta centrale dell’impugnante si riferiva ad un approfondimento tecnico – financo “storico” nel caso di esaurimento del reperto - che in un garantito contraddittorio potesse far chiarezza su codeste diffuse perplessità e non si riferiva invece, come solitamente avviene, ad una diversa lettura del compendio probatorio già acquisito.

 

Se venisse riconsiderata la simpatica facezia dell’obbligatorietà dell’azione penale, mai e poi mai applicata…

Conclusione di battigia, all’unisono: proprio nessuno di noi vorrebbe trovarsi nei panni del consigliere estensore quando dovrà spiegare in sentenza le ragioni per cui, nonostante le dedotte particolarità giuridiche ed incertezze scientifiche, sia stato giudicato manifestamente – e si sottolinea manifestamente – superfluo o irrilevante (artt. 190, 603 cpp ) l’accertamento richiesto ed invece fideisticamente utilizzabile quello originario del Ris che, per una fatale serie congiunturale di motivi e dunque per colpa di nessuno, si era svolto all’insaputa della difesa Bossetti ossia, di fatto ed oggettivamente, al di fuori dell’ambito e delle logiche garantistiche di cui agli artt. 103 c. 7,191, 359, 360 cpp. E’ un fatto strano, a tutti è tornato in mente di come nei paesi a sistema accusatorio sia pacifica l’inutilizzabilità di qualsiasi elemento di prova introiettato senza difesa – quasi una sorta di dazio da pagare per un processo giusto e civile - e tutti ci siamo ricordati di quel Jack Ruby che, videoripreso da tutto il mondo mentre uccideva Harwey, si vide annullare la sentenza di condanna a morte – morirà poco dopo da “innocente” – perché era risultato che il primo interrogante si era dimenticato di avvertirlo preliminarmente, come da rito, che aveva il diritto di non parlare.

 

“Birbantelli, l’avete letta l’ultima, sull’atto di fede?”, e via con il Bossetti e la conferma dell’ergastolo in appello

Dove finiranno l’immediatezza, l’oralità e la concentrazione del dibattimento volute dal codice? e dove finirà la vicinanza difensiva?

“Birbantelli, l’avete letta l’ultima, sui contentini?”, e via con la riforma Orlando, fitta di novità sia pure in salsa gattopardesca visto che di tutto si parla tranne che della riforma basilare sulle carriere, che di tutte le altre è condizione necessaria. Interessante l’estinzione del reato per condotte riparatorie, soprattutto dopo che il ministro si è impegnato ad ovviare a quella svista sul reato di stalking introducendo l’irrevocabilità della querela e di conseguenza la sua irreparabilità. Ma il professore Padovan si è lamentato perché a suo dire si continuerebbe sul piano della deflazione penale invece di rendere efficiente la risposta penale. “Non gli bastava la messa alla prova della legge 67 del 2014, e l’irrilevanza del fatto del decreto legislativo 28 del 2015, e le depenalizzazioni dei decreti legislativi 7 e 8 del 2016, ora anche le condotte riparatorie, ancora più estese quando entro luglio 2018 diventeranno procedibili a querela un sacco di altri reati, financo riciclaggio ed autoriciclaggio e ricettazione. Posso anche essere d’accordo sulla politica di privatizzazione di alcuni interessi punitivi personali e di riduzione della risposta penale, ma non quando serve solo a diminuire il carico di lavoro perché non si è in grado di rendere più efficiente il sistema. E’ la stessa logica della norma che vuole maggiore specificità dei motivi di impugnazione con vaglio demandato agli stessi magistrati dell’appello, ne vedremo delle belle! Pari pari la stessa ratio sottesa all’allungamento della prescrizione, non siamo in grado di curare la malattia rendendo ragionevole la durata dei processi ed allora ampliamo gli ospedali, alla faccia dei malcapitati”. Ho tentato di tranquillizzarlo ricordandogli che la riforma contiene anche norme molto attese ed opportune: la delega sulla regolamentazione del cosiddetto virus Trojan, il captatore-spia per intenderci , e un’altra sull’ordinamento penitenziario e le misure di sicurezza, ed un’altra che reintroduce il concordato in appello ma è valso a poco, è rimasto a muso lungo”. Sì, “ma non abbiamo ancora sghignazzato”, ha gracchiato il procuratore Saiello alzandosi di scatto dalla sdraio, poi pensoso su e giù sul bagnasciuga guardando il cielo pesta un castello di sabbia ed un bimbo prende a frignare disperatamente. “Avete mai immaginato cosa sarà un’aula di udienza quando impereranno le videoconferenze?” ha ripreso puntandoci l’indicino addosso, “dove finiranno l’immediatezza l’oralità e la concentrazione del dibattimento volute dal codice? e dove finirà la vicinanza difensiva? e la comunicazione semiotica? e l’attenzione dei giudicanti? e quanti si addormenteranno nonostante gli sforzi per restare svegli? e per quanto verrà moltiplicata l’irragionevole durata dei processi? Voi restate troppo seri, cavolaccio, imperturbabili come chi non comprende! Allora passiamo all’inerzia del pm e all’avocazione del procuratore generale, questa vi farà sbellicare sicuramente. Ricorderete come hanno starnazzato i magistrati, aiuto aiuto, autonomia e indipendenza compromesse perché la riforma impone loro un termine, in generale 3 mesi dalla conclusione delle indagini, per decidere se chiedere l’archiviazione o il processo. Ve lo ricordate, giovanotti? E ricordate come finora molti fascicoli, dopo la conclusione delle indagini, restano in stand by sotto la polvere anche per anni, mentre le povere parti processuali pazientemente attendono? E sicuramente sapete che proprio nella fase delle indagini preliminari matura la stragrande maggioranza delle prescrizioni! E allora siete sicuramente d’accordo che la riforma imponga un termine per decidere, pena l’avocazione, anche a rischio di una piccola compressione dell’autonomia decisionale delle procure!”.

