Da sinistra Andrea Orlando, il direttore Claudio Cerasa, Sabino Cassese e Giovanni Legnini

Giudichiamo i giudici

Annalisa Chirico

Sul convegno del Foglio irrompe il caso Consip. Orlando, Legnini, Cassese sul circo assurdo delle intercettazioni

Roma. “Non ha importanza come mi chiamo, importa che cos’ero. Mi è stata strappata la reputazione di dosso”, con il video intervento di Ilaria Capua, la virologa ed ex parlamentare che non intende tornare in Italia, si apre al Piccolo Eliseo il convegno del Foglio dal titolo “Magistrati e politica, dove è il cortocircuito?”. Le parole della scienziata inchiodata ingiustamente nel ruolo di “trafficante di virus” danno il la all’incontro fogliante. 

 

Nel convegno del Foglio quale si innesta inevitabilmente l’attualità del caso Consip nella giornata in cui il vicecomandante del Noe Alessandro Sessa viene sentito dai pm capitolini in quanto indagato per depistaggio. Dopo Scafarto, pure Sessa, impossibile non parlarne, anche se il ministro della Giustizia Andrea Orlando ne farebbe volentieri a meno, e alla domanda del direttore Claudio Cerasa risponde ironico: “Non potevo non aspettarmi questa domanda da un renziano, ora sono più tranquillo”. La platea ascolta attentamente, in un confronto durato poco più di un’ora si snocciolano alcuni temi chiave del rapporto tra magistratura e politica, vexata quaestio.

 

 

Su Consip il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini non le manda a dire: “Dobbiamo attendere l’esito dell’inchiesta penale e disciplinare. Va da sé che la sola ipotesi che una indagine sia caratterizzata da reati come falso e depistaggio è inquietante. Abbiamo tutti il diritto di conoscere la verità, mi auguro nel più breve tempo possibile”. Per il Guardasigilli, “sul caso Consip ho agito nel pieno delle mie funzioni. Qualcuno mi ha criticato anche dentro il mio partito per non aver mandato gli ispettori a Napoli. Ma il potere ispettivo serve a valutare il funzionamento delle procure, non a condizionarle”.

 

Incalzato da Cerasa su intercettazioni e libertà di informazione scambiata per libertà di sputtanamento, Orlando sostiene che “spesso una notizia non pubblicata è più pericolosa di una pubblica perché della prima non si conosce l’esistenza e l’uso che qualcuno potrebbe farne. Il clima tra magistratura e politica è cambiato, alcune procure, come quella guidata da Armando Spataro a Torino, si sono date autonomamente delle regole per scongiurare le violazioni della privacy. Io stesso, ormai tre anni fa, ho presentato un ddl di riforma del processo penale per porre un argine alle intercettazioni illecite e per regolare con vincoli più stringenti i tempi delle indagini. Il ddl è fermo in parlamento, mi chiedo perché. Sono stato ostacolato anche all’interno del governo. Forse alla fine questo sistema va bene a tutti”.

 

Per Legnini “si discute di intercettazioni da oltre vent’anni, da parlamentare fui relatore di minoranza per contrastare una iniziativa del governo Berlusconi nel 2009. Oggi c’è una opportunità straordinaria che segnerebbe un passo avanti, il ddl Orlando. Mi auguro che non venga sprecata. Manca l’ultima lettura, basta un giorno d’aula”. Nel luglio dello scorso anno il plenum del Csm, con una sola astensione, adottò una delibera in materia di conversazioni intercettate. “Dopo la nostra iniziativa – prosegue Legnini – e dopo le direttive interne emanate dai vertici di numerose procure, negli ultimi dieci mesi non si sono registrati casi eclatanti di pubblicazione illegale. Con la sola eccezione del caso Consip”. C’è dunque l’autoregolamentazione salvifica dei magistrati che colma l’assenza della politica. O che costituisce, si direbbe in un processo, la “confessione tardiva” di un malcostume diffuso. Per Legnini “esiste una consapevolezza nuova tra i magistrati. La pubblicazione arbitraria di atti di indagine compromette il buon nome e il prestigio della stragrande maggioranza della magistratura”.

 

Quanto al rapporto tra politica e togati, secondo Orlando “bisogna essere laici, io non mi scandalizzo se Piercamillo Davigo partecipa al convegno del M5s. Anzi, ritengo che in una società democratica più si vede meglio è. Sappiamo che esiste una coincidenza di vedute tra l’ex presidente dell’Anm e il movimento di Grillo. È sempre meglio sapere come la pensa un magistrato, la concezione del giudice bocca della legge è superata. Un magistrato coltiva una Weltanshauung, una visione del mondo, ed è meglio che la manifesti apertamente affinché i cittadini possano conoscerla. Per il resto, le ideologie collettive sono un retaggio della storia, conta piuttosto la volontà di singoli soggetti smaniosi di esprimere valutazioni censorie dei costumi sociali. I magistrati sono ben più potenti dei politici. Se intercettassero le loro conversazioni telefoniche, chissà che ne verrebbe fuori. Ma non me lo auguro perché non è questa la soluzione. Ognuno di noi è un universo, non può essere inchiodato a una frase pronunciata al telefono”.

 

Illuminante il contributo del professore Sabino Cassese: “L’abuso di intercettazioni è dovuto innanzitutto all’inerzia dei pm: mettere sotto controllo le utenze telefoniche costa meno fatica che condurre indagini alla vecchia maniera. Inoltre con l’uso disinvolto della captazione telefonica il pm si costruisce il ruolo di tutore della morale pubblica. Il problema italiano risiede nella politicizzazione endogena della magistratura. Ormai qualunque decisione di interesse collettivo passa attraverso la decisione di un magistrato. Dall’Ilva a Tempa rossa: non c’è questione su cui non si riveli determinante l’intervento della magistratura. La politica è la grande assente della vita pubblica”. Sul correntismo Orlando afferma che “le correnti funzionano male ma le alternative non sono più rassicuranti. Meglio avere le correnti alla luce del sole piuttosto che salotti, cene e pranzi che non si vedono. Le trame e le filiere non nascono ai convegni”. Critico invece Legnini: ‘Si tratta di associazioni legittime, per carità. Ma la degenerazione correntizia è un male. Io mi batto contro l’occupazione correntizia dell’organo di autogoverno della magistratura. Abbiamo fatto dei passi avanti, oggi c’è un grado di trasparenza maggiore, quasi tutti gli atti del Csm sono consultabili online, c’è più attenzione al merito. Eppure sulle 650 nomine che abbiamo portato a segno l’appartenenza correntizia ha pesato eccome. Sulle nomine le correnti influiscono come i partiti sulle leggi. E tra il Mattarellum e il Porcellum c’è una bella differenza”.