Jacques Lacan

Quanto Lacan! Troppo Lacan?

Davide D'Alessandro

Tutti impegnati sull’opera del celebre psicoanalista francese. Non bastano i Seminari. A poco meno di quarant’anni dalla morte, il suo pensiero è al centro del dibattito psicoanalitico. Torna in libreria la biografia di Roudinesco, proliferano i saggi per interpretarlo e comprenderlo. Il merito di Recalcati

Sono assalito dai libri di e su Jacques Lacan. Mi arrivano addosso da tutte le parti. Per posta, per email, per telefono, per televisione, per youtube. Quanto Lacan! Troppo Lacan? Non so se sia merito (o …colpa), di Massimo Recalcati che, negli ultimi anni, si è adoperato per rendere meno incomprensibile il testo del celebre psicoanalista francese. So che le case editrici fanno a gara a mandare in libreria il pensiero di Lacan, i seminari di Lacan, la vita di Lacan, le interpretazioni su Lacan, gli amori di Lacan, tutto di Lacan. È di questi giorni la riedizione, la prima in brossura, da parte di Raffaello Cortina, della monografia di Élisabeth Roudinesco, Jacques Lacan. Profilo di una vita, storia di un sistema di pensiero, apparsa in Francia nel 1993 e da noi due anni dopo. L’anno scorso, per i tipi Rosenberg & Sellier, è uscito il libro di Natalie Jaudel, pubblicato in Francia nel 2014, La leggenda nera di Jacques Lacan. Élisabeth Roudinesco e il suo metodo storiografico, dove si contesta alla biografa di aver tralasciato “l’uomo e il suo insegnamento, derogando alle regole del metodo storiografico di cui si dichiara invece seguace”. Due libri importanti che riconducono comunque al centro del dibattito un uomo che ha fatto dire di sé, scrivere di sé, occuparsi di sé continuando per decenni a invitare a non dire di sé, a non scrivere di sé, a non occuparsi di sé. “Lacaniani sarete voi, io sono freudiano”, ripeteva costantemente. E freudiano è rimasto fino in fondo, nonostante crescessero a dismisura gli adoratori del suo verbo, nonostante ogni lacaniano desse vita a una scuola lacaniana diversa e in contrasto con quella di un altro lacaniano.

Scrive Roudinesco: «Jacques Lacan cercò di introdurre la peste, la sovversione e il disordine all’interno di quel freudismo temperato di cui era contemporaneo: un freudismo che, dopo essere sopravvissuto al fascismo, aveva saputo adattarsi alla democrazia al punto da non riconoscere più la violenza delle proprie origini. La storia di Jacques Lacan è la storia di una passione francese, balzachiana. È la storia della giovinezza di Louis Lambert, della maturità di Horace Bianchon, della senilità di Balthazar Claës. Ma è anche la storia di un pensiero che, dopo quello di Freud, ha voluto sottrarre l’uomo all'universo della religione, dell’occulto e del sogno, arrischiando di mettere in scena la permanente impotenza in cui la ragione illuministica e la verità si ritrovano nel realizzare questo compito».

Perfetto. Mentre penso a come continuare l’articolo, suonano alla porta. È il postino. Mi consegna una busta. Apro. Ci sono due libri. Il primo, edito da Einaudi, è di Jacques Lacan, Il seminario. Libro XVI. Da un Altro all'altro (1968-1966). Il secondo, edito da Orthotes, è di Jean-Claude Milner. Il titolo? L’opera chiara. Lacan, la scienza, la filosofia. Torno al tavolo da lavoro. Squilla il telefono. È Silvia Lippi, psicoanalista lacaniana, da Parigi: «Sai che a maggio esce il mio prossimo libro?». Le chiedo il titolo. Risponde: «Trasgressioni. Lacan, Bataille». In copertina due magnifici nudi della Valentina di Crepax. E questa, diciamolo, non sarebbe dispiaciuta neppure a Lacan.