Una deposizione superflua sulla Trattativa e una lezione dal caso Consip

Paolo Cirino Pomicino

Due storie istruttive, tra il tragico e il comico, per capire meglio come gira il complicato pianeta della giustizia in Italia

Quest’oggi parliamo di due episodi tra il tragico e il comico avvenuti nel difficile pianeta giustizia. Il primo ci riguarda personalmente in quanto alcuni giorni or sono siamo stati chiamati come persona informata dei fatti dalla difesa del senatore Mancino nel processo per la Trattativa stato-mafia. La nostra testimonianza verteva solo su di un punto e cioè il trasferimento dell’allora ministro Scotti dagli Interni agli Esteri. Abbiamo raccontato ai giudici ciò che peraltro avevamo scritto nel dettaglio nel nostro primo libro nel lontano duemila, e cioè che Scotti spiegò alla segreteria della Dc che il ministro dell’Interno non poteva svolgere il proprio compito senza lo scudo dell’immunità e pertanto non si poteva dimettere da deputato. La risposta fu quella più naturale e cioè “non fare il ministro dell’Interno e vai agli Esteri”. Cosa che Scotti fece, salvo dimettersi poco dopo per finta contando sul fatto che il presidente del Consiglio Amato avrebbe respinto le dimissioni. Questo tentativo di sfuggire a quella nuova sciocchezza per cui il ministro non doveva più essere deputato non riuscì e Scotti, per la levata di scudi di Scalfaro e Forlani, dimessosi per finta si trovò fuori dal governo ma restò deputato come peraltro voleva. Raccontammo questo episodio vissuto direttamente in alcune fasi e andammo via. Siamo stati avvertiti poi che i pubblici ministeri vorrebbero fare un confronto tra noi, Scotti e Amato e ci è venuto un po’ da sorridere, sempre con rispetto naturalmente, perché forse non abbiamo ricordato ai pubblici ministeri che in realtà la procura già conosceva questa storia. Infatti il 27 giugno del 2012,e cioè un anno prima che cominciasse il processo, inviammo una email al dottor Ingroia, che istruiva l’accusa, con l’articolo pubblicato proprio su queste colonne dal titolo “Romanzo di una trattativa”. In quel testo c’era, parola per parola, la testimonianza che poi abbiamo dato nel processo. Se mai ci fosse stata una discordanza con le dichiarazioni di Scotti, i pm avrebbero dovuto chiedere a quest’ultimo alcune delucidazioni. Forse quella email non fu mai consegnata all’ufficio e meno che meno al collegio? Morale della favola: dinanzi a cose così chiare scritte in epoche non sospette il dubbio serve la verità o solo l’allungamento del tempo di un processo che non sembra abbia colto la sostanza di quella stagione? Ai lettori il giudizio.

   

Secondo episodio. Da quasi tre mesi è in carcere Alfredo Romeo, imprenditore apprezzato professionalmente da tutti. Romeo è in carcere perché tal Gasparri, dirigente generale della Consip, ha dichiarato di aver avuto in diversi anni centomila euro non per manipolare le gare quanto per cercare di capire se per caso in quella struttura ci fosse un cartello che penalizzasse la concorrenza. Romeo nega di aver dato queste somme e la Guardia di Finanza non ha trovato alcuna traccia del denaro. Ma c’è di più! Circa un anno fa Romeo fece una denunzia circostanziata su alcune presunte irregolarità esistenti a suo giudizio su diverse gare vinte da un gruppo di imprese sponsorizzate da autorevoli senatori inviando l’esposto oltre che alla Consip anche all’autorità anticorruzione (Cantone) e all’Antitrust. In un anno nessuna autorità si è mossa in un senso o nell’altro e solo dopo un lungo articolo uscito sull’Espresso gli uomini di Cantone hanno detto che davvero c’erano le irregolarità denunciate da Romeo e hanno iniziato una inchiesta. Non ci fa velo l’amicizia per Romeo per dire che se uno denuncia irregolarità nella Consip difficilmente ha corrotto la stessa Consip, la quale a sua volta ha ritenuto di dover perseguire il Romeo al TAR e al Consiglio di stato per non aggiudicargli una gara vinta del valore di 250 milioni. Noi non siamo né pm né avvocati ma solo persone di buon senso, e ci appare davvero incredibile che sì corrompa qualcuno che poi si denuncia a tutte le autorità preposte. Può darsi che a noi sfugga qualcosa pur avendo letto molti atti e molte ricostruzioni dettagliate fatte da organi di stampa, ma perché tenere in carcere una persona senza un riscontro certo e in particolare dopo che la stessa ottima procura di Roma ha scoperto gravi manipolazioni nelle prime fasi di indagini a Napoli? La Cassazione ha colto qualche contraddizione e ha annullata l’ordinanza cautelare rinviando il tutto ad altra sezione del riesame. Ma la chicca finale è degna di Pirandello. Chi ha denunciato irregolarità confermate, peraltro, dall’Anac di Cantone è stato arrestato e la sua azienda esclusa dalle gare mentre quel gruppo di aziende a carico delle quali Cantone ha trovato irregolarità hanno la strada spianata per assumere, ormai da sole, incarichi miliardari. Una storia degna davvero del grande Pirandello. Non vorremmo ora che il messaggio che passasse fosse un messaggio perverso e cioè “non denunciate mai nessuno perché sarete denunciati”. Oltretutto nostro Signore disse il contrario “non giudicate perché come giudicherete così sarete giudicati”. E il caro Gesù lo diceva a tutti, magistrati compresi. Finalmente i vertici Consip si sono dimessi e la speranza è che nel prossimo futuro, insieme alla verità, si salvaguardino le migliaia di lavoratori in ansia.

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