 

Ci pare domanda oziosa, assentiamo tutti ciondolando la testa. “Figli miei, siete proprio dei grandi pirla! Perché la riforma ha compresso un bel niente ma anzi ha concesso ai pm alcuni mesi per decidere mentre finora avrebbero dovuto decidere subito, appena finite le indagini! E le proteste hanno solo finto di prendere al balzo una palla inesistente. Insomma tanto rumore per nulla. Perché da 30 anni era già prevista l’avocazione da parte del procuratore generale in caso di inerzia del pm, andatevi a rileggere l’art. 412 cpp brutti ignorantoni! Solo che le procure generali per 30 anni hanno sempre risposto picche motivando con l’insufficienza dei loro organici e così continueranno giustamente a fare per l’eternità, anzi fino a quando non verrà rimodulata la carriera requirente! Avete capito perché si scomoda sempre il gattopardo? E voi non sghignazzate, pischellucci miei ”. Un po’ abbacchiati siamo andati a prenderci un caffè.

 

Ci siamo ricordati di quel Jack Ruby che si vide annullare la sentenza perché che il primo interrogante si era dimenticato…

“Birbantelli, l’avete letta l’ultima, sulla contrizione?”, e via con l’assoluzione di Daniela Poggiali. “Incredibile!” Saiello esordisce sbracciandosi negli urli, “ancora una vittima della centralità del processo mediatico, centralità non del dibattimento – come vorrebbe il codice – ma delle indagini preliminari, per di più strombazzate ai quattro venti”. “Mi scusi eccellenza” lo interrompe Nobilione, “ma lei non può dimenticare quelle foto raccapriccianti, l’infermiera con sorriso divertito accanto al povero cadavere, le abbiamo viste su tutti i giornali ed hanno fatto male a tanta gente”. “Avvocato, che cavolo dice? è proprio questo il punto, vada a leggersi Il processo emotivo, è uscito da poco! o forse vuol punire con l’ergastolo imbecillità cattivo gusto ed immoralità? Le sfugge che è la solita maledetta sequenza: apertura delle indagini, veline con foto ai media, prime pagine e talk show, conseguente presunzione di colpevolezza, pressione di un’opinione pubblica sempre più indignata ed ergastolo come atto dovuto? Anche in questo caso probabilmente ha colpito la solidarietà di carriera, mettetevi nei panni dei giudici e ditemi se vi sarebbe parso facile smentire il collega requirente che, sostenuto da media ed opinione pubblica contro quelle immagini immonde, nelle indagini ha investito la propria figura professionale. Per fortuna qualche volta c’è un giudice a Berlino! Arrestata tre anni fa, condannata all’ergastolo l’anno scorso, in luglio la Poggiali è stata assolta dalla Corte d’Appello di Bologna perché il fatto non sussiste! E probabilmente accadrà la stessa cosa – ossia tanto rumore per nulla – all’altra infermiera, la Bonino, che additata a furor di popolo come serial killer di 14 persone, destreggiandosi tra pronunce giudiziarie tra loro contraddittorie sta attendendo nella sua casetta una risposta definitiva. Serial killer 14 volte ma solo prudenti arresti domiciliari, volete scommettere che prevedono una conclusione assolutoria? Capito avvocato Nobilione?” ha concluso in falsetto risprofondando nella sdraio, senza accorgersi che il bimbo sta ancora piangendo.

