Il magistrato John Henry Woodcock (foto LaPresse)

Cosa deve fare Woodcock per dimostrare la sua estraneità al metodo della gogna

Luciano Capone

I responsabili della fuga di notizie sulla telefonata tra Matteo e Tiziano Renzi possono essere solo due: i pm e la polizia giudiziaria. Ecco perché il magistrato deve ritirare la delega al Noe

Roma. La pubblicazione sul Fatto quotidiano e in un libro di Marco Lillo dell’intercettazione tra Matteo Renzi e suo padre Tiziano è un fatto grave, ma segna un punto di chiarezza nella torbida vicenda dell’inchiesta Consip. La diffusione di quella intercettazione, a differenza di altri elementi dell’inchiesta in possesso anche di altri, restringe il campo dei possibili responsabili della fuga di notizie a due soggetti: i pubblici ministeri e la polizia giudiziaria, che nel caso di specie sono Henry John Woodcock e i suoi colleghi e i carabinieri del Noe. Una banale constatazione peraltro evidenziata in questi giorni da importanti magistrati come Gratteri, dal vicepresidente del Csm Legnini e dal presidente dell’Anm Albamonte: o sono stati i pm o la pg. Funziona così in generale, ma in questo caso è una certezza. L’intercettazione non era depositata, non era quindi in possesso di avvocati, segretari o cancellieri, ma solo in mano a chi lavorava in concerto all’indagine.

 

Woodcock e i carabinieri del Noe sono molto affiatati, lavorano in sintonia da anni, sin da quando il pm napoletano era alla procura di Potenza, e hanno svolto insieme anche l’inchiesta Cpl Concordia che, in maniera analoga, ha portato alla pubblicazione sul Fatto quotidiano di intercettazioni di Matteo Renzi che sarebbero dovute rimanere secretate.

Non è detto che l’illegale passaggio alla stampa dell’intercettazione tra Matteo e Tiziano Renzi sia avvenuto in accordo tra pm e pg. D’altronde l’inchiesta Consip è piena, sin dall’inizio, di fughe di notizie che hanno penalizzato la stessa attività investigativa. Ma il problema è che finora il pm Woodcock ha sempre confermato massima fiducia agli ufficiali del Noe. Se questo era un atteggiamento giustificabile fino a qualche tempo fa, diventa sospetto o quantomeno difficilmente comprensibile adesso.

 

 

Riavvolgiamo il nastro. Quando il fascicolo su Tiziano Renzi passa per competenza a Roma, i carabinieri del Noe che già lavoravano con Woodcock a Napoli chiedono di rimettere sotto controllo il telefono di Tiziano Renzi. Roma nega l’autorizzazione, ma il Noe si rivolge a Napoli e ottiene di mettere sotto ascolto le utenze di Tiziano Renzi anche se la procura di Napoli non sta neppure indagando su di lui. Così il giorno prima del suo interrogatorio, il padre dell’ex premier viene intercettato mentre parla con il figlio, ma i magistrati romani ritengono irrilevante la conversazione (che poco dopo verrà fatta arrivare al giornalista del Fatto). Siamo al 3 marzo. Il giorno successivo, con una mossa clamorosa, la procura di Roma ritira la delega d’indagine al Noe per la ripetuta fuga di notizie. La procura di Napoli, su spinta di Woodcock, invece decide di confermare la delega. Un mese dopo a Roma il procuratore aggiunto Paolo Ielo e il sostituto Mario Palazzi mettono sotto indagine il capitano del Noe Gianpaolo Scafarto, braccio operativo di Woodcock, per aver manipolato o falsificato le informative danneggiando i Renzi. Woodcock, ancora una volta, conferma fiducia a Scafarto e al Noe ipotizzando che le manipolazioni siano errori e non falsificazioni volontarie. Oltre alla procura di Roma, che indaga sull’ufficiale e scova ulteriori anomalie nelle informative, anche la procura di Napoli – quella di Woodcock – prende le distanze. Il procuratore reggente Nunzio Fragliasso, negando dichiarazioni precedenti, si sente in dovere di dire in una nota che la procura “non si è mai pronunciata sulla conferma, o meno, della fiducia” al Noe e a Scafarto. Ma al loro fianco c’è sempre Woodcock, anche dopo che Scafarto lo tira in ballo come suggeritore di uno dei capitoli dell’informativa contestati dai pm romani. L’intesa è salda.

 

Dopo la pubblicazione dell’intercettazione tra i Renzi si pone però per i pm napoletani una scelta, che in ogni caso farà chiarezza. La fuga di notizie è stata intenzionale, non è più sostenibile l’ipotesi dell’“errore”. E la responsabilità è o dei magistrati o della polizia giudiziaria. Se Woodcock e colleghi non ritirano la delega al Noe, come peraltro ha già fatto la procura di Roma, sarà difficile fugare i forti dubbi sulla complicità in un’azione inquietante oltre che illegale.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali