Domenico Losurdo

La passione rossa di Domenico Losurdo

Davide D'Alessandro

Non andrà riscoperto, ma scoperto soprattutto da chi è lontano dalla sua scrittura militante. Ciò che lascia è nei libri e nella mente dei tanti studenti che lo hanno ascoltato e studiato per decenni

Di Domenico Losurdo, Mimmo per gli amici, ricordo il modo in cui divorò una pizzetta rossa seduto sul gradino, come l’ultimo degli studenti, durante la ricreazione, o come l’ultimo degli operai nella pausa di un turno. Eravamo davanti a una scuola, il Liceo Scientifico di Vasto, e Losurdo aveva appena finito di parlare, in un’Aula Magna affollata e partecipe, di “La non-violenza. Una storia fuori dal mito”, sesto appuntamento di “Vasto è Cultura”, l’iniziativa che promossi nel 2010 con il Laboratorio politico-culturale Polis. Losurdo divorava la pizza e continuava a interloquire con gli studenti più curiosi. A chi gli chiedeva del suo libro monumentale su Nietzsche, rispondeva: “Se riuscirete a leggerlo, magari un’altra volta ne parleremo”. Avrei voluto invitarlo a pranzo, ma mi fulminò con lo sguardo: “E’ più bello qui, sediamoci qui, mangiamo qui”. Forse alla pizza, meno impegnativa, era stato assegnato il compito di ristabilire una certa calma, almeno tra noi. Lo avevo contraddetto non poco, lui così accecato contro l’imperialismo americano, io molto scettico, addirittura freddo, verso la sua passione rossa, da Stalin alla Cina. Ma averlo a Vasto era stato necessario per alzare il tono del dibattito, per ridare vigore e linfa a giovani piuttosto addormentati, per animare un dialogo non scontato.

Lo avevo conosciuto diversi anni prima a Urbino, insieme agli amici Luigi Alfieri e Antonio De Simone. Avevo letto tutti i suoi libri, faticando quasi sempre a condividerne le tesi, ma ammirandone la capacità di costruzione e argomentativa. Avevamo saputo del male e oggi abbiamo saputo della morte. Ciò che lascia è nei libri e nella mente dei tanti studenti che lo hanno ascoltato e studiato per decenni. Losurdo non andrà riscoperto, ma scoperto soprattutto da chi è lontano dalla sua scrittura militante. La settimana prossima esce il mio nuovo libro edito da Morlacchi. Il titolo, “Potere & Morte. Le matite di Canetti”, gli sarebbe piaciuto. E dell’aforisma del Nobel, “Non temo la morte. La ritengo solo superflua”, avrebbe sorriso beffardo, magari divorando una pizzetta rossa seduto sul gradino, come l’ultimo degli studenti o come l’ultimo degli operai.