 

“Birbantelli, l’avete letta l’ultima sulle prove di laboratorio?”, e via con la storia della confisca antimafia allargata anche alla persona indagata per un solo reato contro la pubblica amministrazione. “Siamo alla frutta” scandisce Saiello”, anzi al minestrone; quantomeno sospetti di irragionevolezza e incostituzionalità e contrasto con le linee di Strasburgo ma i nostri giustizialisti insistono e pretendono la norma che, poche storie e subito e a prescindere, sulla presunta coincidenza dei due fenomeni assicuri le stesse armi a chi lotta contro mafia o corruzione. E dunque confisca antimafia allargata, e dunque niente indugi perché viviamo nell’emergenza, e dunque gettiamo il cuore oltre l’ostacolo e chi si è visto si è visto. Perché – hanno detto fior di figure istituzionali – se con il tempo la norma risultasse sproporzionata irragionevole incoerente con i principi fondamentali, potrà con tutta calma essere reinterpretata e rispecificata dalle supreme corti. Ohibò – è insorto il sommo professore Fiandaca – ma così la funzione legiferante verrebbe ad essere esercitata di fatto dal potere giudiziario! Sì, illustre professore Fiandaca – gli rispondo – è una proposta scandalosa sia di per sé, alla luce dei suoi rilievi, sia in quanto proveniente da giuristi tanto importanti. Ma mi consenta di aggiungere al suo un altro ohibò: codesti giuristi con codesta proposta in effetti programmano una sperimentazione di laboratorio su cavie, ossia su cittadini cornuti e mazziati nell’attesa che con tutta calma si reinterpreti e si rispecifichi… nel frattempo sotto a chi tocca. Il che la dice lunga su quanto vengano tenuti in considerazione i nostri diritti”. Questa volta il procuratore ci è parso commosso, verosimilmente per la nobiltà del suo dire, ed a noi sono venuti i lucciconi.

 

“Birbantelli, l’avete letta l’ultima sul colpo di scena?”, e via con la storia di Davigo e Mirenda e l’ispettore generale. “Troppo divertente, meglio di una commedia di Aristofane, da anni declamano che gli inciuci correntizi appartengono ormai al passato e invece scoppiano i tricchi-tracchi: Davigo che, furente per le alchimie correntizie in vista della nomina del procuratore di Napoli, addirittura si dimette dalla giunta Anm; il giudice Andrea Mirenda che a Verona rinuncia a un posto semidirettivo di prestigio per protestare contro il meccanismo che regola le carriere dei magistrati, un carrierismo sfrenato, arbitrario e lottizzatorio che premia i sodali, asserve i magistrati alle correnti, umilia la stragrande maggioranza degli esclusi; l’ex capo dell’ispettorato generale della magistratura – funzione con panoramica la più vasta e penetrante - che ha recentemente tuonato sui giornali contro il sistema correntizio che opera all’interno del Csm… e che inquina il principio stesso dell’indipendenza dei magistrati… criterio della spartizione tra correnti… che si sono trasformate in veri e propri centri di potere… con nefasta incidenza anche in sede disciplinare. Perbacco, cosa avete da dire birbantelli?”. Un attimo di silenzio e poi un coro assolutamente spontaneo: “Ma davvero non si rendono conto che il sorteggio dei consiglieri del Csm è l’unico sistema possibile per assicurare libertà ed indipendenza dei magistrati? Lo sono o lo fanno?”. Siamo andati a prendere un caffè.

 

