Emanuele Severino

Emanuele Severino, lezioni eterne

Davide D'Alessandro

Curato da Nicoletta Cusano, ecco l’ultimo “gioiellino” del grande filosofo italiano. Cinque incontri di due ore l’uno con gli studenti per discorrere di Ontologia e Occidente, di Contenuto dell’essenza del nichilismo, di Forma dell’essenza del nichilismo, dell’Apparire dell’essere, della Terra

Chi ha seguito, letto e studiato l’intero percorso filosofico di Emanuele Severino, sa che in alcuni libri pensa e scrive, in altri pensa e spiega. I secondi non sono meno importanti dei primi, anzi finiscono per chiarirli ed esaltarli, per renderli meno ostici e più vividi. Da una parte, il filosofo che sappiamo, il fuoriclasse del pensiero; dall’altra, il professore che con grande umiltà rende meno ardua la salita al colle. È il caso di Lezioni milanesi. Il nichilismo e la terra (2015-2016), curato da Nicoletta Cusano per la Piccola Biblioteca di Mimesis, tra gli editori ormai di riferimento nel campo filosofico, grazie all’occhio vispo e alla sagacia intellettuale di Pierre Dalla Vigna.

Cinque incontri di due ore l’uno (corrispondenti a tre lezioni accademiche) per discorrere di Ontologia e Occidente, di Contenuto dell’essenza del nichilismo, di Forma dell’essenza del nichilismo, dell’Apparire dell’essere, della Terra. In più, una chicca finale: il resoconto di uno scambio con gli studenti, un botta e risposta che fa segno di un dialogo aperto.

Nicoletta Cusano presenta un excursus del termine nichilismo, ripercorre i momenti salienti di un dibattito in cui, nel corso dei secoli, si sono contrapposte voci tra le più diverse e distanti. Scrive la curatrice: “In questo contesto storico la riflessione di Emanuele Severino sul ‘nichilismo’ si chiama essenzialmente fuori dal corso della storia della filosofia (…). Severino utilizza infatti l’espressione nichilismo prescindendo completamente non solo dalle tendenze novecentesche, riconducibili da ultimo a Nietzsche e Heidegger, ma anche dall’intera storia della filosofia. Con buona pace di chi vedrebbe nel suo pensiero una ripresa di Heidegger, già da quanto brevemente detto fin qui è evidente che il significato severiniano di “nichilismo” non ha nulla a che vedere con quello heideggeriano”.

Il corpo a corpo con il filosofo tedesco risulta evidente in quanto, per Severino, il nichilismo è una contraddizione ed è inconsapevole, è folle e inconscio. Lo stesso filosofo italiano, rispondendo a uno studente che chiama in causa la lettura severiniana, precisa: “Heidegger scrive, ad esempio, un saggio su Parmenide intitolato Aletheia, dove l’essere di Parmenide è riportato all’aletheia, che vuol dire non-nascondimento. Non nascondimento vuol dire apparire (…). Se ‘Essere’ significa disvelatezza, allora che cos’è ciò che rimane velato? È nulla? No. E, d’altra parte, se non è nulla, è. E allora, questo è il primo punto. Fermiamoci un momento qui. Il concetto heideggeriano di ‘Essere’, una volta che ci si mette d’accordo che essere è aletheia, non è in grado di indicare tutto ciò che rimane nascosto e che, d’altra parte, dal punto di vista di Heidegger non è un nulla”.

Per Severino, ‘nichilismo’ indica il pensare e vivere l’essente come niente nella convinzione di pensarlo e viverlo come essente. L’uomo vuole diventare altro, tutto gli è stato rappresentato, a cominciare dalla verità, come un’oscillazione tra non essere, essere e non essere. Prima il nulla, ora l’essere, poi di nuovo il nulla. Severino dimostra l’impossibilità che qualcosa o qualcuno non sia stato, oggi sia, poi di nuovo torni a non essere. Utilizza gli esempi della legna e della cenere, del cielo e del sole, del vivente agonizzante e del cadavere per dimostrare che l’apparire non può non tacere sulla sorte di ciò che è diventato altro: «C’è il cielo e c’è il sole che percorre il cielo e che poi tramonta. In questa metafora il cielo corrisponde all’insieme delle cose che appaiono; il sole è una di esse, la quale è in movimento, è un diventar altro che poi tramonta e non sta più nel cielo. Quando il sole è tramontato continua a stare nel cielo? Se in relazione al tragitto del sole, che a un certo momento non si fa più vedere nel cielo (teniamo presente che il cielo corrisponde all’apparire, al phainesthai), chiedessimo al cielo: “Cielo, dicci tu che ne è del sole che è tramontato, diccelo in base alle tue capacità”, cosa potrebbe dire il cielo? Che ne sa, il cielo in quanto cielo, che ne è del sole che è uscito da esso? Potrebbe dire il cielo: “Io sono autorizzato a sapere quale sorte ha avuto ciò che ormai non appartiene più al mio aprirmi e a costituire lo spazio della visibilità’? Il cielo corrisponde al phainesthai, all’apparire di tutte le cose che appaiono. Se che ciò che diventa altro non appare più, cioè esce dall’apparire, è impossibile, come accade per il cielo, che si chieda al phainesthai che ne sia di ciò che è uscito dal phainesthai. Il phainesthai, l’apparire, l’esperienza, come lo si vuole chiamare, non dice nulla della sorte di ciò che non appare più».

Convinti? Siamo eterni. Questo articolo è eterno, come è eterno chi lo scrive e chi lo legge, come è eterno e irraggiungibile, filosoficamente, chi l’ha ispirato. Addentratevi nelle Lezioni milanesi. Ne ricaverete ossigeno puro per una mente annichilita dal limite dell’umano, che si crede servo, e dalla potenza della tecnica, che si crede regina. Se poi alla lettura seria e disciplinata volete aggiungere un sorriso non meno serio e disciplinato, andate su youtube. Un signore si reca a casa di Severino per intervistarlo e porta in dono un bel vassoio di pasticcini. Severino gradirebbe, ma ha già fatto colazione. Il signore prende un pasticcino, lo porta davanti alla bocca, lo mangia e dice: “Professore, ha visto? Prima c’era, adesso non c’è più”. E il professore, per nulla turbato, risponde: “Perché dice che non c’è più? Non lo vede più!”. Fantastico Severino, eterno Severino. Testimone inimitabile del Destino.