Militanti della Lega a Pontida

Se impari l'inglese, non voti Lega. Ohibò!

Davide D'Alessandro

Da un’analisi banale del filosofo Axel Honneth a un giudizio superficiale di Corrado Augias: gli intellettuali continuano a sapere, ma a non comprendere e a non sentire. Anche con le felpe e le gru si fa la storia

In principio fu Karl Marx: “I filosofi hanno solo interpretato il mondo in vari modi; ma il punto ora è di cambiarlo”. Eppure, non sono i filosofi a poterlo cambiare, soprattutto se continuano a interpretarlo male, per alterigia, per supponenza, per settarismo, perché si ritengono depositari di una verità destinata a non farsi mai carne.

In seguito fu Antonio Gramsci: “L’elemento popolare ‘sente’, ma non sempre comprende o sa; l’elemento intellettuale ‘sa’, ma non sempre comprende e specialmente ‘sente’. I due estremi sono pertanto la pedanteria e il filisteismo da una parte e la passione cieca e il settarismo dall’altra. Non che il pedante non possa essere appassionato, anzi; la pedanteria appassionata è altrettanto ridicola e pericolosa che il settarismo e la demagogia più sfrenati. L’errore dell’intellettuale consiste nel credere che si possa sapere senza comprendere e specialmente senza sentire ed esser appassionato (non solo del sapere in sé, ma per l’oggetto del sapere), cioè che l’intellettuale possa essere tale (e non un puro pedante) se distinto e staccato dal popolo-nazione, cioè senza sentire le passioni elementari del popolo, comprendendole e quindi spiegandole e giustificandole nella determinata situazione storica, e collegandole dialetticamente alle leggi della storia, a una superiore concezione del mondo, scientificamente e coerentemente elaborata, il “sapere”; non si fa politica-storia senza questa passione, cioè senza questa connessione sentimentale tra intellettuali e popolo-nazione". 

Chi ha studiato Marx e Gramsci, e certamente Axel Honneth è tra questi, non può, per spiegare tutta la sua delusione e amarezza sul voto italiano del 4 marzo scorso, consegnare alla penna di Benedetta Tobagi su “Repubblica” una simile banalità: “La scuola pubblica è stata sottostimata e impoverita, ma è lo strumento cardine per l’integrazione europea. Pensate all’importanza di studiare storia in chiave europea. E bisogna proseguire con decisione nell’insegnamento dell’inglese come seconda lingua comune, poter comunicare è un presupposto essenziale. Magari il figlio di un elettore della Lega, se impara bene l’inglese a scuola e partecipa a degli scambi, farà scelte diverse”.

Da non credere. Ma come? Il teorico della libertà sociale, il filosofo sociale, l’ex assistente di Jürgen Habermas, l’analista acuto dei fenomeni sociali e politici, azzanna il pensiero e se ne esce con un rimedio così triste? Se il figlio di un leghista impara bene l’inglese, magari non vota Lega. E che cosa vota? Pd? Leu? E chi dice che il figlio del leghista non conosca già e sappia parlare molto bene l’inglese? Francamente, cadono le braccia. Come sentire dalla voce di Corrado Augias, ospite di Giovanni Floris, che “la Lega non è un partito”. E che cos’è, un dentifricio? Una Leopolda? Ma se la Lega è l’unico partito rimasto, con un’organizzazione territoriale imponente ed efficiente, con la capacità espansiva di approdare persino al Sud, di eleggere deputati e senatori in Abruzzo e più in giù, com’è possibile continuare a non vedere, com’è possibile restarsene chiusi nelle proprie torrette d’avorio e continuare a interpretare e a pontificare senza comprendere, senza ascoltare, senza viaggiare, senza andare a vedere?

L’elemento intellettuale “sa”, ma non sempre comprende e specialmente “sente”. Bisogna leggere i libri e sporcarsi le mani. Parlare della gente, ma starci insieme alla gente. La gente, questa sconosciuta. La politica, questa sconosciuta. Il popolo, questo sconosciuto. Che però, ogni tanto vota e sorprende chi sa ma non comprende e non sente. La Lega non è un incidente di percorso. È una cosa molto seria, tremendamente seria. Se Augias, oltre a frequentare la nobile Parigi, avesse fatto un salto sul prato di Pontida, avrebbe capito molto di più. Se Honneth, oltre alle riflessioni sull’integrazione europea, avesse scambiato qualche battuta con i cittadini di Pescara, di Catanzaro, di Torre Annunziata, di Brindisi, avrebbe capito molto di più. Chi ha riso delle felpe e delle gru, chi ha pensato che la Lega non potesse andare oltre il Po, chi ha ritenuto Matteo Salvini un rozzo Masaniello del nostro tempo, ora si deprime e dispera. Ma anche con le felpe e con le gru si fa la storia. Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior. L’ha detto De André. Bravo con la lingua genovese, un po’ meno con l’inglese.