Domani si parte. Ieri sera abbiamo scritto per il signor ministro la seguente bella letterina sulla separazione delle carriere, la spedirò da casa: “Eccellenza, la separazione delle carriere è condizione necessaria per qualsiasi riforma della giustizia ma le opposizioni continuano ad essere tante. Se ha dubbi consideri l’ultimo boicottaggio: la raccolta di firme avviata a tal proposito dall’Unione camere penali– per una proposta di legge costituzionale a iniziativa popolare – è in corso da mesi e terminerà intorno alla metà di ottobre, ma nessuno ne parla nonostante il successo, già più di 60 mila firme. E’ come se la notizia fosse coperta dal segreto di stato. Con il vigente processo penale tendenzialmente accusatorio la carriera unica ormai è indifendibile e, prima o dopo, saremo costretti a separarla. Lei ben sa che con l’attuale carriera unica il magistrato riassume necessariamente in sé due professionalità specialistiche, quella giudicante e quella requirente; quasi come succedeva una volta con il pretore e come non accade nel resto del mondo. Ben sa che nel nostro paese il processo penale è di durata irragionevole, assolutamente stravolto e diverso da quello immaginato dal legislatore del 1988. Il più delle volte smaccatamente centrato, anzi sempre più centrato – chi osa ormai mettere in dubbio il cd principio di non dispersione dei mezzi di prova?! – non sul dibattimento ma su indagini preliminari di polizia, cioè su qualcosa di non efficacemente controllato ( quantomeno per via della sproporzione tra apparati di polizia e strutture requirenti) né dialetticamente controllabile per via della fase preliminare in cui vengono svolte. Indagini di polizia giudiziaria, a strascico e che possono durare anni, troppo spesso svolte su deleghe in bianco o deleghe preconfezionate e dense di intercettazioni anch’esse troppo spesso inutilizzabili per carenza di presupposti (ad esempio i termini previsti dagli artt. 267 e 405 cpp spesso vengono semplicemente ignorati, tamquam non essent; ha avuto tempo per leggere cosa scrive la Cassazione nella sentenza 1203 del 13 giugno 2017 a proposito di un procedimento collegato alla vicenda Consip?) ma ciononostante lette e diffuse. Il che vuol dire che di fatto vengono acquisite cosiddette prove in tutta segretezza – perché, come è noto, con il vigente codice i soggetti processuali devono essere avvertiti solo a conclusione delle indagini (art. 415 bis cpp) e non “sin dal primo atto di istruzione” come invece era prima previsto dall’abrogato art. 304 cpp- e dunque il più delle volte senza la garanzia della presenza difensiva. Cosiddette prove che prove non sono ma che, malgrado ciò, diventano fatti compiuti; nel concreto acquisite da chi al massimo ne dovrebbe individuare le fonti per futura escussione e laddove l’ attività investigativa dovrebbe viceversa limitarsi al minimo necessario per decidere su cosa optare, se chiedere l’archiviazione o piuttosto il processo per la loro successiva e retta formazione nella dialettica dibattimentale. Cosiddette prove “generate” da chi non è sottoposto all’obbligo – previsto come lei sa dall’art. 358 cpp per il solo pubblico ministero – di svolgere e conseguentemente indirizzare gli accertamenti anche su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini; generate da chi non ha titolo né professionalità prognostica per chiudere le indagini allorché, ai sensi dell’art. 125 delle norme di attuazione del codice di procedura penale, “gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio”. Con la conseguenza di troppi errori giudiziari e troppe ingiuste detenzioni, ne son piene le cronache da sempre, dopo arresti e vie crucis vergognosamente mediatizzati per anni. Lei ben sa che la causa di simile pernicioso guazzabuglio processuale ha radici solo e soltanto nell’unicità indifferenziata delle carriere giudicanti e requirenti, ossia in una quotidiana contiguità ed in una leale solidarietà di appartenenza ad uno stesso sistema e ad una stessa immagine che, non raramente, per mancanza di un’ effettiva terzietà rendono insufficiente qualsiasi efficace controllo giurisdizionale. Separazione che, a dir il vero, del processo accusatorio 1988 non poteva che apparire fin dall’inizio ovvio corollario, ma allora ci si limitò invece, incredibilmente, ad un piccolo trasloco di mobilia. A far discendere il banco dell’accusa dalla pedana del… presbiterio per collocarlo accanto a quello della difesa, con tutto il resto come prima. Lei ben sa che già 70 anni fa, nell’Assemblea costituente 1947, il problema della separazione delle carriera venne ravvisato (nonostante che il processo accusatorio allora fosse solo in mente Dei) ma rinviato per la soluzione alla ritenuta imminente modifica – così disse incautamente il ministro Guardiasigilli Grassi – dell’ordinamento giudiziario (tuttora fantasma). Lei ben sa che già quasi 30 anni fa Giovanni Falcone ebbe a rilevare l’esiziale incongruenza di un giudice-arbitro “parente” dell’investigatore ma non del difensore; e che da anni gli avvocati penalisti chiedono vibratamente, anche con astensioni di protesta, che si dia esecuzione a detta riforma strutturale, affinché possa finalmente realizzarsi un giusto processo che, in tempi ragionevoli, pervenga ad un giudicato utile anche ai fini della rieducazione prevista dall’art. 27 Costituzione e metta così fine ad un andazzo fondato su emergenza, cautelare, misure di prevenzione e così via. Lei ben sa che la solita solfa di preoccupazioni per l’indipendenza del pm non ha senso, basta rilevare che la proposta di legge costituzionale prevede congrua autotutela mediante un apposito Consiglio superiore della magistratura requirente e che nei paesi con carriere separate – vedi ad esempio Germania, Portogallo, Svezia – autonomia e indipendenza delle procure sono rimaste sempre indubbie in quanto considerate irrinunciabili precondizioni di una giustizia civile e moderna. Come non ha senso insinuare che pm ed avvocato non sarebbero parti stricto sensu contrapposte e contrapponibili, visto che il pm – a differenza dell’avvocato e non solo in forza dell’art. 358 cpp – con la sua cultura di giurisdizione tutelerebbe un preminente interesse pubblico (tutore, assieme al giudice… di tutto ciò che è bene e giusto???) . Che c’entra con la separazione delle carriere? Chi non vede che quella del pm deve essere cultura di legalità e non di giurisdizione? Sarebbero inseparabili come i pappagallini perché entrambi tutori del bene pubblico? E forse, vista la presenza di una parte pubblica, diverrebbe inutile il contraddittorio? E’ argomentazione conferente e condivisibile? Può sfuggire che la dialettica procedimentale attiene non solo alle escussioni più o meno incrociate ma, proprio e soprattutto, al confronto di diverse culture, diversi punti di vista, appartenenze, istanze morali, interessi, saperi etc etc e che l’art. 358cpp. Attiene solo all’insondabile e dunque incontrollabile foro interno della coscienza del magistrato e non all’organizzazione ordinamentale di un qualsivoglia processo accusatorio ? E poi ci vuole davvero coraggio ed inverecondia per restare impassibili di fronte ad un sistema giustizia rampognato ogni giorno dalla CEDU e che oggi, per normative spesso insipienti ed insufficienza di risorse, versa nel nostro paese - nonostante la quotidiana abnegazione della stragrande maggioranza dei magistrati – quasi in stato di decozione: incapacità di prognosi per difetto di specializzazione, arretrato con pendenze ingovernabili, fuochi di paglia di crocifiggenti processi mediatici conclusi dopo anni a luci spente (con complicante e rischioso spostamento della dialettica… le difese si aggiornano… dall’aula all’ambito mediatico ) , etc etc etc… E lei ben sa che anche nell’auspicata ipotesi di una separazione sarebbero necessari comunque molti anni per modificare l’attuale cultura inquisitoria mentre nella denegata ed opposta ipotesi che nulla cambiasse, che lei non si attivasse, che la proposta di legge costituzionale fallisse, per molte generazioni non resterebbe che un rassegnato silenzio davanti ad una custodia cautelare disposta domattina sulla base di una disinvolta intuizione o denuncia o parola intercettata (succede), davanti a un’interminabile indagine/spada di Damocle fondata solo sull’uzzolo di un investigatore creativo ( è successo), o a un provvedimento restrittivo in concreto solo controfirmato dallo stimato collega gip (è successo) e con interrogatorio di garanzia condotto dal solo sodale pm alla presenza d un convitato di pietra (è successo). Lei ben sa, signor ministro, che la lentezza e l’inefficienza del procedimento non solo negano giustizia quando essa è necessaria ne cives ad arma ruant, non solo sovente massacrano la vita delle persone ma, non è di poco conto, rendono anche ineffettivo un principio di vita basilare, quello del “chi sbaglia paga”. Con il risultato di dare invece effettività al malsano e contrario principio che sbagliare, ossia delinquere, paga ossia rende. Insomma chi delinque guadagna. Con la sperimentata conseguenza che per chi legifera si rendono necessarie cautele sempre più sofisticate e zeppe di controlli autorizzazioni concessioni pareri concerti permessi che purtroppo hanno un solo effetto, in aggiunta a quello di bloccare ancor più la macchina statale : fomentano la corruzione perché gli ingranaggi da lubrificare sono moltiplicati… e l’arretrato della giustizia aumenta ancora, a meno che non si cambi. E allora, signor ministro, cerchi di entrare nella storia giocando d’anticipo. Perché con una criminalità sempre più sofisticata ed organizzata in un mondo sempre più piccolo e globalizzato sarà ineluttabile l’allineamento. Avrà sicuramente già pensato alle pressanti richieste internazionali di coordinamento di intelligence e di una procura europea, alla direttiva 41/2014 ed all’ottimizzazione delle indagini europee secondo il decreto legislativo 108/2017, alle istanze per un ufficio di accusa distrettuale, insomma al trend verso l’ accorpamento e la sovranazionalità. Tutto incompatibile con un pm provinciale e non specializzato, come non bastasse parente del giudice. Giochi d’anticipo signor ministro, ci dia retta”.

 

Domani abbiamo il treno alle 8 del mattino.

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